Lo scorso anno - è già trascorso qualche mese - Quodlibet ha reso disponibile nella collana "Quodlibet Bis" un testo già pubblicato nel 2009. Si intitola Cento capolavori della letteratura cinese (pp. 464, euro 18) ed uno dei molti lasciti intellettuali della studiosa Edoarda Masi, docente di lingua e letteratura cinese a Napoli e di lingua italiana a Shanghai, scomparsa nel 2011 a Milano. Come avete letto non si tratta di un vero libro breve, tuttavia, per come è stato progettato dall'autrice, si può davvero leggere come un libro a puntate, lasciarlo stare per un po', riprenderlo, metterlo a decantare, lasciarsi guidare dal fascino inquieto dell'apertura casuale di pagina. Le quattro o cinque pagine che Masi dedica di media a ogni capolavoro non sono propriamente "schede" di lettura, bensì tuffi dentro mondi lontanissimi, calibrati e preparati secondo un coefficiente di difficoltà sostenibile solo da chi ha dimostrato una preparazione e attaccamento indefesso alla propria materia. Così si mostra Edoarda Masi, la quale fu donna di studio ma anche dirigente delle biblioteche nazionali di Roma, Firenze e Milano.
Chi ha pensato questo libro si è mosso tra le insicurezze e l'abbandono che solo un viaggio vero può riservare. Ha capito le illusioni ottiche che la distanza sempre crea, ha eroso certezze o pregiudizi costruendo questo principio di puzzle con cento pezzi, mettendo in evidenza anche i pezzi fondamentali mancanti. Raccontare, o per meglio dire evocare questo corpo di testi scritti in una lingua che non fu quella parlata e provenienti da letterati che ricoprivano un vero ruolo istituzionale nelle civiltà di cui fecero parte, significa già provare un senso di grande straniamento. La dimensione del ruolo di quel letterato rischia di risultare per noi incomprensibile, per di più se raffrontata a situazioni a noi più familiari. Oggi poi il dubbio che viene è se la letteratura sia solo una branca (neanche tanto redditizia) del grande affare dell'entertainment. Significa poi comprendere il ruolo centrale che ebbe la storiografia come letteratura, o quello altrettanto imprescindibile dei testi teorici o politici, la comparsa tardiva del teatro e della narrativa, la sostanziale mancanza di una dimensione epica in queste opere. E lo si avverte come uno straniamento che forse si placa un poco almeno nel genere poetico, del quale l'Occidente si è accorto prima, seguendolo - pur tra mille impedimenti, linguistici in primis - con maggiore costanza e frequenti innamoramenti (inviterei davvero a rileggere quanto scriveva Montale nella prefazione al volume Lirici cinesi curato da Giorgia Valensin, pubblicato da Einaudi nel 1952).
Questo libro allora tiene nel palmo di 2500 anni cento opere tracciandone sempre il contesto di apparizione, la trama, le principali traduzioni e non risparmia giudizi sulla Cina dell'ultimo secolo. In effetti il grande interrogativo, appena appena adombrato, sta proprio lì: quale letteratura ha prodotto il "gigante" di questi ultimi decenni? Insomma, ricollocando in un giusto alveo di vero mistero e fascino l'oggetto del suo studio, Edoarda Masi è arrivata a porci delle domande oblique che in ultima battuta riguardano la letteratura e lei soltanto: che cosa (ce ne) facciamo della letteratura oggi? Parafrasando Hölderlin, diventa questa più un intendere il silenzio dell'Etere o le parole (e ideogrammi) dell'uomo? Forse queste sono domande mal poste, oppure domande che ci si pone quando non si viaggia affatto, quando si è in sosta, o quando il viaggio risulta solo un simbolo isterilito delle nostre invocazioni ripetute a quella semi-divinità che chiamiamo letteratura.
Lo voglio prendere! Grazie di questa menzione
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