domenica 9 giugno 2013

"Sull'esistenza e l'assistenza degli Angeli" e "L'angelologia in cinquecento parole" di Eugenio D'Ors

Non di angeli e demoni vi voglio parlare. Non dell'infernale Dan Brown o di Tom Hanks. Piuttosto di angelo e daimon. Rincuora la presenza di una casa editrice come Morcelliana, la profondità e larghezza del catalogo, i suoi ripescaggi o carotaggi, persino i filoni editoriali che apertamente ignora o la scelta di pubblicare libri come questo, in contrappunto quasi ironico con il mainstream librario dell'oggi. Questi riconoscimenti credo possano giungere quasi universalmente, a prescindere dall'orientamento filosofico o religioso del giudicante (ricordo che Morcelliana è una delle principali case editrici di orientamento cattolico). Mi fermo. Non voglio scrivere di editoria, volevo soltanto dire che c'è chi si diverte ancora a fare questo mestiere difficile di editori. E si vede. Si vede come nel caso di questo libro dal doppio titolo di Sull'esistenza e l'assistenza degli Angeli - L'angelologia in cinquecento parole (pp. 128, euro 11) di Eugenio D'Ors, splendidamente curato da Mattia Geretto, filosofo che vorrei definire un angelologo di lungo corso, visto che per Rubettino, qualche anno fa, aveva pubblicato un volume assai più corposo avente come titolo L'angelologia leibniziana. E in effetti la ricca e aperta introduzione del curatore trova nell'aggancio triangolare tra angelologia (irriducibile ad un'antropologia), il pensatore catalano e con il filosofo di Hannover uno degli spunti più innovativi e fecondi per i futuri studi in ambito angelologico.


L'Angelus Novus di Klee 
dal quale scaturì la 
riflessione di Benjamin
Per fugare qualsiasi allontanamento volontario verso simili temi, siano fatti soltanto i nomi di Rainer Maria Rilke e Walter Benjamin, di Fëdor Dostoevskij e Michail Bulgakov, quelli di Paul Klee e di Osvaldo Licini (fu sufficiente qualche lezione della mia bravissima insegnante di Iconografia e iconologia, Caterina Virdis Limentani, per trascinarmi verso il pittore di Monte Vidon Corrado, per provare a imparare la lettura di sostanziose permanenze nella sua pittura di angeli ribelli). Il tema dell'angelo non dovrebbe essere banalizzato e ridotto; e questa sembra essere tra l'altro una grande preoccupazione condivisa pure dal curatore Mattia Geretto. Il Novecento insomma è stato non soltanto un secolo pieno di angeli, di visiting angels in poesia o angeli della storia, come quello di Klee, lacerato dal passato infernale della storia e dalla bufera del Paradiso (indimenticabili le frasi di Benjamin). E un libro come questo diventa occasione per non banalizzare, per non farsi prendere dall'immagine e dall'iconografia dell'angioletto-bambino, alimentata spesso dalla stessa chiesa, la quale tradisce, in un colpo solo, secoli di riflessioni che salgono e scendono tra il "sopracosciente" e il "subcosciente" incollati nelle ali dell'angelo. All'angelo Eugenio D'ors dedica invece epiteti dai toni quasi epici: è lucido e forte, saggio e guerriero, assomiglia insomma più a quello che potremmo trovare anche in alcuni dipinti, come quello del Pollaiolo riportato qui sotto.


L'arcangelo Raffaele e Tobiolo
di Piero del Pollaiolo (1465-70)
Ma veniamo al pensatore di Barcellona, il quale scrisse sia in catalano che castigliano. Era nato nel 1881, troppo giovane quindi per intercettare nell'acme la generazione del '98. Ma qualcosa del genio iberico di quella stagione transitò anche da lui. Fu uno dei pochi poi a tentare una sorta di convivenza durante la dittatura, una fiaccola accesa durante il lungo buio franchista che rivestì la Spagna, un paese che - non scordiamolo nemmeno per un istante - usciva devastato quant'altri mai da una guerra civile e la cui assenza formale - e in fondo anche sostanziale - nello scacchiere sordido della Seconda guerra mondiale ebbe un significato quasi mai adeguatamente soppesato (e qui non si tratta del solito rifuggire la "storia fatta coi se"...). Prima di tutto mi verrebbe da dire che il ruolo filosofico della Spagna del Novecento andrebbe ricalibrato, nuovamente svelato e ripulito del carattere epigonale in cui riversa. Certo, il vibrare dei pensatori spagnoli subì a lungo soprattutto i movimenti tellurici registrati in Germania e a lungo durarono le scosse di assestamento. C'è da dire che da un punto di vista editoriale - che è l'unico poi che io riesca ad adocchiare un po' -  non è vero che non si stia facendo nulla per riconoscere un carattere originale alla speculazione spagnola. Ma a lungo il Novecento è stato, se mi passate termini calcistici - che però talvolta s'addicono così bene a una filosofia trascinata in chiacchiere da Bar Sport - un secolo sbilanciato tra Germania, Francia (forse di più nella seconda metà del secolo) e sicuramente Stati Uniti. (La disputa tra analitici e continentali ricalca certi solchi che in fondo sono segnatamente geografici, in una ipostatizzazione geografica quasi paradossale che pareva una guerra, fredda.) Per l'Italia servirebbe un altro discorso, abbiamo avuto altri pesi. Sarebbe meglio dire altri piombi, i quali hanno influito pesantemente sulla scuola, sull'università e su un mancato futuro pieno di paese di scienza, uno scenario nel quale il nostro stivale si trova tuttora a ramingare (pur avendo dato grandissimi scienziati alla comunità internazionale). Ma il discorso si allungherebbe troppo, non sono certo qui per mettere in croce Croce e stavolta sono partito a parlare di angeli e di Spagna. E qui resto. Dicevo che la storia della Spagna del Novecento ha forse impedito un fiorire precoce di approfondimento attorno ai suoi grandi pensatori (Ortega, la sua allieva Zambrano, Unamuno o gli "esiliati" García Bacca e José Gaos, José Ferrater Mora e altri, comunque molto legati, come dicevo, alla speculazione centro-europea detta anche in seguito "continentale"). Fortunatamente le cose stanno cambiando. E la riproposta di D'Ors sembra sembra confermare quest'aria che tira. D'Ors potrebbe essere un nume tutelare di queste pagine dedicate ai libri di piccola taglia. Dico questo perché sono celebri i suoi scritti "in cinquecento parole" (il poeta Diego Valeri tradusse e pubblicò nel 1941 e poi nel 1961, con Scheiwiller, La storia del mondo in cinquecento parole) tanto che per molti aspetti questa concisione ha marcato la sua notorietà, così come la glossa, il saggio giornalistico breve e concentrato di cui fu tra i primi e primari esponenti. Si tratta ovviamente di una questione di stile della prosa filosofica che qui, asintoticamente, vira verso la contrazione-distensione, verso l'accumulo e i colpi della poesia. Eugenio d'Ors provò infatti a condensare in 500 parole non solo l'angelologia, qui proposta per la prima volta in italiano, ma anche la storia del mondo nel 1936, la filosofia e l’igiene nel 1941. Il libro qui proposto presenta due scritti brevi che nascono originariamente in francese e spagnolo e che fanno da prodromi all'opera principale del 1939 intitolata Introducción a la vida angélica. L'angelo di D'Ors rimanda sicuramente all'angelo-daimon socratico, all'essere due dell'uomo, al rapporto con Dio e all'etimo stesso della parola "angelo" (forse un messaggero, al quale abbiamo spostato progressivamente le ali dai coturni alla schiena). Nell'ampia prefazione di Mattia Geretto, come segnalato, diventa evidente l'ascendente leibniziano della prosa di D'Ors, ma anche il solco che lo riconduce al bizantino Pseudo-Dionigi l'Areopagita, al grande Aquinate, passando per un Dante che D'Ors rimbrotterà (laddove si fissa un po' troppo con Beatrice). Questo libro, così ben introdotto da Geretto, diventa allora un prezioso alleato per non banalizzare ancora una volta una figura che pare accompagnarci, sempre, volenti o nolenti, fino alla fine. Anche l'introduzione dell'apparato iconografico diventa in tal modo un imprescindibile aiuto e nulla vieta di pensare che uno studio attento di storia dell'arte, sulla presenza e l'iconografia (o iconologia nel senso del Ripa) possa arrivare a risultati parimenti importanti.

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