sabato 8 agosto 2015

Quote e orizzonti. Carlo Scarpa e i paesaggi veneti nella ricostruzione di Gianluca Frediani

"Infinito assente, infinito accoglimento". Così Andrea Zanzotto si appellava al paesaggio in un verso di Sovrimpressioni. Tre versi sopra però aveva tirato una riga proprio sulla parola "paesaggio" e l'aveva collocata tra stagne parentesi quadre. Probabile che simili pensieri si frapponessero tra quelli prettamente architettonici in Carlo Scarpa, dal buen retiro di Asolo in via Browning, al cospetto degli Asolani bembiani e delle Prealpi (le stesse del poeta di Pieve di Soligo), magari durante la contemplazione di quell'infinito assente/accoglimento, appoggiato a quel terrazzo da lui stesso disegnato. Per l'architetto e professore veneziano, nemmeno patentato, quel paesaggio guadagnato verso nord nella casa asolana è stato perenne punto di contemplazione e partenza di tutta una serie di progetti, a lungo meditati e soprattutto radunati nel disegno di dettagli. Scarpa, almeno inizialmente, proveniva da una formazione più pittorica che architettonica, com'era in uso all'epoca. Oggi sentiamo la lacuna pittorica nel "piano formativo" dei nuovi architetti e immagino che uno studente di architettura di Venezia possa benissimo arrivare a laurearsi senza conoscere (e meditare sul perché abbia senso studiarli) almeno un'opera di Giorgione o di Cima da Conegliano. In questi pensieri non intende esserci un rigurgito nostalgico del paesaggio che è stato, ma la consapevolezza che l'architettura debba affondare le proprie mani anche nell'arte pittorica e plastica e in un irrinunciabile ricorso all'inquadratura. I numerosissimi disegni di Scarpa erano calati nella progettazione generale, della quale il nostro era tuttavia meno "avido". E un aspetto singolare che emerge nel volume di cui scrivo ora è proprio il sostanziale pudore scarpiano per il progetto generale e l'indugiare invece sul particolare che dà profondità alla sinfonia architettonica e alla sua meravigliosa macchina degli sguardi. Gli archivi scarpiani, molteplici e frammentati e quindi di difficile accesso per i ricercatori di tutto il mondo, denunciano proprio questa cifra dell'architetto che partiva forse prima da Bellini che da Vitruvio. Quote e orizzonti. Carlo Scarpa e i paesaggi veneti di Gianluca Frediani, volume che Quodlibet propone nella collana DiAP PRINT (pp. 144, euro 18), è un appassionato scandaglio di tutto il materiale preparatorio - per molti versi squisitamente pittorico - di due degli interventi più noti dell'architetto veneziano, morto accidentalmente durante un viaggio in Giappone nel 1978: l'ampliamento della Gipsoteca canoviana di Possagno, non lontana da Asolo, collocato nel triennio 1955-57 e successivamente, negli anni Settanta, la lunga gestazione della celebre Tomba Brion a San Vito di Altivole, il monumento funebre commissionato dall'omonima famiglia (da cui il marchio Brionvega).

Il lavoro di Frediani coincide con un'approfondita perlustrazione di materiale d'archivio e arriva a confermare come il sovrabbondante disegno fosse per questo architetto italiano, oggi tra i più studiati al mondo, una via maestra e consustanziale del pensiero. L'intento dell'autore è anche quello di portare Scarpa laddove è sostanzialmente arrivato con le proprie opere, ovvero nel cuore della modernità e del dibattito architettonico assieme a Le Corbusier, Frank Lloyd Wright e Ludwig Mies van der Rohe. L'architetto-pittore si trovò per quasi tutta la vita a operare in contesti preesistenti. E anche i due lavori asolani sui quali il libro indugia non fanno eccezione: la Tomba Brion è situata al confine del piccolo cimitero dalla località trevigiana, mentre la Gispoteca canoviana di Possagno, adiacente alla casa dello scultore, è un edificio che vede la propria origine nella prima metà dell'Ottocento. L'intervento di Scarpa nella gipsoteca è duplice, da un lato sul corpo esistente e dall'altro nel paesaggio che circonda. Lo stesso dicasi per il monumento funebre di San Vito di Altivole (dove lo stesso Scarpa è sepolto). Elemento  guida dello studio di Frediani è il concetto di quota: nella casa museo dello scultore la quota +1,37 m segna il livello dei piedi mentre nella Tomba Brion la quota +1,62 m fissa il livello degli occhi. A queste linee e queste altezze Carlo Scarpa concepisce il proprio intervento architettonico nel paesaggio con cerchi, modanature, propilei, cortili, vasche e altri mirabili congegni per gettare molti sguardi sul paesaggio da posizioni di intimità, quasi uno scorgere senza essere visti. Sono queste quote a segnare l'orizzonte, una linea costantemente presente e trapuntata dai saliscendi di ogni suo disegnato pensiero.

Due link per approfondire i lavori trevigiani di Scarpa presi in esame dal libro:
- Gipsoteca canoviana di Possagno;
- Tomba Brion a San Vito di Altivole.


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