"La regina di Saba" di Knut Hamsun riproposto da Iperborea
Tra i libri stretti e alti di Iperborea ritorna con nuova grafica La regina di Saba di Knut Hamsun (pp. 64, euro 9, traduzione del Laboratorio di Iperborea). Il libro era già uscito nel 1999 per la stessa casa editrice. Quest'esemplare di short fiction mette in asse alcune delle caratteristiche che ricorreranno nella prosa successiva e nelle opere maggiori: una focalizzazione sul sé, un narratore sfuggente, il vagheggiamento della lontananza (torneremo a breve sul perché abbiamo marcato l'aspetto della short fiction). La cronaca vede protagonista un vagabondo, come spesso accade nei libri del millemestieri Hamsun. Stavolta è un artista e critico, ma non ben delineato, in viaggio per la Svezia (si noti la fuoriuscita dell'ambientazione: non la nativa Norvegia, bensì la "rivale" Svezia). L'incontro decisivo avviene nella stazione postale di Bärby (lì le stazioni postali sono anche alberghi) ed è qui che il nostro protagonista nota una ragazza fascinosa, gentile e subito s'aggancia allo sguardo di lei. La donna fatale è per definizione (fatalmente) votata alla fuga e di lei si perdono le tracce. Quattro anni più tardi l'incontro inatteso con la "regina" ("regina" perché assomiglia fortemente a un dipinto di Julius Kronberg intitolato proprio "La regina di Saba") avviene a Malmö, su un treno in partenza. Da qui questa sorta di inseguimento nel tempo continua, e si giunge persino a Kalmar sul Baltico. Ciò che più colpisce, al di là dello sviluppo in sé, abbastanza lineare anche nelle ellissi, e dell'epilogo, racchiuso nel dubbio di un'agnizione finale, è il tono del discorso che pare possibile proprio in virtù di quella brevità della novella che rincorre un fiato breve di sogno, mistero e, alla fine, quella massima apertura che nelle forme più lunghe (romanzo, ad esempio) pare difficilmente praticabile, se non addirittura preclusa.
Scrive Giovanna Paterniti in una nota a questo testo apparso nella raccolta Siesta del 1897 (Dronnigen av Saba, che ne è parte, registrerà la prima traduzione di Clemente Giannini nel 1940, poi riproposta nel 1966):
I costanti riferimenti diretti al lettore nella Regina di Saba, resi possibili dalla strutturazione in forma epistolare, altro non sono se non un espediente del protagonista per conferire un maggior grado di veridicità alla storia. L'effetto ironico, cui contribuiscono le ironiche e talvolta autoironiche considerazioni sul personaggio, deriva infatti in primo luogo proprio dalla palese discrasia che si viene a creare tra l'assurdità della storia d'amore, immediatamente evidente al lettore, e l'entusiasmo e la passionalità con cui il protagonista racconta di aver vissuto gli eventi.
E oltre i ragionamenti che si possono fare su certe valenze epifaniche, catapultate fuori tempo nel nostro tempo, sempre più impalpabili e difficilmente credibili (kitsch addirittura?), viene da registrare che una caratteristica peculiare e notevole di questa novella è allora l'andamento ibridato e persino spurio tra l'onirico e il realista. Certo, come il protagonista all'inizio del suo lungo discorso, talvolta viene davvero da chiedersi se valga la pena raccontare, se valga la pena raccontare questa storia di rincorsa di un amore obbedendo alle ragioni di quel vitalismo che ha improntato tutta la vita di Hamsun; eppure, anche in questa "rilassatezza" della novella, in questa minore sorveglianza, nel tono di cui si diceva sopra, c'è la possibilità che l'episodio contingente e inatteso, circondato da niente o da corpose ellissi temporali, si tramuti in un sentimento della permanenza. Qualcosa di vicino può accadere in poesia (sarà la brevità, a volte).
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