Nessun consuntivo (200 pagine di cui buona parte occupate da foto in bianco e nero, Antiga Edizioni, euro 25) è il titolo di un libro uscito per i novant'anni di Andrea Zanzotto per la cura di Carlo Ossola. La componente occasionale del volume ha cambiato segno nel giro di pochissimo tempo. Ma oggi, a pochi giorni dalla morte del poeta, è un titolo che suona più che mai corretto e accorto. La notizia della morte del poeta ctonio (la definizione è di Gianfranco Contini, in chiusura della prefazione al suo libro forse più riuscito, Il Galateo in bosco del 1978) ha fatto un po' tremare la terra. Lui, poeta del megatempo della geologia, l'uomo che invitava a non scordare i paleosismi registrati nella zona del Quartier del Piave, lui che aveva intitolato splendidamente un suo libro di interventi critici Fantasie di avvicinamento era distantissimo da un'idea di consuntivo, così come la sua poesia, espressione migliore di quelle fantasie di avvicinamento.
E quindi men che mai ha senso che provi io, qui, a tracciare una specie di consuntivo, sullo spunto offertomi da questo volume arricchito dalle foto di Nicola Giuseppe Smerilli, dai testi di Carlo Ossola, dal ricordo di Giuseppe Zaccaria, rettore dell'università di Padova, e dalla bella lettera inviata a Zanzotto da Giorgio Napolitano in data 5 ottobre 2011 e riportata nella parte introduttiva. Non ha davvero senso tentare consuntivi sulla scia delle notizie di segno opposto che si sono rincorse in pochi giorni: sarebbe il modo peggiore per ricordare la tensione amorosa della sua poesia. Una tensione positiva, poesia che sgorga da un "tradire per amore", come titola un fondamentale contributo che Stefano Dal Bianco dedicò all'aspetto metrico della poesia dei suoi esordi. Eppure non mancano nei suoi versi la catastrofe, le catastrofi e le cose intollerabili della Storia e dell'uomo o altre terribilità introiettate dalla sua anima-psiche (fu Montale a parlare in questi termini, di anima e psiche). Di Zanzotto è la migliore poesia del secondo Novecento, un secondo Novecento che alla fine aveva contribuito ad inaugurare con Dietro il paesaggio che data eloquentemente 1951. Un'impressione: forse negli ultimi tempi si è registrato un deficit di attenzione verso la sua poesia. Azzardo un'ipotesi magari balorda, che probabilmente non ha senso dato che la vita è finita nel senso letterale dell'aggettivo "finita": negli ultimi anni è come se il poeta si stesse ricaricando, quasi una nuova infanzia. Chissà cosa avrebbe scritto Zanzotto tra venti e trent'anni. Certo, chiunque può obiettare che simili discorsi dell'impossibilità, simili adynata, lasciano il tempo che trovano, che si potrebbero applicare a qualsiasi poeta, per giunta ai poeti che non hanno avuto la sorte di arrivare a novant'anni. Ma l'ingenuità di questo paradosso vorrebbe servire a riportare l'attenzione necessaria sul suo lavoro, proprio oggi quando viene talvolta "liquidato" come troppo complesso e arduo (è una preoccupazione alla quale dà seguito lo stesso Stefano Dal Bianco in un suo contributo recente, giustamente rivolgendosi alle future generazioni di lettori). Zanzotto stesso aveva risposto ad una domanda di un'intervista che "non basterebbero novecento anni per capire qualcosa della vita". Aveva semplicemente aggiunto uno zero a una domanda che riguardava i suoi novant'anni. Nessun consuntivo, nessun traguardo. Aveva anche dichiarato che è molto più importante quanto sta accadendo attorno al neutrino rispetto al compleanno, con quella consueta apertura nei confronti dell'attualità scientifica.
Sono fiducioso che il deficit di attenzione, se deficit è stato, non rientrerà "banalmente" per effetto della notizia della scomparsa. Ci vorranno degli anni, decenni forse. La sua poesia non si imbriglia, lui stesso non è mai stato imbrigliato in gruppi o correnti, e proprio per questo ha costruito negli anni delle relazioni fondamentali, non soltanto con i grandi della letteratura, in Italia o all'estero. Il deficit di attenzione rientrerà perché la sua poesia si pone in un dialogo incessante con la terribile complessità degli accadimenti della Storia, del "Mondo" della sua poesia più antologizzata. Gian Mario Villalta, nel suo ricordo apparso su Il Corriere del Veneto del 19 ottobre, ha fatto benissimo a scrivere del suo dolore quando sente definire Zanzotto come "poeta che canta i Palù e schifa i capannoni". Villalta, che è stato tra gli studiosi più assidui della sua opera, giustamente scrive che sarebbe all'incirca come "sentir dire che Dante canta le virtù cristiane e ripudia i peccati". E il nome di Dante non è speso a caso, tra i molti riferimenti possibili ai grandi poeti. Evitiamo, oggi più che mai, semplificazioni, banalizzazioni o prese per la giacchetta. Fanno davvero del male a noi e al suo ricordo, al futuro della sua poesia. Anche sfogliando e leggendo questo volume curato da Carlo Ossola rimbalza un pensiero: la sua poesia ha un futuro, è un motivo per essere contenti nonostante il vuoto lasciato dalla sua scomparsa.
Nautica celeste
Vorrei renderti visita
nei tuoi regni longinqui
o tu che sempre
fida ritorni alla mia stanza
dai cieli, luna,
e, siccom'io, sai splendere
unicamente dell'altrui speranza.
da IX Ecloghe, 1962
Nautica celeste
Vorrei renderti visita
nei tuoi regni longinqui
o tu che sempre
fida ritorni alla mia stanza
dai cieli, luna,
e, siccom'io, sai splendere
unicamente dell'altrui speranza.
da IX Ecloghe, 1962
...Un po' commosso sono anch'io. Ciao. Roberto.
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