In occasione di solstizi o equinozi, quindi al massimo quattro volte l'anno, riprendo qui un testo dagli archivi. Specifico solo il caso dei testi editi. Le immagini che accompagnano questi post sono tagli e rotazioni (di 90°, 180° o 270°) dalle tavole.
Risolvo e ho occhi sbiechi
sul graffiato bianco del muro
o ricordi in grosse tende a fioroni
dove infagottarsi e annusare
quello che sbiadisce in ocra
in echi dai campanili bagnati.
Ma è qui la stanza murata
i suoi strumenti dentro
la cucina di penne ai pomodori
pelati e vino rosso allungato,
a un passo dalla strada un cumulo
di polveri di caffè in una aiuola. Risolvo
e sono a un cancello aperto
dove bastano basse delle nuvole
a due fratelli e due fratelli altri
entrano e hanno anche ora quelle gambe
che scottavano al sole.
Reale è un marciapiede irrisolto
con gli attacchi dei rubinetti
negli stessi buchi in cui credi,
si destano i violenti detti, i proverbi
e da qualche nastro registrato le voci
che ridono dei loro congedi: vigliacco d’un tempo
o maledetta primavera perché pioveva.
Qua quasi tutti hanno pensato quando
farsi una casa per morire in piedi.
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