giovedì 13 marzo 2014

da "Per amore" di Robert Creeley

Una poesia da #33

Robert Creeley (1926-2005)
Il suo nome si lega saldamente alla Black Mountain School e ai Black Mountain Poets. Robert Creeley, del resto, ne fu tra i più importanti esponenti, tanto che una cospicua antologia dei suoi testi, For Love (1962), apparve anche nella nostra lingua nel 1971, all'interno della collana Lo Specchio di Mondadori con il titolo Per Amore (traduzione di Perla Cacciaguerra, introduzione di Agostino Lombardo). Creeley, che fu scrittore di tante cose e pubblicò davvero un sacco di poesia, nacque ad Arlington in Massachusetts nel 1926. A diciott'anni guidava ambulanze in India e Birmania per l'American Field Service. Tornato in patria, passa per il New Hampshire, e poi si trasferisce in Europa, nel Sud francese e finisce a scrivere a Majorca. Ritornato negli USA continua a spostarsi e dare vita a una carriera proteiforme. La scuola dei Black Mountain Poets, legata all'omonimo college della zona montana della North Carolina e alla rivista "Black Mountain Review", fa spesso riferimento al suo nome, anche se in realtà ebbe in Charles Olson, a lungo fervido corrispondente di Creeley, il principale organizzatore (Olson scrisse nel 1950 il saggio di riferimento Projective Verse). Interrogarsi su queste pubblicazioni che qui riprendiamo, su Creeley e su queste tante scuole della poesia americana del Novecento è un modo per chiederci a che punto sta la nostra conoscenza di questa poesia. Non granché, mi pare. Ed è forse strano. In fondo, se togliamo Pound, Stevens, Carlos Williams, il grande fuoco della Beat Generation, Eliot (perché lo consideriamo più poeta inglese), Lowell e la Plath troviamo che tanti nomi della poesia americana restano quasi preclusi al lettore odierno: da Sandburg, Moore e Doolittle a tutta la poesia oggettivista della quale citare almeno Reznikoff, Rakosi, Zukofsky, Oppen e Lorine Niedecker, da Robert Duncan a tantissimi altri che dimentico: insomma, nonostante il Novecento sia stato un secolo di grande importazione americana e delle varie cross-fertilizations che quell'arte portò (il solo Black Mountain College lanciò artisti in tutti i campi), forse, anche a causa di alti dazi da pagare, la poesia americana del secolo scorso è giunta col contagocce fino a qui. Qualcosa sta cambiando o potrebbe cambiare. Pensiamo anche ad Elizabeth Bishop che inizia a essere proposta con frequenza. La cosa strana è che i "gruppi", che pure ci sono stati negli USA e che piacciono così tanto a noi (pensiamo soltanto a cosa non è uscito per il cinquantennale del Gruppo 63 l'anno scorso) fanno fatica a passare, magari con delle buone operazioni antologiche. Passano di più i singoli poeti. Che sia giusto così? Passati i gruppi, con i quali anche la letteratura prova a diventare brand, marchio di fabbrica, restano gli uomini e i poeti, i loro testi. Non il marchio di fabbrica del gruppo bensì la griffe del singolo? 













 
L'INSEGNA

Più quieta è la gente
più lento trascorre il tempo

finché esiste un uomo solitario
seduto nella figura del silenzio.

Poi grida a lui
Vieni qua idiota sta per spegnersi.

Un volto che non è un volto
ma i lineamenti, di un volto, impressi

sopra un volto finché il volto
è senza volto, risposte

di un essere inesistente
dove prima c'era un uomo.




THE SIGN BOARD


The quieter the people are
the slower the time passes

until there is a solitary man
sitting in the figure of silence.

Then scream at him,
come here you idiot it's going to go off.

A face that is no face
but the features, of a face, pasted

on a face until that face
is faceless, answers by

a being nothing there
where there was a man.


(Traduzione di Perla Cacciaguerra)

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