Da poche settimane potete trovare in libreria un Meridiano assai utile. Contiene l'intera opera poetica di Wallace Stevens, lo scrittore "excruciatingly difficult" secondo il filosofo Stanley Cavell, eppure così godibile e "diretto" (prova ne sia, a mio avviso, anche la poesia che chiude questo articolo). Il curatore e traduttore è Massimo Bacigalupo, un nome familiare a chi frequenta la poesia americana in traduzioni italiane (nella foto accanto Bacigalupo, a sinistra, è ritratto assieme a Claudio Pozzani, direttore del Festival Internazionale di Poesia di Genova, lo scorso 17 giugno, proprio in occasione di una presentazione del Meridiano). Massimo Bacigalupo ha accettato l'invito a rispondere alle domande seguenti e di ripercorrere così la sua pluridecennale frequentazione con Stevens.
LB: A quando risale il suo primo incontro con la poesia di Wallace Stevens
e in quali tappe principali si articola questa lunga frequentazione, da poco
sfociata nella curatela del recente Meridiano di Mondadori intitolato Tutte le poesie?
R: Una ricca antologia tascabile di Stevens mi fu regalata intorno al 1970 da
un giovane poeta americano che passò un periodo a Rapallo, Nick Piombino, in
seguito attivo nell’ambito della “Language School”, che fa una poesia assai
concettuale. In seguito fu importante per me il saggio di Randall Jarrell che
dopo aver protestato davanti all’ultima raccolta di Stevens, Le aurore d’autunno (1950) si entusiasmò
per La roccia, la sezione di inediti di
Collected Poems (1954), come poesia
di “stile tardo”. Sicché quando Giovanni Raboni mi propose nel 1984 di curare
un volume per la sua collana palermitana Acquario-Guanda e fra varie mie
proposte scelse Stevens, raccolsi in un unico volume, Il mondo come meditazione, tutte le poesie dell’ultimo periodo
1950-55, quello dopo Le aurore,
annotandole e trovando anche molta soddisfazione nell’inventare un linguaggio
appropriato. In seguito questo volume è stato ripreso dalla rinata Guanda, e ne
ho approfittato per riscrivere l’introduzione e l’apparato (quelli della prima
edizione, 1986, non mi convincevano più). Ma la traduzione è cambiata poco
nelle varie edizioni, cosa che con Stevens per me è piuttosto rara.
LB: Veniamo subito al Meridiano e a una domanda
personale, che però riguarda quel "senso di responsabilità" di un
curatore che si appresta a offrire una traduzione integrale di un corpus
poetico: quali sono stati i primi pensieri quando s'è profilata l'idea di un
simile progetto e quali sono stati invece i pensieri a lavori conclusi?
R: Nel 1994 avevo pubblicato nei Millenni Einaudi una antologia comprendente
circa metà dell’opera di Stevens, un bel volumone illustrato di cui ero
piuttosto contento, ma di cui in fondo poco si parlò dato il carattere un po’
ingessato della collana. In un incontro a Segrate verso il 2011 suggerii a
Renata Colorni che magari si poteva completare l’opera raccogliendo tutto
Stevens in un Meridiano: un monumento, dissi scherzando, per cui ci saremmo
guadagnati la gratitudine e il ricordo dei posteri. Renata accettò, dopodiché cominciarono
le immani fatiche... Il primo contratto stabiliva come data di consegna il
dicembre 2012, e nell’estate mi misi a tradurre e commentare diligentemente le
poesie escluse dal Millennio. Ma in quello stesso anno lavoravo a una nuova
traduzione per Guanda dei XXX Cantos
di Pound, impresa non da poco che uscì a ottobre, e a una ampia scelta di
poesie di Coleridge per la serie “Un secolo di poesia” del “Corriere della
Sera”, che uscì a novembre, e nel 2013 dedicai tempo a un altro lavoro (la
riedizione per Archinto di Fine al
tormento di “H.D.”). Sicché fu soprattutto nel 2013 che cominciai a correre
con le traduzioni nuove, che consegnai dopo varie riletture nel marzo del 2014.
Ma in realtà il duro era ancora da venire. La revisione fu affidata ad Anna
Ravano, ottima conoscitrice di poesia (ma non di Stevens, mi scrisse subito).
Un impaginatore inserì le nuove traduzioni (appunto, circa la metà) fra quelle
riprese dal Millennio, e Anna mi rimandò i file completi con tutte le sue
puntualissime annotazioni, spesso con lunghe citazioni dall’OED (come quelli
del mestiere chiamano il monumentale Oxford
English Dictionary). Scoprii ovviamente che le versione del Millennio 1994
andavano spesso ritoccate, meno quelle del Mondo
come meditazione del 1986, forse più ispirate e anche meno ardue (?). Vedo
che il file delle revisioni di Armonium
(la prima delle raccolte riunite nei Collected
Poems) mi arrivò a settembre del 2014. Un bel ruolino di marcia ne seguì,
visto che il Meridiano è uscito a giugno del 2015, con un po’ di fretta
all’ultimo per arrivare prima dell’estate. C’era poi il problema delle
annotazioni, che mandavo con i file delle traduzioni riviste e controllate,
cioè come ultimo passo, a loro volta dopo una rilettura da parte di Anna Ravano.
Dopodiché comincia a introdursi nel duetto Francesca Pinchera, che si occupa
della messa in pagina e che a sua volta presenta dubbi e suggerimenti, non di
rado azzeccati. È un bel balletto, ma anche defatigante. Stevens è sempre lì,
misterioso, non scalfibile dalle formiche sul monumento... Stevens diceva che
una poesia spiegata è morta, per questo le sue restano inspiegabili. Ma
nutrienti e in qualche modo confortanti. Vivere alcuni anni con Stevens sulla
scrivania è stato bello. È così tranquillamente certo di quello che ha da
dire, di quello che importa, eppure non diviene mai ovvio. Mi ha colpito la segnalazione
di Mario Fortunato sull’“Espresso” del 16 luglio. Fortunato cita per intero la
breve ultima poesia di Stevens, Del mero
essere, perché, scrive, “nell’incertezza di questi giorni di incertezza
politica e follia terroristica, pare riassumere la calcinata solitudine delle
nostre speranze”. Insospettabile attualità dell’inattuale Stevens... Poi
rileggendo Del mero essere e
ripensando al difficile ultimo verso, “The
bird’s fire-fangled feathers dangle down”, mi è venuto in mente di
correggerne la traduzione impossibile, cosa che farò se come spero il Meridiano
si ristamperà.
LB: Può ripercorrere a sommi capi la composizione di questo volume - che
ricalca in buona sostanza i Collected Poems - dando alcuni cenni
sull'epoca delle traduzioni e soprattutto sulle linee guida che hanno orientato
l'apparato di commento?
R: Come detto, si tratta di una avventura trentennale, che però ha avuto un giro di vite dal 2013, sicché il volume nasce unitario. Nell’estate del 2013 ricordo che ero in un aeroporto a Monaco in attesa del cambio aereo e su un portatile scarsamente efficiente mi industriavo a rendere versi non lontani dal flatus vocis: “Force is my lot and not pink-clustered / Roma ni Avignon ni Leyden, / And cold, my element” (Esame dell’eroe in tempo di guerra). Oppure: “Chome! clicks the clock,if there be nothing more” (Montrachet-le-jardin). Sono poesie scritte alla fine della II guerra mondiale. Stevens è sempre serio ma anche fantastico e stranamente divertito e divertente. Quanto al commento, c’erano già delle annotazioni estese in Il mondo come meditazione del 1986, che ho rifuso e reso meno accademiche nella riedizione del 1993. Ho ormai pratica di commenti. Cerco di scrivere piuttosto pianamente ma suggerire a volte anche l’emozione che il testo provoca. La mia edizione delle Poesie della Dickinson uscita negli Oscar ha annotazioni per ogni singolo testo, e anche indicazioni sulla metrica, materia poco nota trattandosi di inglese ai lettori italiani e non solo, eppure ovviamente essenziale, purché tutto questo commentare sia fatto con una certa sprezzatura non troppo indegna dello spirito dei testi scrutati. Sono anche per certi versi lontani, e le note chiariscono se possono il contesto, il tono (così importante): nella poesia mancano gli “emoticon” e può essere utile dopo decenni e secoli indicarli verbalmente... Ma le scoperte con Stevens non finirebbero mai.
R: Come detto, si tratta di una avventura trentennale, che però ha avuto un giro di vite dal 2013, sicché il volume nasce unitario. Nell’estate del 2013 ricordo che ero in un aeroporto a Monaco in attesa del cambio aereo e su un portatile scarsamente efficiente mi industriavo a rendere versi non lontani dal flatus vocis: “Force is my lot and not pink-clustered / Roma ni Avignon ni Leyden, / And cold, my element” (Esame dell’eroe in tempo di guerra). Oppure: “Chome! clicks the clock,if there be nothing more” (Montrachet-le-jardin). Sono poesie scritte alla fine della II guerra mondiale. Stevens è sempre serio ma anche fantastico e stranamente divertito e divertente. Quanto al commento, c’erano già delle annotazioni estese in Il mondo come meditazione del 1986, che ho rifuso e reso meno accademiche nella riedizione del 1993. Ho ormai pratica di commenti. Cerco di scrivere piuttosto pianamente ma suggerire a volte anche l’emozione che il testo provoca. La mia edizione delle Poesie della Dickinson uscita negli Oscar ha annotazioni per ogni singolo testo, e anche indicazioni sulla metrica, materia poco nota trattandosi di inglese ai lettori italiani e non solo, eppure ovviamente essenziale, purché tutto questo commentare sia fatto con una certa sprezzatura non troppo indegna dello spirito dei testi scrutati. Sono anche per certi versi lontani, e le note chiariscono se possono il contesto, il tono (così importante): nella poesia mancano gli “emoticon” e può essere utile dopo decenni e secoli indicarli verbalmente... Ma le scoperte con Stevens non finirebbero mai.
William Wordsworth |
LB: Com'è lo Stevens aforista?
R: Gli aforismi, Adagia li chiama lui, sono in massima parte inediti in vita, sicché non hanno la perfezione formale di tutto quanto Stevens stampava. Comunque lui non ha mai scritto nemmeno in privato una sciocchezza e o una zeppa. Gli Adagia sono annotazioni sobrie ed estreme (ecco il carattere di Stevens!) che spesso servivano da fonte della poesia, dove talvolta riappaiono tali quali. Credo che stiano bene in appendice alle poesie complete, perché fanno sentire uno Stevens più spoglio eppure senza tentennamenti, e infatti i recensori hanno tutti citato qualche battuta. Avviarsi nei testi poetici è senz’altro più arduo. Eppure un’amica mi ha scritto giorni fa un sms: “Anna mi ha regalato il Meridiano, la cui lettura è stato l’aspetto più bello e coinvolgente di un’estate altrimenti da dimenticare”. Stevens diceva infatti che la poesia deve aiutare la gente a vivere la propria vita. Mi vanto di avere tradotto un’altra opera che credo faccia questo per chi vi si immerge, Il preludio di Wordsworth, poeta di cui Stevens è l’ironico e indefinibile successore.
R: Gli aforismi, Adagia li chiama lui, sono in massima parte inediti in vita, sicché non hanno la perfezione formale di tutto quanto Stevens stampava. Comunque lui non ha mai scritto nemmeno in privato una sciocchezza e o una zeppa. Gli Adagia sono annotazioni sobrie ed estreme (ecco il carattere di Stevens!) che spesso servivano da fonte della poesia, dove talvolta riappaiono tali quali. Credo che stiano bene in appendice alle poesie complete, perché fanno sentire uno Stevens più spoglio eppure senza tentennamenti, e infatti i recensori hanno tutti citato qualche battuta. Avviarsi nei testi poetici è senz’altro più arduo. Eppure un’amica mi ha scritto giorni fa un sms: “Anna mi ha regalato il Meridiano, la cui lettura è stato l’aspetto più bello e coinvolgente di un’estate altrimenti da dimenticare”. Stevens diceva infatti che la poesia deve aiutare la gente a vivere la propria vita. Mi vanto di avere tradotto un’altra opera che credo faccia questo per chi vi si immerge, Il preludio di Wordsworth, poeta di cui Stevens è l’ironico e indefinibile successore.
LB: Secondo lei perché chi scrive di Stevens sente quasi sempre il bisogno di
ricordare il suo impiego a vita in una importante compagnia di assicurazioni?
R: Occorre pur dire qualcosa, cominciare da qualche parte. Un poeta
dell’America di Hopper, che passa tutti i santi giorni in ufficio, ma poi
scappa a Key West e L’Avana. Ma questa è un’altra storia. Spassosa la
dichiarazione della moglie a questo riguardo, che ho messo a epigrafe della
Cronologia del Meridiano!
LB: Quali sono state le maggiori difficoltà (intendo anche difficoltà tecniche
e concrete) nella realizzazione di questo libro?
R: La materia sfugge fra le mani perché tutto è in evoluzione, la traduzione
che via via si modifica, le note che si arricchiscono e correggono, tocchi una
cosa qui e devi toccarne altre là. Una certa parola, come “plain”, si traduce sempre allo stesso modo o no? (A volte ho scelto
“semplice”, altre volte “ordinario”.)
Poche settimane prima della stampa ho scoperto che in USA stava per uscire una
nuova edizione dei Collected Poems con
decine di correzioni sostanziali al testo, parlo di interi versi e gruppi di
versi spostati all’interno di strofe. Erano tutte correzioni convincenti,
dunque occorreva modificare l’inglese, ma anche la traduzione...
Robert Frost |
LB: Una domanda fuori
traccia, ma forse nemmeno troppo. Rimanendo in area statunitense, e magari
pensando proprio alla poesia di Stevens, quali sono i poeti dei quali vorrebbe
caldeggiare una traduzione (o una nuova traduzione)?
R: Da tempo predico la necessità di un Meridiano di Robert Frost, il grandissimo antagonista di Stevens, che ha anche il merito di essere apparentemente leggibile (e popolare!). All’Università non faccio quasi mai un corso di letteratura americana senza chiamare in causa Frost, che è proprio l’America con le sue tragiche ambiguità, e la sua forza. Ci fu un’edizione Oscar tradotta da Giudici e riveduta da me, da anni esaurita. Assurdo!
R: Da tempo predico la necessità di un Meridiano di Robert Frost, il grandissimo antagonista di Stevens, che ha anche il merito di essere apparentemente leggibile (e popolare!). All’Università non faccio quasi mai un corso di letteratura americana senza chiamare in causa Frost, che è proprio l’America con le sue tragiche ambiguità, e la sua forza. Ci fu un’edizione Oscar tradotta da Giudici e riveduta da me, da anni esaurita. Assurdo!
LB: Può scegliere una poesia di Stevens come saluto e congedo? Grazie.
UNO SVANIRE DEL SOLE
quando tutti sono agitati
o la notte abbagliante, orgogliosa,
quando tutti svegliati
invocano e invocano aiuto?
La calda antichità dell’io,
ognuno, diventa a un tratto fredda.
Il tè è scipito, il pane intristito.
Come è che il mondo così vecchio è così
impazzito
che tutti muoiono?
Se la gioia sarà senza un libro
essa dimora dentro loro stessi,
se guarderanno
dentro sé stessi
e non invocheranno aiuto:
dentro come pilastri del sole,
puntelli della notte. Il tè,
il vino è buono. Il pane,
la carne è dolce.
E non morranno.
Se, come pare, Mondadori chiuderà lo Specchio, ce ne faremo una ragione, se nel frattempo proseguirà nella realizzazione di libri come questo (prima pubblicazione in lingua straniera dell’opera completa di Wallace Stevens).
RispondiEliminaSegnalo questo link da "Poesia e conoscenza": http://www.poesiaeconoscenza.it/2015/07/08/in-primo-piano/
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