venerdì 19 ottobre 2018

"Dopodomani non ci sarà. Sull'esperienza delle cose ultime" di Luca Rastello

“Non è mai finita”: Dopodomani non ci sarà. Sull'esperienza delle cose ultime è il libro postumo di Luca Rastello (pp. XIV-304, euro 16,90, con una prefazione di Monica Bardi). L’ha pubblicato Chiarelettere quest’estate, a tre anni dalla morte avvenuta il 6 luglio 2015. È un libro composito, per più aspetti problematico. La prima parte del titolo si riferisce al romanzo in formazione che Rastello non ha potuto chiudere. Fino al giorno prima della morte il titolo era “La luce” e dalla prefazione apprendiamo che la cartella che conteneva il tutto si chiama "Progetto grande ospedale". Il gesto estremo di cambiare titolo al file, poche ore prima di morire, raccontato lucidamente dalla moglie nella prefazione, ci dice probabilmente di una volontà di racchiuderlo e farlo leggere comunque, per quanto non finito, rannicchiato in una forma appena abbozzata. Per chi resta, è sempre difficile e delicata la gestione di simili situazioni, a maggior ragione se l’opera consta di un primo capitolo compiuto e poi di altri capitoli allo stato di abbozzo breve o addirittura molto breve, tanto che persino l'ordine in cui appaiono è stato arbitrariamente deciso dai curatori stessi. È uno dei tanti problemi dell'eredità di qualcosa e qualcuno e l'eredità letteraria non fa eccezione. Tra l’altro per Rastello non bisognerebbe mai concentrarsi sulle “cose ultime” del titolo, semmai è meglio far deviare quell'aggettivo in “Penultime”, come titola il pezzo che critica le cure alternative riproposto in coda al libro (è la prefazione al libro del 2009 Undici buone ragioni per una pausa pubblicato da Bollati Boringhieri). Sono le cose penultime quelle di cui si può scrivere e quelle di cui verosimilmente vale la pena scrivere. Si diceva libro composito, perché oltre al romanzo che si stava formando negli ultimi tempi della lunga malattia, questo libro è composto di molte parti: c'è la prefazione di Monica Bardi, prima dei frammenti dal romanzo potrete leggere lo scritto “Del morire”, mentre alla fine trovano posto i contenuti del blog del Malato Riottoso, il già citato “Penultime”, il saggio sull'Antigone sofoclea ("Ogni morto contemporaneo è Polinice" si legge ad un certo punto del romanzo-bozza) assieme a quello stupendo sugli infiniti, indugianti rivoli del Tristram Shandy di Laurence Sterne, anzi, per esteso, su Vita e opinioni di Tristram Shandy, gentiluomo (certi titoli, più di altri, non andrebbero mai abbreviati). Quello di Sterne è un "romanzo digressivo", della morte che insegue e delle opinioni-come-morte, della scrittura che influisce sul tempo e lo moltiplica, della dilatazione come resistenza al male, è romanzo della trovata di entrare nel romanzo, romanzo fondatore e distruttore del romanzo stesso (la nascita di Tristram, non prima di duecento pagine, è un "capolavoro di rifiuto" nelle parole di Carlo Levi). Quelli sulla tragedia sofoclea e su Sterne sono due scritti che inquadrano il polso del saggista. A chiusura del libro si trova la lunga lettera di commiato indirizzata alle figlie Elena e Olga ("Spero di avervi infilato nel cuore almeno il seme della curiosità").

Quasi metà del volume di Chiarelettere coincide con il romanzo incompiuto, il romanzo-bozza, che si presenta in un'ambientazione ospedaliera, nell'istituzione semi-totale, per riprendere con lieve variazione la categoria di Erving Goffman usata per carceri e ospedali psichiatrici in Asylums (libro del catalogo Einaudi, tradotto in italiano da Franca Basaglia). L'aria è tutta quella di un materiale preliminare. La morte ha interrotto questo testo in divenire e la morte - ha scritto Daniele Giglioli per questo libro - "interrompe il tempo del singolo, certo; ma anche lo moltiplica, lo rende tangibile, prezioso, pluridimensionale" (un po' quello che fa la scrittura nel libro di Laurence Sterne). Il passo è quello che potremmo chiamare del romanzo-saggio, novel-essay, ricordando la formula di un recente libro di Stefano Ercolino uscito in inglese prima e poi per Bompiani, che però afferra una cornice temporale di molto anteriore ai nostri giorni. I nuclei del discorso di Rastello interrompono continuamente il flusso di una possibile vicenda e nei brevi capitoli che seguono il primo compiuto capitolo Rastello adagia le proprie incursioni squisitamente saggistiche. Una delle frasi delle figlie che Rastello si porta dentro è appunto "Non è mai finita" (viene quasi da completarla, come nella canzone di Gaber E tu mi vieni a dire). Chi cercherà in queste pagine un romanzo non lo troverà, eppure questo non deve né togliere né aggiungere un grammo di interesse per la pubblicazione. Questo è quanto Luca Rastello è riuscito a portare a termine, n
on deve preoccupare lo stato preparatorio di abbozzo o frammento, perché una scrittura incompleta può rivelarsi più importante e duratura di tanti romanzi stucchevolmente rifiniti e piallati. È questo il nostro caso.

Per avanzare un esempio, tra i tanti nuclei sviluppati, si potrebbe citare la scottante e scomoda riflessione di Rastello sull'esercito dei volontari e sulle diversificate propaggini del volontariato, qui intraviste dall'angolatura dell'internato in ospedale, tanto che viene da chiedersi se questo poteva diventare un altro suo libro in grado di confrontarsi con questa attività gratuita (un primato italiano, tra l'altro? Se sì, è un bel primato? Non lo so, lancio la domanda. Mutatis mutandis non assomiglia al primato dello scoutismo che Marc Bloch lamentava come segno evidente del fallimento di un'educazione nazionale nel suo La strana disfatta scritto di getto nel 1940 per la Francia spappolata?). Ho scritto "un altro suo libro" perché avrebbe potuto fare coppia con I buoni del 2014, del quale si è molto discusso e dove questo attacco al volontariato era iniziato, anche se lì il discorso era diverso e si parlava di una ONG e di professionisti del volontariato, mentre qui Rastello se la prende con un clown che gonfia palloncini oppure con i professionisti della finta empatia e condivisione. Si arriva al paradosso, illuminante come certi paradossi e esagerazioni, per cui l'ospedale è quel posto dove il malato va per curare l'ego dei volontari. Ma ci sono anche il cosiddetto fine-vita e il testamento biologico tra le fermate di questo itinerario di scrittura. E si registra ancora nella prosa di Luca Rastello un'aderenza ragguardevole tra pensiero e lingua che è diventata rara nel romanzificio nostrano, tendente al raccogliticcio di storie spesso positive, edificanti, rassicuranti, campionari di conciliazioni anodine, preferibilmente già impacchettate per un prevedibile, scontato successo social(e) (ma succede anche nella poesia o nella saggistica, ormai, mettiamoci il cuore in pace). Luca Rastello tempra la scrittura facendo reagire il residuo dell'esperienza saggistica e giornalistica sviluppata in situazioni infernali con un duro apprendistato filosofico. Ecco un passaggio:

Avvicinarsi a una persona è come cadere in un abisso, è puro terrore, qualcosa che ai professionisti della condivisione è totalmente negato: non la conoscono, non sono interessati, hanno già risolto in parole confortevoli il problema di avere a che fare con altri umani. Avvicinare una diversità dolente impone di tener conto non solo del dolore, ma anche della diversità, ciò che il volontariato invece annulla e impedisce. Chiamano partecipazione, empatia, condivisione un surrogato che ha come solo effetto quello di anestetizzare il senso di vertigine che nasce dalla mancanza di vera partecipazione, vera empatia, vera condivisione. Si drogano. E la droga la pagano i malati.
Il bon ton letterario, richiesto anche da certi editori un tempo considerati di punta e di ricerca, è evidentemente e per fortuna lontano da qui. Quando scrive di libri Rastello è ugualmente fendente e preciso, ci rammenta il paradigma imperante della vittima magari applicato all'autore di turno, ci parla di un terreno nel quale Nabokov perde rovinosamente "mentre Paulo Coelho si impone con la leggerezza di una catastrofe universale". Non esiste letteratura se comanda solo quel bon ton che qualsiasi industria impone e a tratti è come se Rastello, senza illividimenti o livori, ci ricordasse questo assunto, tanto basilare quanto dimenticato nel contesto dopato e spacciato dei like. E il punto non è allora scrivere il "grande romanzo di qualcosa", ma capire che nell'eterna confusione di male e bene ci sarà sempre una nuova sconquassante domanda da porci. Succede in queste pagine, può succedere leggendo Piove all'insù, I buoni che all'epoca entrò in un tunnel di polemica feroce o La guerra in casa. Sempre Giglioli ricordava, scrivendo di Piove all'insù - per il quale fra l'altro trovava restrittiva l'etichetta di "romanzo degli anni Settanta" - che "i bei libri si coniugano sempre al futuro e ci chiedono di interrogarci, più che su cosa siamo stati, su cosa potremmo ancora essere". Anche Dopodomani non ci sarà si coniuga al futuro.


P.S. Chi vuole leggere la lettera alle figlie trova un estratto quiqui invece c'è lo scritto su Vita e opinioni di Tristram Shandy, gentiluomo di Laurence Sterne, nel quale Rastello si sofferma anche su Le vicende del bravo soldato Švejk di Jaroslav Hašek.

1 commento:

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