mercoledì 30 novembre 2011

"Canti dell'offesa" di Fabio Franzin: molto più dell'indignazione.


C’è ormai un’onda lunga che dura da qualche tempo, anche a livello editoriale, ed è quella dell’indignazione. Non serve qui enumerare gli esempi. A mio avviso quest’onda ha mostrato anche certi limiti, il marketing e il giornalismo hanno trasformato in prodotto di facile smercio qualcosa che aveva una qualche ragion d’essere, una parola che poteva diventare rilevante. Serviva allora un poeta che riprendesse le scaturigini di quell’onda e la restituisse sotto una luce più adeguata, quella dell’offesa. Credo si possa iniziare a raccontare anche così Canti dell’offesa (Il Vicolo Divisione Libri, pp. 48, euro 10, per contatti editore@ilvicolo.com), l’ultimo libro di poesie di Fabio Franzin.

Offesa è molto più di indignazione. Serviva un poeta per farcelo notare. L’offesa urta, tocca, provoca danno, ricade sul corpo dell’offeso. Franzin sceglie la terzina per contenere tutto, una scelta stilistica che apre da sola molteplici sfondi di lettura (da quello religioso, anche qui in senso etimologico, come un patto saltato irrimediabilmente). Ancora Dante, più di altre corone della nostra letteratura, sembra indirizzare molta parte della poesia italiana e personalmente reputo interessante questo dato. La terzina è anche poesia morale, allegorica, è quel Pascoli che il Franzin dialettale ha rielaborato, terzina è Le ceneri di Gramsci (e allora, a proposito, leggiamo: “Guarda poi quando sanno di essere / ripresi quando sono ospiti in un talkshow / un programma nessuno che sappia // star zitto un po’ ascoltare scattare biliosi / sulla sedia rubarsi le parole via di bocca / sputare sentenze insulti bieca saggezza // risse create ad hoc per l’audience lo so sì / scelte prima a tavolino le parole che pena / però vedere Platinette al posto di Pasolini.”). Cantare l'offesa sembra un ossimoro, eppure non poteva essere altro titolo: solo l'elevazione della voce umana può cantare l'offesa, spiccare nella coralità odiosa e tediosa dei media, provare a rimagliare, a partire dal sentimento di offesa, un nuovo stare assieme degli uomini E credo anche che, se c'è qualcosa da rivalutare in un autore forse frainteso e letto oggi malamente com'è Pasolini, sia proprio questo aspetto, il Pasolini delle Lettere luterane, ad esempio.

C’è molta televisione in questo libro di Franzin. Vi rimando anche alla poesia che riporto in chiusura dove rientrano magnificamente il dolore, la famiglia, il consumo, l’entertainment, il "tecnicismo infantile”, le marche che popolano le nostre giornate. Poi c’è persino Unamuno in Franzin, il filosofo spagnolo che parlava della vita come di un problema “religioso-economico”. La poesia di Franzin è anche questo saper reggersi in uno straziante equilibrio di un sentimento religioso che ha sempre uno sguardo puntato sull’economia bruta, sulla scienza triste per antonomasia (di qui il collegamento con il filosofo spagnolo): “Oggi il kosovaro che lavora con me / mi ha chiesto se potevo imprestargli / cinquanta euro si guardava nei piedi // mentre formulava quella sua richiesta / chissà quanto a lungo meditata - lo sa / che ho due figli il mutuo per la casa // e tutto il resto - e sono sicuro sapesse / anche la mia risposta perché non se l’è / presa sì sì certo comprendo continuava // a dire scrollando la testa intanto che ci avviavamo verso i reparti stretti i guanti / nella mano. Però io non lo riconoscevo // quello che ha dovuto dire mi dispiace / proprio quando suonava la sirena e non / c’era più tempo neanche per la vergogna.”

Oltre al già citato aspetto metrico, avrete notato una sintassi inedita per la poesia di Franzin ma anche per la nostra poesia in generale. L’autore de Il groviglio delle virgole qui lascia poche virgole per strada, addensa, accumula e tiene tutto magnificamente assieme. Virtù della terzina, probabilmente! Trovano posto in tanti in questo inferno degli anni duemila: chi ruba il pezzo di grana al supermarket, chi non può rifarsi i denti, chi ha il terrore della prossima bolletta. Qui Franzin si allontana momentaneamente dalla televisione, che abbiamo visto essere mezzo congeniale per antonomasia nell'esercizio sistematico dell’offesa. C’è in Franzin un sentimento di pietas che non alberga frequentemente nella poesia contemporanea: “Perché è sempre sempre stato / lo straniero il capro espiatorio / di una società quando cieca si // ammanta di un’aurea innocenza / per il carnevale delle colpe ed è / storto il dito che punta al troppo // comodo torto di pelle e di razza / è monco e indica spesso colui che / non c’entra e l’altra mano quella // che stringe la pietra del linciaggio / è corrotta dalla convenienza neanche / si accorge di indicare lo specchio.

Ancora televisione. Il passo più ficcante della prefazione di Gianfranco Lauretano è, a mio avviso, quello conclusivo, un passo da... Italia 1: “Lo spettacolo ingloba i suoi stessi spettatori, nell’estrema menzogna di renderli protagonisti degli eventi, mentre di fatto ne fa dei minchioni: «Ma siamo proprio noi quelli là / quelli che compaiono così allegri / e minchioni nei video fatti in casa». Basterebbe, sì, davvero poco per rendersene conto, basterebbe la parola fragile e, in verità, pericolosissima per il potere (a proposito di Pasolini…) della poesia. Si potrebbe tornare a compatire gli altri, cioè ad appassionarsi con loro del destino comune, ad adirarsi per la giustizia che non c’è, per il pane che manca, per lo sciatto e finto essere umano che stiamo generando.”

Canti dell'offesa è un libro che saprebbe ferire nel modo giusto, se solo potesse essere letto in prima serata in qualche rete solitamente compresa tra il numero 1 e 7 del telecomando.

Ma era proprio così il mondo
che sognavamo? Questa teoria
di strade e viadotti e villette

a schiera le gru a incombere
come diplodochi a sbranarci
luce le case di wafer e sbarre

notti lacerate dall’ululato degli
allarmi e pomeriggi a vagare
fra outlet e centri commerciali

è proprio questa la vita che ci
siamo meritati? La maglietta
scontata del trenta consente

di cenare al Mc Donald’s per
la gioia dei bambini l’happy
meal il regalino fatto in Cina

poi la coda l’anaconda di fanali
nel rientrare giusto in tempo per
la trasferta del Milan sul digitale.

1 commento: