È uno studio di matrice segnatamente linguistica quello che ci offre Paola Dottore su Giuseppe Berto. La forma della coscienza. Il male oscuro di Giuseppe Berto (pp. 224, Biblioteca dei leoni - LCE Edizioni, euro 16) s'addentra infatti nelle forme e nelle scelte più rincantucciate della pagina del grande scrittore di Mogliano Veneto. Il saggio si concentra sull'opera più nota, Il male oscuro, che vide la sua prima pubblicazione esattamente cinquant'anni fa, nel 1964. Libro a suo modo epocale (basti pensare al successo dell'espressione richiamata nel suo titolo e al film di Monicelli) e capace di vincere nel giro di una manciata di giorni due dei maggiori riconoscimenti letterari del nostro paese, ovvero il Campiello e il Viareggio, Il male oscuro è qui nominato per mezzo di una ricognizione puntigliosa delle tracce rimaste tra le righe: sezione bianca, capoverso, punto fermo, altri punti e anche le virgole diventano i protagonisti dell'analisi che via via diventa analisi sintattica e anche lessicale (linguaggio biblico, latino, regionalismi e dialettismi, tecnicismi, neologismi, lessico dell'insulto ecc.). Insomma, non solo della punteggiatura, per forza carente, mancante e latitante in questo libro troppo frettolosamente passato ad essere facile esempio nostrano dello stream of consciousness, ma di altri aspetti linguistici, assai tecnici e per addetti ai lavori, troverete un'ampia casistica in questo saggio. Il problema è che parlando di aspetti "tecnici" si rischia sempre di allontanare un pubblico potenziale da un simile libro e invece questi aspetti potrebbero diventare fulcro di discussioni appassionanti, come appassionante potrebbe diventare pure un'analisi metrica davvero creativa in poesia: si corre insomma il bel rischio di parlare di qualcosa di reale e non del nulla, dell'aria vera che regge e legge un testo e non dell'aria fritta.
Il libro della studiosa messinese, operante ora nella provincia trevigiana, fa pensare alla grande mole di studi simili che non sempre trovano una collocazione editoriale adeguata e spinge ad aprire una parentesi. Credo ci sia un discreto spreco di tesi ben fatte e interessanti che potrebbero diventare dei libri. Molto spesso "pubblicare la tesi" diventa il sogno risibile di molti e non è certo questo aspetto che ci interessa ora visto che stiamo parlando di uno studio meritevole di attenzione. Mi riferisco piuttosto al fatto che, setacciate e riviste con gli attenti filtri di una collana ben impostata, e magari potenziate sul versante dell'audacia e del coraggio interpretativo (spesso tallone d'Achille degli studi di provenienza universitaria, per ovvi motivi di prudenza) alcune tesi di laurea e soprattutto di dottorato, non solo a sfondo letterario, potrebbero davvero ambire a una pubblicazione. Naturalmente questo talvolta ancora accade. Ma la questione così tratteggiata diventa squisitamente una faccenda di opportunità editoriali e riguarda la saggistica in modo assai stretto. Il problema è che dei libri ben fatti e ben progettati interessa sempre meno a tutti, editori in primis, e il rischio è che si continui a stampare una tesi di laurea senza troppe revisioni solo perché ci sono dei fondi a disposizione o per altre quisquilie e fregnacce. Pochissime sono le cooperative librarie/universitarie che ad esempio hanno saputo trasformare almeno una costola in editoria e collane vere e proprie. Ma è anche vero che molti ciarlatani del sistema editoriale iniziano anche ad avere le ore contate.
Torniamo al nostro scrittore e allo studio di Paola Dottore. Berto era nato nel 1914. Gli anniversari della nascita non dovrebbero muovere chissà cosa visto che quando nasciamo nasciamo più o meno tutti allo stesso modo, con un vagito se va bene e non abbiamo ancora scritto-composto-dipinto un bel niente. Ma se questi anniversari servono a riportare attenzione su un autore che ancora ci parla, ben vengano anche queste ricorrenze allora e questi studi. Per quanto mi riguarda ci auguro di leggere presto lo studio di un amico che su Giuseppe Berto si è a lungo soffermato: mi riferisco al lavoro di cui Franco Baldasso ci ha anticipato qualcosa in questa intervista.
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