Librobreve intervista #56
Chi di voi non ha mai captato e registrato il suo nome potrà far un salto qui e, con un colpo d'occhio assai rapido, scorrere la lista di libri che Federica Aceto ha tradotto in italiano. Sono molti e scommetto che qualcuno l'avete letto. Tra questi poi ritroverete titoli famosi di Don DeLillo, Ali Smith, Nick Laird, James Graham Ballard, Martin Amis o Alison Louise Kennedy. Di recente il nome di Federica Aceto si è sentito anche in seguito alle discussioni che hanno scoperchiato le situazioni di insolvenza di una parte dell'editoria nazionale. Ma qui Federica Aceto ha accettato di rispondere ad alcune domande sulla traduzione, sui miti già sfatati e quelli ancora da sfatare, su alcuni libri tradotti. Certo, non manca la domanda cosiddetta d'attualità. Il legame tra traduttori e case editrici in fondo è importante, così come quello tra case editrici e altre persone che orbitano attorno a queste con il proprio lavoro. Buona lettura.
Chi di voi non ha mai captato e registrato il suo nome potrà far un salto qui e, con un colpo d'occhio assai rapido, scorrere la lista di libri che Federica Aceto ha tradotto in italiano. Sono molti e scommetto che qualcuno l'avete letto. Tra questi poi ritroverete titoli famosi di Don DeLillo, Ali Smith, Nick Laird, James Graham Ballard, Martin Amis o Alison Louise Kennedy. Di recente il nome di Federica Aceto si è sentito anche in seguito alle discussioni che hanno scoperchiato le situazioni di insolvenza di una parte dell'editoria nazionale. Ma qui Federica Aceto ha accettato di rispondere ad alcune domande sulla traduzione, sui miti già sfatati e quelli ancora da sfatare, su alcuni libri tradotti. Certo, non manca la domanda cosiddetta d'attualità. Il legame tra traduttori e case editrici in fondo è importante, così come quello tra case editrici e altre persone che orbitano attorno a queste con il proprio lavoro. Buona lettura.
LB: Vorrei iniziare con lo sfatare dei
luoghi comuni o baggianate che si leggono sulla traduzione letteraria; da quel
che ho letto nel tuo blog mi pare che tu abbia il carattere giusto per
accogliere una simile richiesta. Ne potresti scegliere due?
R: Luoghi
comuni e baggianate se ne sentono e se ne leggono su qualsiasi professione.
Siamo sempre bravissimi a fare i lavori degli altri e siamo tutti CT della
Nazionale. Ma forse è anche un po’ responsabilità di ognuno di noi far conoscere
agli altri il nostro lavoro e sfatare alcune credenze sbagliate. C’è chi crede
che siamo dipendenti di una casa editrice, o che basti conoscere discretamente
una lingua straniera per poter tradurre un libro. Se poi intendi le baggianate
che noi stessi perpetuiamo, ce ne sono tante, ma quella che mi sento di sfatare
ora è quella della solitudine del traduttore: sì, lavoriamo da soli davanti a
un computer, ma c’è anche molta solidarietà. Le invidie, le meschinità,
l’incapacità di lavorare insieme per il bene comune ci sono come in tutti i
settori, ma c’è anche molto senso etico, consapevolezza, maturità.
Poi si
potrebbe parlare dei concetti di invisibilità e fedeltà, ma quelli sono miti
sfatati già da tempo, ormai.
LB: Ora vorrei proseguire chiedendoti
un paio di cose che raramente si ha il coraggio di ammettere, almeno fra
traduttori, quelle cose inconfessabili che però più o meno tutti sanno.
Ognuno ha i
suoi piccoli segreti: accettare tariffe basse per paura di uscire dal giro,
lavori fatti male e in fretta, pesanti ritardi nella consegna, autolesionistica
complicità con gli editori nella ripartizione dei finanziamenti alle
traduzioni. E, di nuovo, l’assenza di un confronto non fa che ingrandire queste
“colpe” facendoci sentire ancora più soli: è importante sentirsi liberi di
parlare apertamente anche dei propri errori. Tutti ne facciamo. Tutti possiamo
migliorare e prendere coscienza.
LB: Un libro tradotto che più ha
lasciato il segno, anche e soprattutto come lettrice?
R: Ce ne sono
due che ho amato moltissimo. Uno è Magic
Kingdom, di Stanley Elkin, uscito per minimum fax nel 2005. E l’altro deve
ancora uscire, per Bollati Boringhieri; si tratta di A Manual for Cleaning Women, di Lucia Berlin. Sono due libri molto
diversi per tematiche, lingua e struttura, ma pieni di una sincerità disarmante,
di quelle cose che quando le leggi continui a fare di sì con la testa da solo.
LB: Non ho mai fatto questa precisa
domanda ad altri traduttori qui intervistati. Qual è stata la tua formazione?
Cosa toglieresti e cosa aggiungeresti?
R: La
formazione è un processo continuo e si fa sul campo: tradurre libri è un lavoro
che si impara facendolo. La teoria serve a preparare meglio il terreno, ma alla
fine ci vuole soprattutto tanta pratica vera. Per quanto mi riguarda, momenti
chiave della mia formazione sono stati il fatto di vivere tanti anni in un
paese dove si parla la lingua dalla quale traduco, l’esperienza, seppure
brevissima (uno stage di tre mesi) nella redazione di minimum fax, e il
confronto continuo con altri traduttori.
LB: Sempre nel tuo bel blog (raggiungibile qui),
dove chiunque può farsi un'idea di quante e quali opere tu abbia tradotto, affronti
davvero le tante sfaccettature di questo mestiere. Che cosa ti ha portato a
creare questo spazio? È stato utile e, se sì, in qual modo?
R: Ho
aperto questo blog un anno fa soprattutto per il bisogno di rallentare e articolare
meglio certi ragionamenti che faccio tra me e me quando lavoro. Lavorando da
soli, con tempi di consegna incalzanti, non abbiamo spesso modo di riflettere
con calma, di mettere in parole certi meccanismi e ragionamenti che ci sono
dietro le nostre scelte. Il blog è nato quindi soprattutto per un bisogno di
chiarire meglio a me stessa certe cose e anche per confrontarmi con i miei
colleghi o chiunque sia interessato alla traduzione. Ogni volta che pubblico un
post infatti, ho sempre dei riscontri interessanti, anche se purtroppo avvengono
più su Facebook che nella sezione dei commenti del blog, dove avrebbero una
vita meno effimera. Ma non mi lamento, sono spunti comunque molto utili che mi
arricchiscono.
LB: Su Twitter (e immagino anche su
Facebook) è partito finalmente un tamtam per provare a portare alla ribalta il
problema degli editori che non pagano. Si è letto un po' di tutto. Cosa
vorresti aggiungere qui, avendo un po' più spazio di quello che ti consente un
tweet o un altro breve post su un social network?
R: Questo
genere di proteste pubbliche e pacifiche si rende necessario quando qualsiasi
altro tentativo di comunicazione con il debitore (solleciti privati,
ingiunzioni di pagamenti da parte del tribunale) fallisce. Non è solo una questione
di soldi, ma anche di comunicazione. Se abbiamo parlato pubblicamente (e come
abbiamo detto più volte non siamo stati i primi e di proteste pubbliche contro
case editrici insolventi ce ne sono state diverse nel corso degli ultimi mesi)
non è per desiderio di protagonismo o per mettere qualcuno alla gogna. Chi
crede che sia così è libero di farlo, ma ragionare in questi termini è sterile
e superficiale, è pura dietrologia. I fatti sono altri. I fatti sono i compensi
non ricevuti, le e-mail e le ingiunzioni di pagamento ignorate, i finanziamenti
alle traduzioni che non vengono usati per pagare i traduttori. I fatti sono la
convinzione che il lavoro si possa pagare in visibilità.
E tra i fatti c’è anche che nel nostro paese si legge poco, si comprano pochi
libri e le politiche le campagne per promuovere la lettura sono deboli e
fallimentari. C’è bisogno di nuove idee per affrontare questa crisi che non è
solo economica, ma strutturale, è soprattutto una crisi di idee.
LB: Vorrei finire in bellezza. C'è un
passaggio, un aforisma, un breve testo che secondo te meglio di altro dice di
questo mestiere "vagolante" tra le lingue? Grazie.
R: Uno di
Borges: l’originale è infedele alla traduzione.
Grazie a te.
Grazie a te.
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