venerdì 11 novembre 2011

"I cani del Sinai" di Franco Fortini

Ripescaggi #4










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Qui sotto ripropongo un'altra recensione che uscì per la rivista "daemon - libri e culture artistiche" all'inizio del 2003. "daemon" è stata una bellissima esperienza di rivista, una palestra, anche di affetti. Voglio fermarmi qui perché il bello delle riviste è che la loro parabola termina quando deve terminare, senza terapie palliative e conservative e senza per forza far sorgere nostalgici rimpianti in chi ha provato ad animarle. Preferisco invece salutare qualche compagno di percorso, se di tanto in tanto passa in queste latebre della rete! Il libro è I cani del Sinai di Franco Fortini (Quodlibet, 2002, pp. 104, euro 8,50, regolarmente in commercio). A rivedere quello che recensivo in passato noto che un'inclinazione a parlare di libri brevi era già presente...
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Fortini scrisse I cani del Sinai nel 1967 dopo la guerra lampo dei sei giorni tra Israele e paesi arabi. La Quodlibet di Macerata ci propone una riedizione dell'opera che usci per De Donato (1967) e poi per Einaudi (1979). Quello che po­trebbe configurarsi come instant book scritto a ridosso di un avvenimento di grande portata è in realtà un libro medi­tato e levigato, nel quale Fortini elabora aperta­mente questioni di stile e tono inerenti alla propria scrittura. È questa una pista da seguire per chi volesse riprendere in mano oggi il testo.


In queste pagine fortemente autobiografiche Fortini mette in discussione il serpeggiante e dif­fuso disprezzo antiarabo, compie analisi sui riflessi storici, politici, etici e ideologici di un importante avvenimento militare sulla propria vicenda personale, senza analizzare cause o con­seguenze della "guerra dei sei giorni".

Questo testo (secondo le parole dell'autore "di apparente polemica immediata e di apparente autobiografia") può oggi essere avvicinato come una inedita opportunità di intendere l'autobio­grafia stessa. Nella bibliografia fortiniana I cani del Sinai si colloca cronologicamente vicino a L'ospite ingrato (1966), altro libro in cui Fortini sperimentò una scrittura breve, ricca di note. Lontano dai rischi intrinseci che possono deriva­re dall'avvicinare storia e vicenda personale, ne I cani del Sinai Fortini ci ha messo davanti all'au­tobiografia come possibile indagine storica, denunciando, una volta per tutte, ciò che sta die­tro l'autobiografia stessa: «La forma autobiografi­ca, dovrebbe capirlo anche un critico di avan­guardia, non è che modestia astuzia retorica. Parlo anche dei casi miei perché certo solo miei non sono. Della mia "vita" non me ne importa quasi nulla.»

Nelle Ventiquattro voci per un dizionario di let­tere (1968, l'anno successivo all'uscita de I cani del Sinai), alla voce "Autobiografia", Fortini scri­verà: «Parlare di sé implica insomma le contraddizione della "falsa coscienza", l'espressione subi­sce tutte le operazioni tattiche del subconscio e dovrebbe quindi essere letta, per principio, senza candore alcuno, come lo storico fa dei documen­ti. Non è, in quanto istituto letterario, né scienza né arte. E tanto ne fa un insostituibile strumento di conoscenza, irriducibile al tipo di esperienza che ci viene dalla lettura dei romanzi.»

I cani del Sinai è un po' tutto questo, è un testo che ha fatto spendere molte definizioni (pamphlet, saggio, autobiografia, racconto) proprio per­ché difficilmente etichettabile. Si fa apprezzare per la rigorosa ricerca formale sottostante, per la chiarezza che l'ebreo Fortini tenta sulle proprie origini, per i molteplici spunti (storici, letterari) che offre.

1 commento:

  1. Io mi ricordo di daemon, eccome mi ricordo. Gran bella rivista... Bravi! Ciao Ludovica

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