sabato 26 maggio 2018

"L'esercizio del distacco" di Mary Barbara Tolusso nella lettura di Matteo Giancotti

Questa recensione di Matteo Giancotti a L'esercizio del distacco di Mary Barbara Tolusso (Bollati Boringhieri, pp. 175, euro 14) è apparsa la scorsa settimana su "La Lettura" del "Corriere della sera". 

Giovedì 31 maggio alle ore 18:30 alla Libreria Moderna Udinese si terrà una presentazione del libro nella quale Lorenzo Marchiori dialogherà con l'autrice.


Al centro del racconto di Mary Barbara Tolusso, L’esercizio del distacco, c’è un messaggio che riceve forza non solo dal contenuto ma anche dalla sua variata e insistita ripetizione. Questo procedimento, più lirico che narrativo, è reso efficace dalla competenza che l’autrice ha maturato nella contaminazione dei generi: quando scrive poesie, accenna profili e situazioni narrative; quando scrive prosa, rallenta o blocca la progressione del racconto con la continua variazione lirica di pochi motivi ben definiti. Indubbiamente Mary B. Tolusso sa farsi leggere, nell’uno e nell’altro versante della sua scrittura: in poesia agganciando temi quasi glamour, in prosa costruendo – più che una lingua – un ritmo dalla fisionomia precisa, che dopo alcune pagine diviene identificabile, penetrante, e prende per mano il lettore. E’ un «sound» moderno ed elegante, che non ha nulla di particolarmente ricercato, se non le sue sprezzature: «Eravamo una generazione di raffinati prigionieri in fila per la doccia o per la mensa, con molte regole e molto futuro».

Così la voce narrante di questo racconto definisce il «noi» che ne è protagonista: un gruppo di ragazzi che subiscono con dolce passività un internamento educativo in un collegio eccellente, dove imparano a diventare padroni del proprio destino, già segnato dall’importanza o dalla supponenza dei nomi e cognomi: «Dionisio Malaspina, Rebecca von Habsburg, Gabriele della Torre, nomi di angeli, di dei, nomi sacri». In questa comunità che traghetta verso il nuovo millennio un’élite selezionata con criteri «ancien régime» (quale miglior sede, per il collegio, delle alture che circondano Trieste?) si distingue e riconosce per affinità un sottogruppo, formato dalla protagonista (Sofia Foscarini), Emma e David.
«Io, Emma e David camminavamo a lungo». In questa frase c’è già tutto: l’imperfetto che sfuma il tempo storico in un gesto eterno, l’autosufficienza e la chiusura dei legami adolescenziali, la seduzione indifferenziata che si trasmette dall’uno all’altro dei vertici del triangolo senza ostacoli di genere. In questo tempo dilatato, specialmente dall’effetto della memoria che tende a ingigantire i pochi mesi che si considerano realmente vissuti nella propria vita, i riferimenti cronologici non sono evidenziati ma si lasciano recuperare: Sofia ha 16 anni quando, intorno al 1995, il suo legame con Emma e David tocca, tra le mura del collegio, i momenti più intensi; ne ha venti di più quando si mette a scrivere la storia di quell’amicizia collegiale e di ciò che ne è seguito.

Il libro – che inaugura una nuovo corso per la narrativa italiana Bollati Boringhieri, sotto la guida di Andrea Bajani – è diviso in due parti, la prima senza titolo, la seconda significativamente intitolata «Nel tempo». Se ne deduce che la prima parte, quella dedicata al periodo della vita in collegio, è da considerare fuori dal tempo e da ogni possibile cronologia, poiché l’adolescenza che vi si racconta è stata così intensamente (e insaziabilmente) vissuta che talvolta la protagonista dubita che faccia davvero parte della sua storia personale: «A momenti pensavo che nulla fosse davvero esistito, né i miei ricordi, né il collegio, come se fossi in un perenne letargo». Questo è il messaggio che Mary B. Tolusso continua a far ripetere alla sua Sofia Foscarini in ogni pagina: la vera vita è quella dell’adolescenza, durante la quale prende forma nella memoria un tempo mitico che lentamente continua a irradiarsi e a distillare il suo senso nell’età adulta, che altrimenti si rivelerebbe qual è, vuota e insopportabile.

 L’atmosfera del collegio dà una caratterizzazione peculiare a questo mito dell’adolescenza che accomuna la Tolusso a molti autori (tra i quali Goffredo Parise, non ininfluente in questo libro): i ricchi ospiti vengono educati al «distacco» da ogni troppo accesa passione, da ogni legame troppo forte, acquisizione fondamentale per una migliore gestione del potere che certamente avranno nella vita adulta. Sofia, Emma, David, che accettano, senza protestare, la garbata coercizione della signorina Stein e di suor Sara, certo non hanno una giovinezza turbolenta ma le loro passioni, paradossalmente, sono anche più cariche di come sarebbero state fuori dal collegio. Sotto la morbida pressione dell’ambiente, il senso di prossimità e insieme di inafferrabilità della vita, tipico dell’adolescenza, diventa una specie di calore bianco che fonde l’esperienza; la realtà scompare, ma il suo alone cresce e acceca.

I tre protagonisti declineranno ognuno a proprio modo, nelle rispettive esistenze post-collegiali, l’educazione istituzionale e quella sentimentale ricevute in quegli anni, ma fin da subito Sofia si distingue dai compagni per la ricerca di una dimensione meno ovattata, più reale. Le sue fughe notturne dal collegio, in direzione del confine, la portano in uno spazio senza regole, apparentemente ambiguo e pericoloso, dove però il delirio di un’energia senza sbocchi può trovare, se non altro, un argine. Anche per l’organizzazione simbolica dello spazio, come per quella del tempo, Mary B. Tolusso ha costruito un congegno narrativo semplice e funzionale.

Matteo Giancotti

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