venerdì 17 luglio 2015

Tradurre in italiano Jonathan Franzen, Arthur Bradford, Don DeLillo, Jonathan Galassi e altri. Intervista a Silvia Pareschi

Librobreve intervista #58

Di seguito trovate una nuova intervista a chi di mestiere traduce. Questa è la volta di Silvia Pareschi, un nome sicuramente noto a chi è solito cercare il nome del traduttore sotto il titolo e l'autore di un'opera tradotta. Come lei ricorda, il suo fu un esordio fortunato e col botto: Le correzioni di Jonathan Franzen. Attraverso una sua risposta riusciamo anche a gettare uno sguardo negli Stati Uniti e intravediamo cosa si sta muovendo attorno alle traduzioni di scrittori italiani. La mappatura di quanto si traduce all'estero potrebbe essere un esercizio interessante e nemmeno troppo difficile da portare a termine, visto che i dati sono più o meno noti. Eppure se ne parla sempre poco, mi pare. Certo, sappiamo che Camilleri è tradotto un po' ovunque, ma ci potrebbe interessare sapere se qualcuno sta ripensando a una nuova traduzione integrale da Leopardi o da Primo Levi. Sono alcune delle notizie che apprendiamo leggendo questa intervista che si chiude con una splendida citazione da Cesare Garboli. Buona lettura.


LB: Qual è stato il primo libro che ha tradotto e che anno era? Si ricorda cosa provava all'idea della prima vera traduzione? Era qualcosa di simile a un'emozione oppure no?
R: Il mio è stato un esordio molto fortunato: il primo libro che ho tradotto è stato Le correzioni di Jonathan Franzen. Era il 1999, stavo frequentando una scuola di scrittura creativa e durante un seminario di traduzione venni notata dalla docente, Anna Nadotti la quale fece il mio nome a Marisa Caramella, che all’epoca lavorava come editor all’Einaudi. Ricordo benissimo l’emozione che provai il giorno in cui Marisa mi telefonò e mi disse che voleva “parlare di traduzione”. Fu una cosa del tutto inaspettata, ma anche nel mio totale sbalordimento capii che quel momento avrebbe potuto cambiarmi la vita. Dopo una prova mi venne affidato il mio primo lavoro, Il guardiano del frutteto, di Cormac McCarthy. Avevo cominciato a tradurlo da qualche settimana quando ricevetti un’altra telefonata: era arrivato un nuovo libro che bisognava tradurre subito, The Corrections. Lo tradussi sotto la supervisione di Marisa, e quella fu per me un’esperienza inestimabile. Dopo Le correzioni, pubblicato nel 2001, uscìIl guardiano del frutteto. Poi vennero Dogwalker di Arthur Bradford e Cosmopolis di Don DeLillo. 

LB: E qual è l'ultimo libro tradotto uscito in libreria?
R: La musa, (Guanda), un romanzo sul mondo dell’editoria americana scritto da Jonathan Galassi, il grande editor della casa editrice Farrar Straus & Giroux. Ora sto traducendo l’ultimo romanzo di Jonathan Franzen, Purity.


LB: Quali sono le situazioni che maggiormente la divertono nel suo lavoro?
R: Incontrare gli autori e discutere con loro. È sempre affascinante dare una voce e un corpo alle persone di cui ho tradotto le parole. In genere ricevo una conferma di ciò che avevo immaginato pensando a loro, e riesco a instaurare buoni rapporti, a volte anche di amicizia, con i “miei” scrittori. 


LB: E le situazioni più pericolose perché la annoiano o magari la sconfortano?
R: Le scadenze troppo strette, che mi costringono a correre e mi fanno perdere gran parte del piacere di lavorare.


Ann Goldstein
LB: Vive oltreoceano, negli Stati Uniti, e le chiedo di invertire per un attimo la visuale linguistica: potrebbe nominare alcuni traduttori che si stanno spendendo bene per tradurre la letteratura italiana contemporanea negli Stati Uniti?
R: Il mio lavoro da freelance per fortuna mi permette di alternare alcuni mesi oltreoceano con altri in Italia, così non rischio di compromettere il mio italiano e nello stesso tempo posso trascorrere lunghi periodi di immersione nella lingua e nella cultura da cui traduco.
Fra i traduttori, anzi, le traduttrici americane che traducono letteratura italiana ricordo Frederika Randall, che ha tradotto Guido Morselli, Luigi Meneghello, Ippolito Nievo e Helena Janeczek; Anne Milano Appel, che ha tradotto Paolo Giordano, Roberto Saviano, Claudio Magris, Goliarda Sapienza; Ann Goldstein, che sta curando l’edizione integrale delle opere di Primo Levi, e che ha tradotto tra gli altri Ferrante, Leopardi e Pasolini.


LB: Tiene un blog molto interessante. Da cosa è nata l'idea di curare questo spazio e di alimentarlo? A cosa le "serve"?
R: L'idea di aprire un blog mi è venuta poco dopo aver cominciato la mia vita da pendolare intercontinentale fra gli Usa e l'Italia. Spesso mi veniva voglia di raccontare le mie osservazioni da "emigrante" in un paese che conosco piuttosto a fondo – sia per letture che per esperienze – e in una città interessante come San Francisco. Così ho pensato di metterle su un blog, aggiungendoci anche altre cose che mi interessano: traduzione, letteratura, musica, viaggi, varie ed eventuali. Mi serve come allenamento alla scrittura, per scrivere qualcosa di mio dopo aver passato tutta la giornata a tradurre parole altrui. 


LB: Suggerisce mai degli autori da tradurre o più spesso sono le case editrici a contattarla per traduzioni di libri già acquistati?
R: No, nel mio caso è sempre la casa editrice che mi contatta per propormi una traduzione.


LB: Magari i sogni non bisognerebbe mai raccontarli, però le chiedo se le va di parlare di un libro che vorrebbe molto tradurre (o anche ritradurre)?
R: Mi piacerebbe ritradurre Ragtime, perché adoro come scrive Doctorow e perché si tratterebbe di una vera e propria sfida, tanto la lingua di quel capolavoro è intrisa delle sonorità e dei ritmi del jazz.


Cesare Garboli
LB: Per finire le chiedo se c'è una frase o un pensiero sulla traduzione letteraria che secondo lei sintetizza la sua visione di questo lavoro assai peculiare. Grazie.
R: Mi piace molto questo brano di Cesare Garboli: “Tradurre è essere attori. Stessa attitudine, stessa condizione dello spirito che porta, istituzionalmente, a recitare, a fare teatro, a respirare carnalmente la vita di un altro. E come avviene nello spettacolo, ci sono i traduttori dilettanti, i professionisti, le compagnie di giro, gli stabili [...]. C'è il traduttore raffinato il volgare, il solista e il generico. E c'è, infine, il traduttore di genio: il grande attore. È l'attore che ha capito che basta, per essere grandi attori, credere ciecamente alle proprie battute, non c'è bisogno d'altro. Un attore porta già in sé, impressa nelle rughe del volto, fra le pieghe di una vocazione mostruosa, tutta la maschera del teatro, ogni tragedia e ogni commedia. Non ha bisogno d'altro. Sa come agire, come lavorare. Sa cosa gli spetta, nel gioco del mondo. Comincia a truccarsi. Può, come è lecito in teatro, fare di tutto. Può giocare, irridere, travestirsi. È solo, è libero. Ed eccolo in scena. Ha scelto, chissà perché di creare, di inventare, fare esistere una cosa che già c'è, già esiste, già è stata scritta. Di farla esistere come è stata scritta, e come mai nessuno aveva pensato che fosse, prima di lui che la recita.”

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