Che l’Italia sappia esprimere delle eccellenze nella progettualità grafica e nell’illustrazione editoriale è fuori discussione (per l’illustrazione, ad esempio, vi rimando a Chiara Dattola nel blogroll qui a lato mentre per la riflessione teorica a Riccardo Falcinelli, art director di Minimum Fax, che ha pubblicato Guardare Pensare Progettare. Neuroscienze per il design). E non serve necessariamente risalire a Bruno Munari e Albe Steiner per sostenere questo, oppure, più indietro, pensare a nomi ancora più ingombranti e fondamentali dell'arte del "fare un libro", come Aldo Manuzio o l’incisore-tipografo Giambattista Bodoni del quale Taschen ha recentemente proposto un Manual of Typography da capogiro (già... ci voleva proprio l’editore di Colonia per proporre il manuale dell’engraver di Saluzzo; a proposito, curiosa la prossimità tra il verbo engrave e grave nella lingua inglese... si scava in entrambi i casi!). Vero altresì che, come in tantissimi altri ambiti, l’Italia è stata anche fertile terreno di conquista da parte di grandi personalità che venivano da fuori (i nomi di John Alcorn per Mondadori o Bob Noorda per Feltrinelli salgono rapidamente in cima alla lista). La storia del nostro paese e quella del design (editoriale incluso) sono universalmente note e non serve qui proseguire su questa scia. Recentemente è circolato il numero zero di Watt, la rivista fondata da Leonardo G. Luccone di Oblique Studio e Maurizio Ceccato di Ifix, un microcosmo di narrazione e vera esplosione grafica. Proprio Maurizio Ceccato, per anni art director di Fazi, è una delle personalità di spicco dell’attuale panorama.
Un inciso. Ricordo il sito in cui si presentava con “Maurizio Ceccato è morto”. Lo ritenni un colpo di genio. Non so se fosse quello che intendeva Ceccato, ma mi ha portato a riflettere sul come gestire tra qualche decennio la nostra uscita di scena da una vita che è sempre più in rete. Come farà notizia la morte in rete? Intendo anche e soprattutto la morte di persone non celebri. Sorgeranno forse delle pompe funebri virtuali che si preoccuperanno di ripulire la nostra imbarazzante carcassa internettiana? Se non ricordo male esistono già degli archivi “segreti” (in sostanza dei siti a pagamento) ai quali affidare “in custodia testamentare” eventuali login e password delle nostre identità digitali.
Non capisco un’acca (Hacca, pp. 96, euro 16) non è un libro di grafica editoriale o teoria del design (le tiene già in sé, ampiamente digerite), come la mia introduzione potrebbe lasciar intendere. Questo è un libro d’artista, un’aporia vivacissima fuoriuscita dal cervello di un controllatissimo anarchico della visione. Vi ricordate Palazzeschi? Ripensateci quando vi donate la lettura di queste quasi-filastrocche finalmente libere da “target” anagrafici o di genere (in editoria non è scontato, nei veri artisti invece è già una situazione più frequente!). Inutile aggiungere che la storia dell’inutile, muta lettera H è il filo che lega queste pagine zeppe di meraviglie… ed è anche il nome della casa editrice che pubblica il testo per la quale Ceccato ha già licenziato memorabili esemplari di recente grafica editoriale.
Se vi capiterà, avvicinatevi a questo libro come esplorazione estrema della forma-libro. Ne aveva già accennato anche Matteo Codignola di Adelphi in un’intervista qui pubblicata: il libro è una forma e come tale la possiamo ancora avvicinare. Aggiungo io che possiamo avvicinarla fiduciosi e prudenti, innovando e tramandando, scardinando fellinianamente e oniricamente le regole, per saggiarne ancora nuove possibilità. D’accordo, un libro d’artista rimane un libro d’artista, una cosa diversa dai libri di cui ho scritto fino a qui… ma comunque una delle forme del libro. L’Ariosto scriveva “Chi leva la H all'huomo non si conosce huomo, e chi la leva all'honore, non è degno di honore”. Davvero fa bene, ogni tanto, perdersi nelle storie affascinanti delle lettere (dell'alfabeto). Ecco un bel binomio ipotetico di avvicinamento, Ariosto e Ceccato! Lasciateli divertire!
Bello, mi hai incuriosito. Lo prendo... Marco
RispondiEliminaMagari un pò di storia non fa mai male, qualcuno di nome Tristan Tzara dichiarò qualche anno fa, che "il dada è morto"....fino all'odierno Marilyin Manson con le sue spillette o la frase di una celebre canzone dei Beatles...
RispondiEliminaCerto internet a volte sembra bruciare la storia e la conoscenza, sembra poter bruciare tutto....un pò di umiltà non farebbe male a chi vive solo di un esasperato autoferenzialismo...