sabato 9 maggio 2015

"Duluth" di Gore Vidal

Ripescaggi #39

Ripesco di seguito un testo che scrissi quasi otto anni fa per il bel sito di Dori Agrosì "La nota del traduttore", dopo aver tradotto Duluth di Gore Vidal (Fazi, 2007, pp. 400, chi fosse interessato lo trova scontato del 50% su ibs.it).

Settembre 2004. Mi reco a Duluth, sorniona cittadina del Minnesota. Devo seguire una maratona sui pattini in linea per l’azienda per la quale lavoro. Ci sto quattro giorni, è il mio primo soggiorno negli Stati Uniti. Di solito uno inizia con gli Stati Uniti da New York, Los Angeles o – se va bene – da un viaggio studio nel Connecticut. Per me è diverso. Inizio da questa piccola città sul lago Superiore, vicina al confine del Canada, che molti non hanno nemmeno mai sentito nominare. Circa un anno dopo. Leggo un articolo su Gore Vidal su «Domenica» de «Il Sole – 24 Ore». Conosco già la sua produzione di polemista, saggista e soprattutto i suoi romanzi storici che Fazi sta riproponendo in nuove traduzioni. Nel fiume grosso delle sue opere vedo scorrere il nome Duluth. Ricavo solo un’informazione di ordine cronologico: opera del 1983. Mi procuro la traduzione italiana, non senza difficoltà, e nel frattempo mi documento un po’: la città che ho visto io alle prese con una popolare maratona sui pattini c’entra assai poco con la trama del libro. Mi appassiono, forse proprio in virtù della parola “Duluth”, che sembra essere l’unica cosa in comune tra la città che ho visitato e questo curiosissimo romanzo, tutto scoppiettante nelle invenzioni linguistiche e nel plot. La mia personale vicenda con Duluth-Duluth sembra finire qui. 

Da tempo volevo provare a propormi per una traduzione. Mi veniva difficile trovare una chiave di avvicinamento alle case editrici. E poi – si sa – senza referenze si fa poca strada. Scrivo alla redazione di Fazi per sapere se c’è l’intenzione di pubblicare a breve Duluth, ormai irreperibile dal momento che la traduzione di Pier Francesco Paolini per Garzanti data 1984. Quasi per scherzo, e comunque senza troppa convinzione, mi propongo come traduttore del romanzo stesso. Dopo qualche settimana mi rispondono che il libro è in programmazione e mi chiedono se mi va di spedire una quindicina di cartelle di prova. Mi tuffo nella lettura del testo nell’edizione Penguin e capisco subito che tradurre Vidal è tanto divertente quanto pericoloso. La cifra distintiva di Duluth è il pun e le costellazioni di puns disseminate da Vidal si apprezzano quasi esclusivamente nella lettura del testo originale. Ce ne sono tanti e sono tutti sottilissimi. Riuscirò a farne passare una buona parte? Mando la prova alla redazione di Fazi, che a loro volta la inoltra al maestro. La sua riposta, tramite il suo assistente, è lapidaria: “it seems he understands all the puns”. Naturalmente intende tutti quelli presenti in quelle prime quindici pagine, neanche tanti se paragonati al resto del libro. Test passato, anche alla Fazi si convincono. 

Sono il traduttore di Duluth. Non male per iniziare. La mia gioiosa incredulità è bilanciata da un ragionamento molto semplice: le case editrici, come tutte le aziende, puntano a contenere i costi. Evidentemente quello del traduttore è visto sempre più come un costo sul quale limare e la traduzione come una basic commodity da acquistare in un mercato con ampia offerta. La scelta di Fazi di affidarsi a un signor nessuno della traduzione mi risulta abbastanza leggibile dal punto di vista del (loro) conto economico. In parte, mi sembra pure una scelta coraggiosa: se mai nessuno dà la possibilità a qualcuno di iniziare… ma chiudiamo qui questo ragionamento di gestione delle imprese editoriali, anche se a me è servito come ulteriore sprone. Di sicuro iniziare con Vidal è un bel cimento. Per fortuna, come ho già scritto, il libro è uno spasso, occuparsi della traduzione diventa divertente. Le continue sovrapposizioni temporali e i mutamenti di scenario frequenti, dettati dall’alternarsi di paragrafi brevi e succosi dove i protagonisti s’avvicendano rapidamente per poi far ritorno poco più in là (o in un’altra epoca, sotto altre spoglie!), hanno richiesto uno sforzo particolare nel trarre il massimo dai dialoghi e dalla caratterizzazione dei personaggi, così marcata che per taluni caratteri non è esagerato parlare di caricatura. 

Il comico, il burlesco (c’è chi definito Duluth un capolavoro di questo genere, che estende la propria parodia a letteratura e fiction televisiva), le surreali ambientazioni e le caratterizzazioni di un manipolo di personaggi a dir poco esilaranti costituiscono un pungolo costante per il traduttore, che ha quindi il compito di operare le proprie scelte senza perdere mai di vista un obbiettivo fondamentale: trasmettere il debole di Vidal per la confusione controllata e finalizzata allo spiazzamento del lettore, per la promiscuità di registri e lessici e per i già citati puns. Sembra di vederlo quando scrive, mentre traducevo avevo davanti la sua faccia soddisfatta. Un bel monito a non abbassare mai la guardia per un traduttore alla prima esperienza importante.

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