domenica 12 ottobre 2014

"Cavolate sui pomodori". Ancora qualche appunto sulla critica

Libri brevi che mi piacerebbe scrivere o trovare #3

In questo spazio così titolato provo, di tanto in tanto, a fermare pensieri che mi vengono spesso su libretti che mi piacerebbe scrivere se avessi capacità, tempo, spazi o persino, ancora più presuntuosamente, un committente. Oppure, meglio ancora, librini che vorrei trovare già scritti brillantemente da altri. Libri piccoli, che provino ad affrontare temi o autori che già hanno una bibliografia, ma con la voglia di provare a dire cose nuove, magari correndo qualche rischio. Non occorre scrivere tanto, pensate a certi articoli filosofici brevissimi, a come hanno cambiato tutto. Scrivendone così brevemente qui, mi faccio passare l'idea di intraprendere tortuosi percorsi inconcludenti.


- "La critica è morta."
- "Invece no. La critica è ancora viva."
- "Sì! La critica è più-viva-che-mai!"
- "La critica, in realtà, è a-go-niz-zan-te."
- Davvero? Non sapevo.

Basta. Che palle. Non se ne può più di queste formulette riferite alla critica. Se ci fosse più coraggio, meno livore, meno fregola e fretta da parte di certi critici, più o meno giovani, di creare un vuoto attorno a sé, in tutte le direzioni spaziali e temporali, se ci fosse veramente un modo per scegliere e fare critica saremmo tutti più felici e contenti. In questi giorni mi è capitato spesso di pensare alla critica d'arte, sia riferita alla letteratura, alla musica, alle arti figurative o qualsiasi altra arte. Resto sempre vicino a Gombrich se penso che è più conveniente parlare di artisti (persone in carne e ossa che nascono e muoiono) anziché di arte: ci si semplifica un sacco la vita e si scoprono percorsi più interessanti, viaggi di pensiero e di vita che come tutti i viaggi veri si fanno in solitudine, anche quando accompagnati. Pensavo ad esempio alle specificità tuttora difese e pretese dalla critica musicale, dove è pur sempre richiesta una certa preparazione tecnico-teorica o a quella artistica dove si presume il critico conosca a menadito almeno l'Iconologia del Ripa. In quella letteraria, più simile all'industria casearia-spannometrica delle caciotte, tutti ci improvvisiamo critici. Ultimamente, con grande disagio, sono stato presentato anch'io come critico, solo perché qui scrivo qualche recensione, testi che in realtà sono spesso tentativi di dire qualcosa su libri che trovo importanti per me e che vorrei suggerire ad altri. Qui non stronco nessuno perché la stroncatura è un esercizio di stile che probabilmente non mi interessa proprio. Se un libro non mi interessa semplicemente non perdo qualche minuto a scriverne; non mi paga nessuno per scrivere su Librobreve, al massimo mi arriva qualche libro gratis dagli uffici stampa, la maggior parte me li compro. Ma non è di me che voglio parlare, questo inciso era un riflesso condizionato di una situazione di disagio che ho vissuto di recente. Allora torniamo alla critica, viva-morta-agonizzante. Mi sembra sia un problema posto fondamentalmente male quello della sua fine, fondato su categorie tardonovecentesche già di loro malmesse. C'è qualcosa che non va insomma nell'amalgama vischioso in cui ci trasciniamo da troppo tempo quando parliamo dello stato di salute della nostra critica. Il nostro modo di vivere e stare al mondo è completamente cambiato, la letteratura stessa è chiamata a un grande ripensamento se non vuole diventare solo parte dell'industria dell'entertainment (indoor o outdoor che sia). Un distinguo che pochi fanno è questo: si scrive quello che si può e quello che si vuole, si pubblica qualcosa, poi la fama e il successo sono un'altra cosa da quello che sostiene la critica che indovina qualcosa di buono. Nel dire che il problema della critica è mal posto intravedo anche questo binomio, ormai instauratosi nelle coscienze, tra critica e successo, critica e fama, critica e il famigerato canone, macchina dell'oblio e della memoria in ugual misura. E se fossero memoria e oblio come la spirale di un cavatappi che sembra muoversi in avanti o indietro a seconda del senso di rotazione ma che in realtà non si allunga né si accorcia (sono i due manici del cavatappi che si alzano e abbassano e il tappo infilato nella bottiglia che viene perforato e che si alza). Per tornare alla tecnicità della musica non è nemmeno detto che la musica rimanga la patria di una "tecnicità salvata" a tutti i costi. Anni fa un conservatorio aveva scelto per la propria pubblicità lo slogan "Wolfgang Amadeus... Zappa" e questo non per dire che Frank Zappa non sapesse suonare o ignorasse certa teoria, ma presumo per dire che ricerca e coraggio devono vivere nel gesto artistico e critico (intendo il critico come un artista), pena la sua totale inutilità e, peggio ancora, nocività. E la critica allora? Alla critica, o meglio a quella che intendiamo chiamare critica di domani, non resta che porsi in un atteggiamento di vera umiltà, il che non significa atteggiamento falsamente dimesso, ma un atteggiamento che fa sì che si provi a rinominare certi aspetti del nostro vivere angusto su questa terra senza fare come Pietro Citati il quale, per elogiare una delle sue verdure preferite di un tempo, si è trovato a scrivere "cavolate sui pomodori".

Piuttosto, quando nasce la critica? La critica, se così vogliamo continuare a chiamarla, continuamente nasce. E non sto parlando di un'origine data una volta per tutte, sto parlando di un'origine non originale che continuamente si rivela a sé, la stessa origine non originale di cui sono fatte tutte le scelte del vivere, una dopo l'altra.

5 commenti:

  1. Spunto interessante ma mi piacerebbe sapere se nasce da qualcosa in particolare

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  2. Che dire Vilma? Questo post nasce dalla stanchezza di leggere spesso e volentieri le formulette sulla critica riportate all'inizio del mio testo. Grazie del suo commento.

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  3. La critica (mi riferisco a quella letteraria che è l'unica che tento di seguire, con frequenti conati) per me assomiglia sempre più a uno sterile spalleggiarsi tra amici portato a termine sulle pagine dei giornali che diventano un palco di questo spalleggiarsi. Oppure, nei social media come FB, assomiglia a un'adunanza adulatoria indetta del postatore di turno che s'attende sempre nuove giaculatorie fra i commenti. Un saluto, Daniele

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  4. Caro Daniele, il suo commento mi trova sensibilmente d'accordo.

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  5. ps. Daniele, conosco più il primo versante di cui si lamenta, la critica letteraria su Facebook è qualcosa che ancora mi manca o di cui mi giungono solo echi smorzati.

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