Una poesia da #13
Come si fa a scegliere una raccolta di Giorgio Caproni? Una tra le altre? E poi come si fa a scegliere una sola poesia? Semplicemente si lasciano perdere troppo strutturati ragionamenti e, nella scelta per questo appuntamento breve colla poesia (e con una poesia in particolare), ci si lascia condurre una volta tanto dai titoli. Dal titolo della raccolta, Il muro della terra (Garzanti, 1975, presentazione di Giovanni Raboni), titolo bellissimo nella sua valenza spostata, ruotata e traslata e poi dal titolo della stessa poesia, soprattutto quando quest'ultimo è confrontabile con una constatazione ricorrente nella lettura dell'intera opera caproniana: i suoi testi sono ricchi di toponimi, sia di nomi noti, sia di nomi assai meno noti ma presumibilmente verificabili, sia di nomi più difficilmente decifrabili, come nel caso di questa bellissima poesia intitolata appunto "Toponimi" e posizionata in apertura della sotto-sezione del libro intitolata "Due divertimenti". Anche la datazione della poesia ha dato qualche problema (l'indice del libro con tutte le poesie riporta 196?). Il divertimento caproniano sembra quindi avvolto da un piccolo mistero. Sappiamo che si tratta di una poesia degli anni Sessanta, probabilmente della seconda metà, visto che il libro in questione raccoglie le poesie dal 1964 al 1975. Sappiamo che Caproni inviò il manoscritto all'amico Carlo Betocchi. Ma cosa sono quei toponimi che leggiamo via via nel testo? Come si legano tra loro? Si legano tra loro? Poco fa abbiamo ospitato una recensione dedicata alla geopoetica che partiva da un interessante saggio di Federico Italiano. Caproni è sicuramente un autore che dai critici della geopoetica potrebbe lasciarsi inghiottire (forse persino sbranare), se non fosse troppo vivo il mantice sonoro della sua scrittura, troppo "classico" il bandoneon della sua travatura metrica per sfuggire, continuamente, a ingabbiature critiche troppo statiche e incentrate soltanto su aspetti di geopoetica. Resta il fatto che una lettura geopoetica di Caproni a mio avviso ha pienamente senso ed è per questa convinzione che probabilmente, alla fine, mi sono orientato su quest'enigmatico divertimento, quasi un sonetto, che presenta forse un titolo divertito, che nella geopoetica crede prendendosene contemporaneamente beffa.
TOPONIMI
Benhanthina. Nibergue.
Nessuna ossuta ocarina
d'ebano, più della tua
mi fu dolce, Guergue,
sui monti di Malathrina
dove fui solo. Oh forno
di calce - nòria di calce
e anima, mentre a piombo
(da via delle Galere
all'Oriolino) nere
fiatavano costellazioni
i Fossi - spazzava il vento
- vuoto - sulle Tre Terrazze
il mio petto: il cemento.
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