La recensione seguente di Massimo Bacigalupo a Chicago Poems di Carl Sandburg è apparsa con qualche variante ne "L'indice dei libri del mese". La recensione si riferisce all'edizione italiana di Chicago Poems pubblicata da Sedizioni (a cura di Franco Lonati, premessa di
Francesco Rognoni, pp. 375, 29,99 euro). La prima edizione dell'opera di Sandburg è del 1916. Ringrazio Massimo Bacigalupo per la cortese collaborazione.
Carl Sandburg, un poeta
per tutti, origine svedese, cantore di Chicago, città violenta che però ride
gagliarda e robusta.... A un secolo dalla pubblicazione, i Chicago Poems arrivano in Italia in una edizione integrale il cui
formato sontuoso spero non scoraggerà i lettori dalla (ri)scoperta di una voce
poetica imperdibile. Socialista, populista, Sandburg era stato pubblicato in
Italia dalle Edizioni Avanti! nel 1961 in un bel libretto antologico, e la sola
sezione eponima di questa raccolta è stata riproposta dall’editore Ladolfi nel
2012. Ma ora possiamo leggere tutte le 145 poesie del volume che diede nel 1916
la fama al trentottenne Sandburg, che da allora diventerà un poeta della
nazione quanto se non più del più ombroso (e oggi ammirato) Robert Frost. Le
poesie di Sandburg sono brevi e dirette, parlano in una lingua comune, evitano cadenze
tradizionali, hanno un andamento che accenna alla ballata, spesso aprendosi e
chiudendosi con versi analoghi. Protagonista è il popolo e il paesaggio
americano, soprattutto quello di Chicago con i suoi grattacieli, il porto, il
lago, le periferie, e le vite che vi si consumano: immigrati italiani ed ebrei,
commesse, lavandaie, prostitute, capitalisti. Il mondo delle illusioni perdute
che però in Sandburg non è mai depresso, le persone parlano della loro
condizione, e il poeta ha un suo umorismo rattenuto e una franca disponibilità
all’invettiva. Celebre l’attacco a un predicatore evangelico che si arricchisce
berciando sermoni sull’Inferno (Billy Sunday, come avverte Lonati in nota): “Tu
dici alla gente che vive nelle baracche che Gesù metterà tutto a posto dando
loro ville nei cieli dopo che saranno morti e i vermi se li saranno mangiati
...”. Sandburg fu censurato per questa poesia, ma conservò la sua equanimità. Il
suo risentimento non va a scapito dell’intelligenza e del controllo. Così nella
breve sezione dedicata alle prostitute, Ombre,
leggiamo Colomba sporca: “Diciamoci
la verità; questa signora non era una puttana finché non sposò un avvocato d’impresa
che la pescò fra le ballerine di Ziegfield.
/ Prima di allora non aveva mai preso soldi da nessuno...”. Ma il testo
va letto tutto per gustarne il ritratto e le sue implicazioni. Viene spontaneo
il paragone con la Spoon River Anthology,
dove troviamo storie analoghe, ragazze che lasciano la provincia in cerca di
fortuna e finiscono se va bene sposate a uno spiantato nobile genovese. Di
Masters è l’elogio riportato addirittura sulla copertina della prima edizione
dei Chicago Poems, e Francesco
Rognoni lo cita nella sua vivace premessa: “È con potenti esplosivi che Carl
Sandburg fa deflagrare dalla massa vitale di Chicago queste figure e maschere
autoctone della modernità. La sua poesia preannuncia l’America Industriale,
l’America degli Affari, e le sue conquiste...”. Rognoni riporta il commento di
Robert Frost alla “sbrodolata” di Masters: “È sufficiente a dimostrare quello
che ho sempre sospettato, non che Masters è proprio morto, ma che non è mai
stato granché vivo”. Questo è un po’ vero di Masters, con i suoi temi e la sua
metrica ripetitivi, ma non del primo Sandburg, che si rinnova di poesia in poesia
nella forma e nella serie di immagini. Infatti egli non è insensibile
all’imagismo che pochi anni prima era stato divulgato da Pound sulle stesse
colonne di “Poetry” dove nel marzo 1914 appare la poesia Chicago insieme con altre che confluiranno nella raccolta: Jan Kubelik (un noto violinista boemo), Sperduto (“Desolato e solo / Tutta la
notte sul lago...”) e l’assai curiosa Momus,
dove emerge (del resto come in Masters) una interrogazione simbolista: “Una
ronzante monotonia dolce come il riso del mare si libra dalla tua bronzea
benevolenza, / Tu mi concedi l’umano sollievo di una vetta di montagna”.
Sandburg parla in prima persona, forse con un senso scandinavo di accettazione
impassibile dei travagli del mare, ma anche fa parlare i suoi uomini comuni. Come
nella celebre Mag. “Volesse Dio che
non t’avessi mai veduta, Mag”, dice un operaio alla donna con cui condivide una
vita di stenti: “Vorrei che tu vivessi in qualche luogo lontano da qui / E che
io fossi un barbone”. E di altri barboni Sandburg parla, e di quando passò una
notte con loro in galera. Infatti Sandburg piacque a Bob Dylan come menestrello
delle praterie suo predecessore e girava cantando e recitando come quel terzo
straordinario poeta di Chicago che fu Vachel Lindsay. Chicago Poems è di pagina in pagina un libro ricco, scontato e
misterioso, epico ed imagista. Merita sicuramente di essere letto almeno quanto
il suo fratello cimiteriale, Spoon River,
e ora ciò è possibile grazie a questa prima edizione notevolmente (dati i
tempi) coraggiosa. E tempestiva, visto
che di populismo americano si dovrebbe parlare a proposito dei poeti di Chicago
come di Donald Trump, beninteso con accezioni ben diverse.
Massimo Bacigalupo
(Di Massimo Bacigalupo ricordo questa passata intervista apparsa in "Librobreve" e dedicata al Meridiano Mondadori di Wallace Stevens da lui curato.)
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