Ripescaggi #1
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Un po' per mancanza di tempo per scriverne sempre di nuove, un po' perché mi dispiace vadano disperse, un po' perché non so se siano più deperibili le vecchie riviste di carta con cui ho collaborato in passato o questi archivi digitali chiamati blog. Inizio allora a (ri)pubblicare alcune recensioni che ho dedicato a dei libri brevi negli ultimi anni. Lo trovo un modo per rimescolare le carte, per tornare a proporre libri non vecchissimi, al di fuori di una logica stretta di novità. La seguente recensione al volume contenente le lettere di Paul Celan a Diet Kloos-Barendregt intitolato Cerca di ascoltare anche chi tace (Archinto, 2005, pp. 110, euro 15) era uscita per "daemon - libri e culture artistiche".
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Ancora una volta sono alcune lettere a far luce sulla parabola esistenziale di Paul Celan. Dal luglio del 1948 Paul Celan è a Parigi dove inizia una stagione di importanti incontri reali e intellettuali. A Parigi prende contatto col poeta ebreo-alsaziano Yvan Goll, qui inizia il suo studio determinato di Heidegger, e sempre qui, nel 1950, conosce la disegnatrice grafica Gisèle de Lestrange che sposerà nel dicembre del 1952. Da Parigi - e a Parigi - Celan cerca di ripartire, nel senso autentico e profondo del verbo, dopo il disastro materiale e morale della guerra. Ed è proprio nella capitale francese che nasce quasi per caso un'amicizia breve e intensa con una futura cantante di musica sacra, la giovanissima vedova Diet Kloos-Barendregt, ebrea olandese. Il libro che Carlo Mainoldi ha tradotto per Archinto raccoglie le dodici lettere che il poeta inviò a Diet Kloos tra l'agosto del 1949 e il luglio del 1950.
Il numero esiguo delle lettere e i vistosi silenzi tra l'una e l'altra non devono far pensare a uno scarso 'investimento' di Celan in questa corrispondenza: ogni lettera è un accento di un discorso modulato su intervalli di silenzio (di qui la frase felicemente prelevata per intitolare il libro). Questa dozzina di lettere a Diet Kloos e i silenzi tra l'una e l'altra lasciano intravedere la necessità fisiologica (nell'accezione più concretamente corporea della parola) e l'intenso sforzo nel ristabilire le relazioni tra persone dopo lo spappolamento della guerra e la rovina dell'Olocausto. Sullo sfondo sta l'ossessiva ricerca di un Tu al quale rivolgersi.
Tra i vari riferimenti alla vita parigina che nelle lettere trovano spazio, spicca l'incontro fortuito tra Celan e un collaborazionista norvegese: il poeta comprende in quest'occasione, in modo drammaticamente definitivo, che il tempo passato e il suo carico di orrori continueranno a perseguitarlo, nonostante il desiderio di 'ripartire' e nonostante la volontà di 'rifondare' i propri sensi devastati dagli eventi bellici: "Ti rendi conto che il tempo di cui credevo di essermi liberato è più maligno di quel che pensassi? Rieccolo qua, e non da solo, è tornato con i suoi individui, con tutto il canagliume, del quale si pone al servizio! No, non è qui di nuovo, era già qui, quando i miei pensieri scivolavano all'imperfetto […]". Detto con altre parole, poco più in là, nella stessa lettera, affidandosi a quel potere comunicativo che solo i paradossi hanno: "Tutto è troppo pesante, perché tutto è troppo leggero". Questo all'altezza del 1949; il modo in cui si interruppe la parabola di Celan, sempre a Parigi, nel 1970, è cosa nota ai frequentatori delle cronache di letteratura.
Già... Celan e le lettere che ha scritto. Un binomio davvero imprescindibile... come queste. Francesca
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