sabato 9 giugno 2012

Sebastiano Gatto conta "Le sette biciclette di César"

Quel frequente rapporto di fascinazione, innamoramento tra un uomo più grande e una ragazza più giovane (ne ho parlato anche nella recensione a La suora giovane di Giovanni Arpino) ha molti esempi in letteratura. Così come l’agnizione è un espediente fondamentale di tutta la storia del narrare, pensate soltanto al teatro antico. Il racconto lungo di Sebastiano Gatto intitolato Le sette biciclette di César (Amos Edizioni, pp. 84, euro 9) riesce a fondere questi due luoghi importanti del narrare in una forma tutta nuova, finanche a sfiorare soltanto quell’altrettanto teatrale motivo dell’incesto.

Il protagonista conduce una vita sufficientemente normale, è impiegato in un ospedale dell’area veneziana (leggete questo racconto come una nuova efficace mappatura della Venice area, da Favaro a Mestre, da Venezia agli argini del Brenta). Vive e ha vissuto nei libri, tra i libri e la musica. Nel più banale dei momenti di una giornata lavorativa, la pausa-caffè alle macchinette, si scatena la vicenda che lo porterà all’agnizione finale. Qui incontra una ragazza di molti anni più giovane, in età universitaria. Ne descrive alla perfezione l’abbigliamento. Da questo momento in avanti per lui inizia una breve serie di incontri apparentemente casuali con lei. In realtà questi incontri casuali non sono, visto che sono architettati e favoriti dalla compagna (non solo di appartamento) di questa ragazza.

Per rispetto dei lettori non posso rivelare l’identità della ragazza incontrata alle macchinette del caffè, la quale giunge a scombussolare la vita di questo quarantenne che Tiziano Scarpa, nella quarta di copertina, vede “sospeso in una permanente transitorietà, come se le cose non fossero mai cominciate davvero. La verità è che era lui a non essersene mai accorto”. Ecco, mi avvalgo delle parole dello scrittore veneziano per lasciarvi intuire lo sconquasso al momento dell’agnizione (anche se abilmente Gatto non ce lo descrive, visto che conclude l’opera con la lunga lettera della giovane ragazza che porta a galla tutto il male della verità).

Forse avrete già intuito in quale relazione stanno il quarantenne e la giovane protagonista del racconto in piena età universitaria. Non è difficile. Quel che conta è portare alla luce il movente profondo di questa scrittura, un narrare che si salda, come dicevo in apertura, con una consolidata tradizione (non solo italiana), inserendo ottimi spunti di innovazione. Ad esempio, quel fin troppo didascalico uso della virgola che, da lettore, iniziava ad infastidirmi verso la metà del racconto, si salda alla perfezione con quell’inutile accuratezza formale che a volte alberga nelle nostre esistenze. Procedendo nella lettura, ho compreso che quelle virgole fin troppo scolastiche, fin troppo calibrate nella sua prosa, lì vicine ai pronomi relativi, in coppie a spezzare una subordinata, erano lo specchio migliore del finto ordine esistenziale e vitale che oggi ci sembra di tenere assieme, alla stregua del nostro protagonista (Scarpa parla di "viali delle sue frasi accurate"). Allora non bastano più ben calibrate virgole per tenere testa alle sempre più frequenti insubordinazioni della nostra identità e della nostra storia. Forse non basta più nemmeno la scrittura. Forse serve riscoprire una lettera, come quella che chiude il libro. Le lettere.

Per finire una nota sull'autore, che è nato a Mestre 37 anni fa. Oltre a essere traduttore dallo spagnolo (Julio Llamazares, Miguel de Unamuno) è anche poeta. Potete procurarvi il recente Horse Category, per il Ponte del Sale, e, se vi capita, non farvi sfuggire Padre vostro uscito da Campanotto nel 2000, uno dei più bei esordi poetici di quegli anni.

2 commenti:

  1. Cerco il libro, m'ispira, ciao.

    RispondiElimina
  2. E' fantastico, pochi libri mi hanno tolto il respiro così! complimenti

    RispondiElimina