domenica 1 giugno 2014

da "L'osso, l'anima" di Bartolo Cattafi

Una poesia da #38

 


Bartolo Cattafi (1922 - 1979) era e ancora rimane per me un poeta assai poco approfondito. Credo sia necessario ammettere serenamente le proprie lacune anche quando si prova a seguire "abbastanza" di quello che avviene in poesia. Poi è vero che potrebbero emergere sempre tanti interrogativi, anche inquietanti, quali ad esempio: abbiamo letto bene Dante? Siamo sicuri che non sia il caso di rileggere Giuseppe Parini o Giuseppe Giochino Belli prima di avventurarsi con tanti contemporanei? E cosa abbiamo riletto, visto che la rilettura non è soltanto un "leggere di nuovo" ma un ripercorrere delle pagine mentre nel frattempo in noi è passata altra vita, altri luoghi, altri ritmi? Quanti poeti abbiamo riletto? Insomma, per farla breve, e senza tante paranoie, volevo semplicemente dire che io Bartolo Cattafi non l'avevo mai letto in un libro intero prima d'ora, solo qualche testo riportato in antologia. Poi si parla, ci si fida di quel che legge e consiglia un'altra persona e allora si inizia ad avvicinare un poeta. Partendo da un libro, da un titolo. E partendo anche da quel che si trova, visto che con Cattafi, editorialmente parlando, non siamo messi proprio bene. Leggendo L'osso, l'anima, di cui quest'anno ricorrono i cinquant'anni della pubblicazione avvenuta nel 1964, ho trovato dei testi che non mi capacito di come siano scomparsi dalla circolazione editoriale normale, compreso l'Oscar di Mondadori del 2001 curato da Vincenzo Leotta e Giovanni Raboni. Libro che per l'oggi avrebbe dell'incredibile (oltre 300 pagine l'edizione mondadoriana de Lo Specchio da me letta, costava 1800 lire), L'osso, l'anima è un volume dove troverete come minimo una dozzina di testi memorabili. In un suo contributo su Cattafi, ora ripreso anche in La fisica del senso di Andrea Cortellessa, Luigi Baldacci, grande sostenitore cattafiano e critico di cui personalmente sento una feroce mancanza (penso ad esempio alle sue Trasferte e a Novecento passato remoto, letture e aperture di sguardi mai dimenticati di tanti anni fa), scrisse che "l'uomo si muove in uno spazio geometrico, scandito [...]: sente se stesso come qualcosa di prismatico, di cristallino, o tale è l'aria che gli vibra intorno; ama gli oggetti meccanici, dai profili perentori e taglienti; il suo occhio è tutto aderente alle superfici metalliche e lucide; non c'è più posto per i campi lunghi". La poesia che più mi ha colpito in questo libro è quella che ho scelto e riporto qui sotto e, per stavolta, è davvero una soltanto.




A NOI DUE



Come di colpo s'è ristretto il mondo

che sapore salato di metallo
stretto in bocca
e guardi il sole
a che punto del giro
da che parte
vorrai averlo alle spalle
tenterai
di tenermelo negli occhi
dove la prima botta
spazio alle spalle per saltare indietro
veniamo al dunque
a noi due
a bordo non è rimasto più nessuno
qui comincia e finisce il nostro mondo:
i nostri corpi
i noti sentimenti
le armi in dotazione
primo sangue secondo terzo quarto
i mille modi di mettere assieme
carne metallo anima unghie denti.

2 commenti:

  1. No, in effetti non sono sicura di nessuna delle risposte che potrei dare alle numerose domande poste e che mi assalgono talvolta nottetempo e che infine ho deciso di ignorare con gusto infantile.
    Finalmente Cattafi!
    Che qualcuno lo ripubblichi!

    Mi piace molto il nome Giochino. Glielo lascerei.

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  2. Grazie. Credo anch'io che ignorare quelle domande che pongo nel post "con gusto infantile" possa essere una buona opzione (e pure salvifica).

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