Scrivevo "voce più interessante". Importante è notare cosa scrive nell'introduzione riguardo il rapporto con la voce la stessa Calandrone:
"In me e nei poeti della mia generazione la voce è stata una scoperta tarda e di occasione. Nel cominciare a leggere in pubblico, ho istintivamente scelto di scomparire come essere umano sentimentale. Altrimenti mi sarei messa a piangere. Di amore, non di pena. E di riconoscenza per chi mi stava a sentire. Per voi che in quel momento condividevate l’assoluto silenzio del mio io."
Un consiglio: leggete il libretto dopo aver ascoltato la sua voce dal CD. Vi sembrerà che la stessa storia sulla pagina prenda fiato da ciò che avete ascoltato prima. E con quello si arricchisca.
Primo pensiero: quando si legge un'opera di Maria Grazia Calandrone, sia essa poesia o prosa, è davvero lecito porsi una domanda: che cosa può una lingua? E che cosa può l'italiano? Credo davvero che nelle sue pagine troviamo distesa la profonda vitalità della nostra lingua nella sua forma più smagliante.
Primo pensiero: quando si legge un'opera di Maria Grazia Calandrone, sia essa poesia o prosa, è davvero lecito porsi una domanda: che cosa può una lingua? E che cosa può l'italiano? Credo davvero che nelle sue pagine troviamo distesa la profonda vitalità della nostra lingua nella sua forma più smagliante.
Secondo pensiero: in questa storia d'amore tra la protagonista e Ludo, figura maieutica, ermeneutica, enigmatica e... ludica, si ha la sensazione di una realtà che trafigge il soggetto senziente, di una realtà "data" nel sentire, anche quando non pienamente appresa (smarrimento e incomprensione avvolgono la protagonista), la stessa sensazione che in poesia può venire dalla lettura di Mario Benedetti. La produzione di Maria Grazia Calandrone pare poggiare su quella "razón vital" che ci hanno così ben illustrato un filosofo straordinario come José Ortega y Gasset e la sua altrettanto straordinaria allieva María Zambrano e nella sua scrittura troviamo un nuovo legame (alleanza?) tra io e le cose, l'anticipo della realtà e della circostanza sull'idea, il senso di una materia linguistica che è dato empirico con il resto. Non sarà un caso che in questo libro possa riemergere, delicatamente ma con vigore, quella eccezionale e forse irripetibile riflessione sul sogno, segnatamente spagnola (un fiume carsico che passa per Calderón, Cervantes, Unamuno e la stessa Zambrano), che viene restituita in una rilettura aggiornata, davvero all'altezza del nostro tempo. Che cosa vuol dire vivere, sognare, scrivere e morire (ancora "vita e scrittura", quel binomio che la Calandrone avvicina con un'intonazione inedita, così come aveva fatto, molto prima di lei, Amelia Rosselli) all'altezza del nostro tempo? Il percorso di Maria Grazia Calandrone ci interessa perché pare che conduca, libro dopo libro, a un tentativo credibile di risposta a questa domanda.
Terzi pensieri: il "mélo" del titolo è, a mio avviso, un'allusione neanche troppo celata anche alla nostra fascinazione tecnologica (nulla mi vieta di pensare a... Apple), ad una realtà che purtroppo ci sta inesorabilmente trasformando in bi-dimensional men, è il rapporto con le altre arti che Maria Grazia Calandrone conosce e perlustra attentamente, l'ossessione pittorica della voce narrante, è finanche - io credo - una rivisitazione del "melòs" greco e forse del melodramma, un melodramma circolare, un loop. Gli esiti di questo breve libro, costruito con capitoli-frammento, sono tutt'altro che tragici e tendono invece a situazioni che pendolano tra l'umoristico e l'onirico, tra il comico e l'orrore da commedia. Ecco allora che il rapporto tra poesia e prosa (lo pseudoromanzo) si salda.
Conclusione, quarto pensiero: un libro questo che, come il braccio di una gru, ci preleva senza mezze misure dal territorio periferico delle discussioni a vuoto e senza senso e ci lascia cadere nel mezzo dell'arena dove è in atto la trasformazione/adattamento della pratica della scrittura. Che ci piaccia o no, un'arena dove dobbiamo tornare a stare.
Conclusione, quarto pensiero: un libro questo che, come il braccio di una gru, ci preleva senza mezze misure dal territorio periferico delle discussioni a vuoto e senza senso e ci lascia cadere nel mezzo dell'arena dove è in atto la trasformazione/adattamento della pratica della scrittura. Che ci piaccia o no, un'arena dove dobbiamo tornare a stare.
Quale Mario Benedetti? :-)
RispondiEliminaPaola
Il Mario Benedetti italiano.
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