domenica 10 giugno 2018

Oltre la letteratura, conversazioni con Susan Sontag: "La mia vita è la mia capitale, la capitale della mia immaginazione. Mi piace colonizzare."

Chissà se era vero che Susan Sontag non leggeva mai le recensioni ai propri libri, nemmeno quando erano totalmente favorevoli, e se se le faceva raccontare dagli amici in termini di "like". Dobbiamo crederle, del resto, anche perché detestava le recensioni. È uno dei tanti aspetti di cui si può fare conoscenza leggendo questo libro di piccolissimo formato pubblicato da Medusa Edizioni e intitolato Oltre la letteratura. Conversazioni con Susan Sontag (pp. 116, euro 13, cura e traduzione di Luana Salvarani). Il volume raccoglie quattro conversazioni-interviste rilasciate dalla scrittrice a Geoffrey Movius, Eileen Manion e Sherry Simon, Edward Hirsh e Tom Robotham per testate come "Boston Review", "The Paris Review" o "Port Folio Weekly". Editorialmente parlando, per l'Italia, si tratta di un volume di passaggio, in un frangente storico in cui, a ben vedere, si fatica non poco a trovare le traduzioni italiane dei suoi libri, per la maggior parte non disponibili e fuori catalogo. Di recente, e sempre inquadrabile nell'ottica dell'intervista, c'è da ricordare il volume pubblicato da Il Saggiatore Odio sentirmi una vittima, l'intervista di Jonathan Cott su "amore, dolore e scrittura". E non è un caso che con Sontag torni costante l'attenzione primaria alla scrittura, perché al di là di tutto quello che si può dire e accentuare della sua figura, stiamo parlando di una scrittrice piena, che confessa di aver imparato molto sulla punteggiatura e la velocità da Donald Barthelme, mentre su aggettivi e ritmi della frase riconosce un debito grande a Elizabeth Hardwick (di cui il lettore italiano cercherà invano qualcosa di tradotto).


Le quattro conversazioni qui radunate affrontano temi ricorrenti, che hanno come legante la scrittura, ma spaziano dalla guerra al femminismo, dalla realtà accademica alla necessità della scrittura fuori da questa, da considerazioni generali su fiction e non-fiction a aspetti molto concreti dell'atto di scrittura (Sontag sostanzialmente ha evitato il word processor a lungo). Apprendiamo ad esempio, a seguito delle insistenti domande degli intervistatori, che per lei "intellettuale" è quasi esclusivamente un aggettivo e non un sostantivo. Capiamo che, a dispetto dell'immagine che in Italia abbiamo di lei, si vedeva come una scrittrice di fiction e non tanto di saggi. Puntella continuamente le risposte con considerazioni che diventano importanti per ripercorre tutta la sua opera e il senso dello scrivere, come quando ad esempio dichiara "La mia vita è la mia capitale, la capitale della mia immaginazione. Mi piace colonizzare" oppure quando ricorda "non scrivo perché c'è un pubblico. Scrivo perché c'è la letteratura". E così, tra dichiarazioni d'amore per certi autori e opere, ricordi di viaggi o ritorni frequenti al suo saggio più noto Sulla fotografia, c'è spazio per qualche divagazione temporale e spaziale, come quella sulla letteratura russa del Diciannovesimo secolo, nel momento in cui Edward Hirsh le chiede se l'obiettivo della letteratura è educarci alla vita:
Sì, ci educa alla vita. Non sarei la persona che sono, non capirei ciò che capisco, se non fosse per certi libri. Sto pensando alla grande questione della letteratura russa del Diciannovesimo secolo: come si dovrebbe vivere? Un romanzo che valga la pena di leggere è un'educazione del cuore. Esso amplia il nostro senso di possibilità umana, di ciò che è la natura umana, di ciò che accade nel mondo. È un creatore di introspezione.
E su questa riflessione, anche molto controversa (fossi stato l'intervistatore le avrei chiesto di approfondire il concetto di "natura umana", che non mi pare così semplice e dato una volta per tutte) chiudiamo con un invito ad avvicinare questo breve libro, in attesa che l'opera di Susan Sontag torni ad avere anche in Italia una maggiore agilità di frequentazione. Non ci si spiega infatti la portata e l'onda lunga della sua riflessione, sin dalle sue Notes On "Camp" del 1964, se confrontata con la pochezza di quanto disponibile oggi in libreria.

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