sabato 24 settembre 2011

"Antartide" di Laura Pugno



Che libro bellissimo. Lo so, non è il modo migliore e più credibile per iniziare a parlare di un libro che si è letto e apprezzato in tutte le pieghe. Ma quando un romanzo sa essere convincente dal primo all'ultimo capitolo, in ogni riga, nei dialoghi, nei gesti che appartengono intimamente a dei personaggi che si svelano a poco a poco, la prima reazione è quasi una sensazione di invidia per chi l'ha scritto. Dico questo consapevole di toccare un argomento poco discusso, cioè quella naturale invidia (forse non è la parola corretta?) che sorge quando è evidente che chi ha scritto il libro aveva in mano, in testa, persino nelle gambe lo sviluppo della storia, la lingua, lo stile, i rimandi interni e persino il messaggio (termine un po' desueto, ma evidentemente Laura Pugno ha fatto delle larghe riflessioni sul tema della morte, dell'eutanasia, delle cure palliative). Ho letto che l'autrice ha impiegato tre anni a scrivere questo libro tutto sommato breve (non potrebbere essere diversamente, direte voi, visto il titolo di questo blog). Il lungo lavoro-lavorio è stato ripagato e mi auguro che l'attenzione dei lettori sia grande come lo sforzo di Laura Pugno.


Antardide (Mimimum Fax, pag. 155, euro 13) - un titolo splendido tra l'altro, che sembra giocare con quelli di Henry Miller - si riferisce al luogo dove ha inizio la vicenda. Il protagonista, Matteo, è al polo per una missione scientifica. Poche pagine sono dedicate a questo luogo, dove Matteo, durante un'immersione, rischia di perdere la vita (una situazione al limite del suicidio, ma qui vige la regola della reticenza). Antartide è un luogo-metafora che dà il senso al divenire della storia. Subito dopo, Matteo è catapultato nella sua Roma, a "rincorrere" il padre morto. Qui rientrerà in contatto un amico medico del padre, con l'ex moglie Sonia, dalla quale ha avuto la figlia Micòl (quanta bravura anche a inventare i bambini, lo noterete sia con Micòl che con Cati). Definirei questo un libro dell'in medias res. Ogni incastro avviene nel bel mezzo delle cose, quando le situazioni sono già mature, in stato avanzato (se non terminale) oppure quando le tragedie sono avvenute. Questa è l'ulteriore caratteristica eccezionale dell'ultima prova di Laura Pugno. A tratti vi si possono trovare echi buzzatiani.


Ma avevamo lasciato Matteo alle prese con la morte del padre. Suo padre è morto in treno, mentre si dirigeva versa La casa di Miriam, una struttura alberghiera tra Italia e Francia dove chi vive lo stadio terminale di una malattia inguaribile può decidere come morire. Il lettore è progressivamente spiazzato da quanto avviene in questo albergo, dall'incontro tra Matteo e Sonia, dal singolare rito funebre del padre di lei. Qui impareremo a conoscere anche Cati, la figlia di Miriam, che vive un attaccamento morboso per la piccola Micòl. Qui vedremo lo svelarsi di Miriam, capiremo alcune cose fondamentali legate al passato e al presente di Cati. 


C'è anche un saper tenere insieme tre generazioni vicine in questa nuova uscita narrativa di Laura Pugno (ricordiamo che la Pugno si è cimentata anche con la poesia, il teatro e la traduzione). Matteo, punto di legame e rottura tra la generazione che lo precede (suo padre, suo suocero, il dottore amico del padre) e quella che lo segue (Micòl, Cati), è un personaggio tra i più riusciti della recente narrativa. Assieme all'ex moglie Sonia e alla misteriosa Miriam costituisce l'asse portante della narrazione. Mi fermo, perché è un libro che va letto e non raccontato (e io l'ho svelato pure troppo).

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