Diego Valeri con Ezra Pound |
Naturalmente molti altri sono gli spunti per avvicinare questo libro che diventa quasi la prima biografia intellettuale del poeta. Giancotti è attento al contesto editoriale in cui il suo studio si situa, ovvero una collana tutta dedicata a una città, alla sua storia passata, a una città simbolo di tante cose. E di certo non va fuori tema perché trascinato dal calibro della figura di cui sta scrivendo. Già... Padova. Scrive Isnenghi nella presentazione, tra le altre cose, "Ottonovecento a Padova: questo il nostro ambito. Profili ambienti istituzioni: il ventaglio degli approcci, fra persone e luoghi identificati come quelli che definiscono e strutturano una storia. Una non piccola storia, una storia non minore: con una grande università, un grande santo, una grande piazza, un grande caffè... I ritratti stereotipati qualche volta tradiscono, lasciando fuori troppe cose; ma un po’, anche, ci pigliano, dando alveo e direzione allo sguardo." E così il volume di Giancotti, ritratto tutt'altro che stereotipato, diventa l'occasione per rileggere aspetti del Novecento padovano e della storia d'Italia recente. Si ritrovano pure certi nomi, come quello di Paola Drigo, l'autrice di Maria Zef. Il senso dei luoghi attraversati da Valeri è ricostruito minuziosamente. E allora arriva non soltanto la Padova che presta il titolo alla collana, ma anche Cremona, Roma, Parigi, il campo di Mürren, nello Jungfrau durante l'esilio assieme ad Amintore Fanfani, Dino e Nelo Risi e Giorgio Strehler (riporto in fondo una poesia dedicata a questo passaggio) e quindi Venezia, l'insostituibile Venezia, l'altra sua città.
Officina Meccanica della Stanga |
CAMPO DI ESILIO
di Diego Valeri
Percossi sradicati alberi siamo,
ritti ma spenti, e questa avara terra
che ci porta non è la nostra terra.
Intorno a noi la roccia soffia vènti
nemici, fuma opache ombre di nubi,
aspri soli lampeggia da orizzonti
di verdi ghiacci. Le nostre segrete
radici, al caldo al gelo, nude tremano.
E intanto il tempo volge per il cielo
i mattini le sere: alte deserte
stagioni; e i lumi del ricordo, e i fuochi
della speranza, e i pazzi arcobaleni.
Come morti aspettiamo che la morte
passi; e l’un l’altro ci guardiamo, strani,
con occhi d’avvizzite foglie. E un tratto
trasaliamo stupiti, se alla cima
di un secco ramo un germoglio si schiuda,
e la corteccia senta urgere al labbro
delle vecchie ferite un sangue vivo;
tra le nubi scorrendo un dolce vento
di primavere nostre.
Nessun commento:
Posta un commento