Un allegro fischiettare nelle tenebre. Ritratto di Toti Scialoja è uscito da pochi giorni per Quodlibet (pp. 240, euro 20). Eloisa Morra ne è l'autrice. La raggiungo con le domande di questa intervista, che ora vi proponiamo per accompagnare una stagione di parziale riavvicinamento all'opera del pittore-poeta romano, del quale lo scorso anno ricorreva il centenario della nascita. Fortunatamente però quest'intervista esce nel 2015, e quindi siamo a 101 anni dalla nascita; 101 è un numero palindromo e quella di Eloisa è la cinquantesima intervista di questo blog, metà di cento. Insomma, questa numerologia mi solleva. Ringrazio l'intervistata e anche Mariagiorgia Ulbar per avermi parlato per prima, alcuni mesi fa, dello studio di Eloisa Morra.
LB: Come nasce e si sviluppa questo
tuo studio su Scialoja? (E una curiosità personale:
questo autore ha vinto su qualche altro autore che avresti potuto/voluto
studiare e approfondire?)
R: Il progetto del libro nasce da una
ricerca iniziata alla Scuola Normale Superiore di Pisa a fine 2010; mi sono
resa conto quasi subito di avere a che fare con un autore non ancora “scoperto”, nonostante
potesse vantare tra i suoi ammiratori Calvino, Manganelli, Porta e Raboni,
senza dimenticare le poesie à la Scialoja di Alberto Arbasino… A parte gli scritti
di questi grandi Toti Scialoja poeta e illustratore rimaneva inesplorato.
Studiarlo (ma sarebbe meglio dire inseguirlo; i suoi talenti sfuggono a
qualsiasi tentativo di incasellamento) era una sfida ardua: come muoversi nell’esplorare un autore
su cui non esistevano studi organici? Il
maggiore rischio stava proprio nell’apparente facilità derivata dalla
troppa libertà: ma mi sembrava
valesse davvero la pena tentare una ricostruzione — e un’interpretazione — da zero di un’avventura
intellettuale unica, che si snoda lungo tutto il Novecento per andare ben oltre
i confini italiani. Girando per diversi archivi mi sono resa conto che c’era abbastanza
materiale per tentare un ritratto critico di un artista capace di passare dal
tono sofferto dei suoi dipinti più famosi, le “impronte”, a storie di animali
che sembrano lievitare dalla trama invisibile delle sillabe:
L’istrice attrice illustre
recita parti tristiL’istrice attrice illustre
con occhi lustri lustri
inchiostrati di bistri…
Mi
affascinava scoprire cosa si nascondesse dietro l’apparente semplicità dei versi e dei
disegni… Arrivata da Pisa a
Harvard ho continuato a lavorare a questa ricerca grazie a un sistema
bibliotecario straordinario. Quanto agli altri autori, sì, Scialoja ha “vinto” su Calvino, che però si è imposto comunque
come una presenza forte all’interno
del libro: Toti lo avrebbe voluto tra i collaboratori di “Rivista Bianca”, una pubblicazione
di cui doveva essere co-direttore insieme a Elsa Morante e Mario Lattes all’inizio degli anni
Cinquanta. Trent’anni più tardi sarebbero
diventati amici: Calvino avrebbe spinto Einaudi a pubblicare il suo secondo
libro di poesia, e — spinti da
predilezioni visive simili — i
due avrebbero lavorato intensamente al “Teatro dei ventagli”, un progetto di
fiabe animate da mandare in onda per la RAI, poi non finalizzato… Insomma,
attraverso questi inaspettati “incroci” ho avuto la fortuna
di poter esplorare anche altri autori, italiani e stranieri.
R:
Ho
“conosciuto” prima il pittore;
a colpirmi era stata soprattutto l’evoluzione avventurosa del suo
percorso (c’è uno Scialoja
esordiente che guarda alla Scuola Romana, un altro che si ispira a Morandi, per
poi passare ad assorbire la lezione di Picasso e infine trovare la sua strada
all’inizio degli anni
Cinquanta, col passaggio all’arte
astratta e alle sue “impronte”) e anche la sua
letterarietà: il Giornale di
pittura, il ‘diario di lavoro’ che Toti inizia a
scrivere nel ‘53, è allo stesso tempo
una testimonianza sulla vita artistica dell’epoca e — lo ha ricordato bene Gillo Dorfles — un “documento poetico”. Solo dopo una
compagna di studi mi ha raccontato che da piccola le leggevano le poesie di
Scialoja; l’idea che un pittore
scrivesse poesie e le illustrasse mi ha subito affascinata, come mi ha colpita il fatto che la casa-biblioteca
di Scialoja fosse a Roma, ancora intatta. Da qui è nata la curiosità che ha dato inizio
alle ricerche di cui parlavo prima...
Alberto Savinio |
LB: Credo si possano ravvisare delle
alterne vicende nella sua storia editoriale e critica. Pensi tuttavia che il
futuro sia dei Scialoja? Voglio chiedere, al di là della battuta, se credi che ci sarà sempre più spazio e attenzione per figure così
irriducibili, poco "pure",
come il nostro poeta-pittore.
R: Senza dubbio la complessità della sua poesia è stata poco
apprezzata a livello editoriale; i confini (tra poesia per adulti e poesia per
l’infanzia, tra libro
per bambini e libro “d’artista”) sono ancora oggi
molto rigidi, e Scialoja sembra nato apposta per metterli in discussione: non è un secondo Rodari,
i suoi nonsense non hanno morale, ed usano un linguaggio musicale e
arduo insieme… Una figura
straordinaria e non catalogabile, dunque poco valorizzata. Ma sono ottimista
verso gli “impuri”, credo che la loro
irriducibilità abbia molto da
dirci ancora oggi: pensa ad Alberto Savinio, e al bellissimo lavoro di riscoperta/restauro
dei testi portato avanti negli ultimi anni… Certo sono autori difficili da
studiare: la pienezza dei loro interessi costringe l’interprete a
muoversi attraverso campi non sempre battuti. Ma è proprio in quest’indisciplina (saper mettere
insieme saperi diversi, oltre gli steccati tradizionali; fornire uno sguardo
lucido ma non cinico sulla società, senza risparmiarsi un’analisi schietta
del proprio lavoro e delle pressioni cui si è sottoposti in prima persona in quanto
artisti-intellettuali: penso ai nomi fatti sopra, ma anche a Fortini) che sta
il loro valore. E nel riscoprire i loro percorsi intellettuali spesso ci si
trova anche a riflettere sulla specificità delle oggi tanto bistrattate
discipline umanistiche.
LB: In una parte del libro, secondo
me molto interessante, scrivi del rapporto di Scialoja con Mino Maccari e della
collaborazione alla rivista "Il Selvaggio". Potresti ripercorrere le
principali mosse di questo frangente del tuo studio?
R: Quando inizia a collaborare a “Il Selvaggio”, nel 1940,
Scialoja è un ragazzo ancora
indeciso tra le strade della letteratura e della grafica, della pittura. È stato interessante
scoprire come la rivista diretta da Mino Maccari fosse per lui una specie di
laboratorio letterario, un’arena
da percorrere in direzioni diverse: su quelle pagine — spesso percorse
dalle bellissime incisioni del direttore-fondatore — Toti pubblica prose
poetiche dai toni malinconici, recensioni di mostre, ritratti critici di amici
pittori, e i suoi primi disegni… Sono
poi rimasta incuriosita da alcuni versi satirici, non firmati, che apparivano
in coda ad un suo articolo del 1941. A chi appartenevano? In un primo momento
pensavo si trattasse di Toti, ma lo stile ed altri dati esterni hanno portato
invece ad attribuire le poesie a Maccari. E un confronto tra questi versi ed
altri ‘scherzi’ e vignette pubblicati
da Scialoja in quegli stessi anni hanno rivelato due diverse posture,
stilistiche e gnoseologiche: se Maccari dà vita a un tipo di satira molto spiccia
e ‘locale’, Scialoja spezza
la gabbia etica e fono-simbolica dell’Italia fascista, nascondendo una realtà drammatica sotto
segni e disegni solo apparentemente giocosi.
LB: Nella tua ricerca c'è
qualcosa che ti ha sorpreso? Quel che
vorrei chiederti ora è se
il processo di ricerca ti ha portato anche ad affrontare degli elementi che ti
hanno sorpreso, turbato, depistato o altro, comunque assai lontani da certe
idee "iniziali" che ribollono quando si intraprende un ritratto del
genere.
R: Certo, è stato un processo pieno di sorprese. Mi ha colpito sopratutto scoprire un primo Scialoja molto diverso — mi riferisco in particolare al suo stile degli esordi, con i racconti, finora dispersi, pubblicati a metà anni Trenta: sono pezzi immaginifici, ma anche molto letterari e ardui da cogliere a una prima lettura — da quello dei nonsense; per arrivare a quella sprezzatura ha dovuto percorrere un via fatta di molti ostacoli. La semplicità delle sue poesie è solo apparente, come pure la loro natura di divertissement: il nonsense è un talismano, un modo di dire l’indicibile nascondendolo, polverizzandolo… Forse è anche per questo che tra i versi ritroviamo echi, parodici e non, di una tradizione letteraria che va da Dante a Montale al “nonsense metafisico” di Eliot.
R: Certo, è stato un processo pieno di sorprese. Mi ha colpito sopratutto scoprire un primo Scialoja molto diverso — mi riferisco in particolare al suo stile degli esordi, con i racconti, finora dispersi, pubblicati a metà anni Trenta: sono pezzi immaginifici, ma anche molto letterari e ardui da cogliere a una prima lettura — da quello dei nonsense; per arrivare a quella sprezzatura ha dovuto percorrere un via fatta di molti ostacoli. La semplicità delle sue poesie è solo apparente, come pure la loro natura di divertissement: il nonsense è un talismano, un modo di dire l’indicibile nascondendolo, polverizzandolo… Forse è anche per questo che tra i versi ritroviamo echi, parodici e non, di una tradizione letteraria che va da Dante a Montale al “nonsense metafisico” di Eliot.
Un
simile discorso va fatto per i disegni. Nel libro paragono per la prima volta
le illustrazioni dell’inedito Tre per
un topo, il quaderno disegnato da Scialoja per i nipoti nel 1969, con
quelle poi pubblicate nei libri degli anni Settanta: ne vengono fuori delle
varianti grafiche d’ incredibile
finezza, molto significative per capire in che modo Scialoja intendesse il
rapporto tra testo e immagine. Alla fine, sono rimasta sorpresa nello scoprire
come una continuità tra i racconti
degli esordi e la sua produzione poetica successiva al nonsense. Il
confine tra leggerezza e serietà,
tra gioco e tensione morale del gesto artistico in Scialoja è molto più sfumato di quanto
pensassi all’inizio.
LB: Vivi negli Stati Uniti. Cosa ci
puoi raccontare di Scialoja letto e visto da lì?
R: Negli Stati Uniti il ricordo di Scialoja pittore resta vivo grazie all’azione di ponte e filo conduttore tra due culture e scene artistiche che lui e la compagna Gabriella Drudi (una figura da riscoprire: scrittrice e critica d’arte, fu autrice della prima monografia italiana dedicata a Robert Motherwell) hanno esercitato per decenni. C’è ancora molto da fare però, soprattutto sul versante della poesia: spero che la monografia contribuisca a far conoscere la sua opera anche oltreoceano.
R: Negli Stati Uniti il ricordo di Scialoja pittore resta vivo grazie all’azione di ponte e filo conduttore tra due culture e scene artistiche che lui e la compagna Gabriella Drudi (una figura da riscoprire: scrittrice e critica d’arte, fu autrice della prima monografia italiana dedicata a Robert Motherwell) hanno esercitato per decenni. C’è ancora molto da fare però, soprattutto sul versante della poesia: spero che la monografia contribuisca a far conoscere la sua opera anche oltreoceano.
LB: Potresti scegliere una poesia e
un'opera pittorica di Scialoja come saluto? Grazie.
R: Grazie a te! Il quadro si chiama Impronta bianca su sabbia (1959), ora al Guggenheim di Venezia.
Toti Scialoja, Impronta bianca su sabbia (1959) |
Quando il tetro dromedario
giunse dietro al tetraedro
alzò gli occhi e disse: «Diamine!
Son davanti a una piramide!».
Bella intervista e molto interessanti le opere inserite nel post. Un plauso all'autrice!
RispondiEliminaGrazie Maurizio
RispondiEliminaGrazie molto gentile!
RispondiEliminaEloisa
Grazie a voi e buona lettura di questo libro.
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