Poco più di un anno fa, il 18 ottobre, si spegneva Andrea Zanzotto. Molte oggi le iniziative per ricordarlo, non ultima la riproposta di Filò per la collana di poesia di Einaudi (curioso, editorialmente parlando, questo primo approdo einaudiano post mortem, anche se sappiamo che in fondo il gruppo editoriale è legato a Mondadori). Anche chi scrive vorrebbe ricordare Zanzotto a partire da un breve, minuscolo libro, uscito proprio nell'anno della morte del poeta. Si intitola Il mio Campana ed è stato curato da Francesco Carbognin (Clueb, pp. 42, euro 9), autore anche di un importante saggio intitolato L' altro spazio. Scienza, paesaggio, corpo nella poesia di Andrea Zanzotto uscito da Poiesis nel 2007. Nel suo essere piccolo e breve questo libro attraversa un fascicolo fondamentale di percorsi poetici e universi fonici che rimandono al nodo irrisolto tra poesia e follia. Certo, come ricorda Zanzotto, "follia" è parola male-minore a cui ricorrere, in assenza di una parola più adatta.
Zanzotto, nel suo discorso, rimane fedele all'idea di un Campana non catalogabile, così come dovrebbe essere tutta la poesia. In effetti questo è stato anche il destino critico del poeta dei Canti orfici. Egli ricorda inoltre che "quanto finora è stato scritto sull’opera di Campana è,
complessivamente, di alto livello; eppure, vi restano alcuni interstizi
inesplorati vere e proprie zone interdette alla ratio." Poi si lancia in una di quelle sue "fantasie di avvicinamento" che a mio avviso ne fanno uno dei più grandi profili critici del Novecento e che trasformano questo piccolo libro in un pezzo importante del suo lascito. So che lui nicchierebbe, ma per darvi un assaggio di questa grandezza critica riporto per intero questo passo:
"Una
poesia come quella di Campana, infatti, si configura come un flusso
ininterrotto di armonie e di disarmonie di serie melodiche e semantiche
che si sovrappongono e si intrecciano: proprio per questa ragione, la
poesia di Campana risulta terribilmente difficile da cogliere in questo
ipnotico sovrapporsi di strati armonici, nel tentativo, magari, di
rifondarvi l’intera gamma delle associazioni foniche - attraverso gli
strumenti offerti dalle più recenti acquisizioni delle Scienze Umane -
sulla base dei condizionamenti cerebrali, e via dicendo. Ma interessa
davvero tutto questo? Il riuscire a fornire ipotesi attendibili circa i
processi neurobiologici soggiacenti alla produzione di privilegiati
reticoli fonici e semantici, determinati dall’iterazione di elementi
timbrici e lessicali e dal loro disseminarsi nel testo? Certo, non c’è
una sola virgola, in un testo poetico, che non mi interessi. Ma credo
anche che per quanto il “mentore” che ci avvicina a una personalità come
Campana sia diligente, il polverio delle discontinuità mentali di
Campana giunga, in qualche oscuro modo, a fondersi al latteo suono,
direi, dei suoi versi, a queste maree di armonie logiche e di armonie
foniche che si inseguono incessantemente, si intersecano, si fondono e
si differenziano per ricongiungersi ulteriormente, nelle sue poesie."
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