Librobreve intervista #65
Circa un anno fa approdava in libreria una nuova e notevole collana di
saggistica di Elliot edizioni curata da Antonio Debenedetti. I libri di questa
collana sono brevi e propongono un’idea forte di “saggistica” come genere
letterario fra gli altri, un genere ritenuto indispensabile per avvicinare i
nodi cruciali di un’epoca. Il nome scelto per tale raggruppamento di titoli è
“Maestri” e alcuni volumi, come ad esempio il Sade di
Apollinaire, hanno già trovato spazio in queste pagine nei mesi scorsi. Lo scorso ottobre ho
approfondito il percorso svolto fin qui e indagato su alcuni sviluppi futuri in
un’intervista telefonica con la direttrice editoriale di Elliot edizioni, Loretta Santini,
e con il direttore della collana Antonio Debenedetti (e pure un simpatico cane, responsabile della collana a suo modo,
che ha voluto dire la sua in modo stentoreo a metà del nostro colloquio). Il testo che segue è la trascrizione di quella chiacchierata.
LB: Vorrei partire dall’attualità della
collana “Maestri” da lei curata, cioè dalle Lettere dal fronte di
Renato Serra, uno degli ultimi titoli proposti. Quale il movente, centenari a
parte?
AD: Perché
Serra? Perché la collana parte con l’intento di recuperare la grande saggistica
e Serra rientra pienamente in questo intento, anche con le sue lettere. I saggi
rappresentano una nicchia e lo diventano sempre più, anche perché spesso sono
inghiottiti da opere monumentali. Un esempio: La letteratura e le idee di Lionel Trilling, uno dei grandi maestri
della critica americana del Novecento. Abbiamo voluto estrapolare un saggio da
quel volume Einaudi di molti anni fa. Il suo Arte e nevrosi uscito per la collana “Maestri” tocca un tema di
straordinaria attualità, anche per le giovani generazioni, ma non solo per queste.
Noi lo abbiamo proposto in un’edizione per forza di cose piccola, molto
economica. C’è una cosa che però mi piace sottolineare: la saggistica è un
genere letterario come la poesia o il romanzo, è chiaro che è così, anche se
ciò non pare un assunto di pubblico dominio. Quello che noi vorremmo
evidenziare con il nostro operato è allora questo aspetto. La invito a
riflettere su come sono stati saccheggiati i classici della narrativa che hanno
fatto la fortuna di alcuni editori. Questo non è accaduto con la saggistica.
Assieme a Loretta Santini abbiamo immaginato questa collana, fors’anche perché
sono figlio di un critico, scrivo recensioni e mi occupo di critica. Ma posso
anche dire che la recensione è diversa dal saggio. Le recensioni sono
interventi critici, oggi spesso troppo vicini alla volontà degli editori,
mentre i classici della saggistica sono dei grandi interventi che riguardano la
cultura di una società e di un tempo. Ci sono dei grandi autori di saggi che
stiamo inseguendo, Edmund Wilson è uno. I suoi libri e i suoi ritratti sono di
una godibilità assoluta. Qual è dunque il tentativo della collana allora? Prendiamo il nome: “Maestri” è un’idea di
Loretta Santini, per dare subito al pubblico l’idea di cosa si parla. Fosse per
me avrei scelto “I complici segreti”, perché tali sono da sempre i grandi
libri. Tuttavia riconosco che era necessario dare una riconoscibilità immediata
del progetto, all’interno delle logiche di una casa editrice di cultura e non
“di cassetta”.
LS: Volevo
aggiungere solo un appunto sul nome scelto, “Maestri”.
L’esigenza era far conoscere questi personaggi del passato come “maestri” e
mostrare, allo stesso tempo, come siano assenti oggi figure di quello spessore.
LB: Il nome “Maestri” presuppone un
allievo dall’altra parte. Qual è allora la vostra idea di “allievo”?
LS: Per me è
un’idea intergenerazionale. Dal punto di vista dei più giovani, io penso che
debbano arrivare a capire la differenza di una grande scrittura applicata alla
saggistica, una scrittura che spesso non si distingue dalla narrativa o dagli
altri grandi generi di cui più spesso si parla.
AD: Per
capire una cultura bisogna partire dalla saggistica. Lei esordisce citando
Renato Serra, un intellettuale troppo presto strappato alla vita, e fa bene.
Abbiamo voluto pubblicare le sue lettere per far emergere il suo risvolto
umano, di artista sensibile. Ma presto pubblicheremo Pesci rossi di Emilio Cecchi (già in libreria, ndr). Lei sa che
Cecchi è tra i padri della prosa d’arte. Oltre a essere un critico eccellente e
fondamentale per la cultura italiana, Cecchi è pure uno scrittore
elegantissimo, maestro del suo genere. Ecco, direi che con i primi volumi della
collana volevamo far capire anche come vari molto al suo interno lo stile della
saggistica, come si possa passare da quello della prosa d’arte di Cecchi, a
quello delle folgoranti espressioni creative di Virginia Woolf: i suoi
scrittori russi (L'anima russa. Dostoevskij, Cechov, Tolstoj, ndr)
diventano un racconto di un racconto, escono dalla cornice saggistica e
diventano personaggi della narrativa. La saggistica è un genere che quindi
varia moltissimo al suo interno. Avrà una sorpresa quando uscirà il “nostro
Collodi”, ma non aggiungo altro (il volume Pinocchio.
Poli, Papini, Pancrazi, Montanelli è da poco in libreria, ndr). Da quel
volume, inventato qui in casa editrice, però si potrà evincere meglio la nostra
idea di saggistica e le diverse sfaccettature del saggio: saggio come racconto
e ritratto dell’artista, come analisi stilistica, come analisi psicologica e
come analisi di contenuti.
LB: C’è una pianificazione di medio-lungo
termine delle uscite?
AD: I lavori
avvengono tra me, Loretta e un terzo, spesso in mezzo: il cane. In realtà si
tratta di costruire un dialogo e capire come comportarsi ad esempio con gli
autori stranieri che pubblichiamo, che non sempre sono fuori diritti. In
sostanza, quello che pubblicheremo nei prossimi sei mesi è chiaro nelle nostre
teste, ma poi bisogna sempre fare i conti con quanto si riesce effettivamente a
pubblicare. Questo accade perché parliamo di una collana che non raccoglie
quello che si trova facilmente nei tavolini; è una collana che talvolta si
alimenta di un gusto “tirannico” e che per tale motivo può trovarsi davanti dei
muri o delle porte chiuse.
LB:
L’ultima domanda è relativa al costrutto editoriale di collana. Tale costrutto
mi pare regga ancora nel mondo dell’editoria. Elliot stessa è strutturata per
collane. Ma tale costrutto regge davvero o vacilla? Presenta qualche difficoltà
e scricchiolio o è ancora il costrutto principe per organizzare un catalogo
editoriale?
LS: La
domanda tocca una questione aperta. Già qui in casa editrice la vediamo in modi
assai diversi. Per alcuni dei miei collaboratori la centralità di tale costrutto editoriale è
messa in discussione. Io invece sostengo la necessità delle collane (per i
contenuti, ma pure per la grafica), anche perché da lettrice questo è stato un
modo per fidarmi, quando queste erano la rappresentazione del
bagaglio di personaggi di grandissimo valore culturale. Quindi devo molto alle collane e se ho letto quello che ho letto è grazie alla presenza di un
titolo in una data serie di titoli raggruppati sotto un comune denominatore all'interno di un catalogo di un editore. Per i cosiddetti lettori forti - che forse non
frequentano nemmeno più le librerie tradizionali, ma si muovono diversamente
per i loro acquisti - penso sia ancora viva la necessità di collana e la
volontà di affezione a questa. Lo stesso progetto di “Maestri” insegna, pure
da un punto di vista prettamente pratico e commerciale: se mando l’elenco delle
novità a un agente particolarmente “riottoso”, non particolarmente motivato a
promuovere un “piccolo libro” su cui rischia solo di perdere del tempo e non
guadagnare molto, avere alle spalle l’elenco dei titoli già usciti mi aiuta.
Anche questo è il senso della collana, qui da un punto di vista commerciale.
AD: Le
collane hanno certamente un senso. Le mie generazioni si sono formate su certe
collane, pensi ad esempio a “Lo Specchio” per la poesia, ma anche al “Il
tornasole” di Niccolò Gallo e Vittorio Sereni, oppure pensi a “La Medusa” e ai
titoli che quella collana permise di pubblicare durante il Fascismo, oppure a
“I Gettoni” di Vittorini che hanno rimesso in moto la macchina della narrativa
italiana nel dopoguerra. Ma ci sono anche altre collane a cui pensare, come “Il
pesanervi” di Bompiani di cui stiamo recuperando un titolo, ma non per la
collana “Maestri”. Le collane sono dunque fondamentali e, dirò di più, credo
siano pure un vanto della nostra editoria. Quando Attilio Bertolucci dirigeva
la collana di letteratura di Garzanti uscirono ad esempio Ivy Compton Burnett o
Il moscardino di Pea. In Italia ci sono state collane e direttori di
collane che hanno fatto epoca. Ricordiamo Il Gattopardo uscito per
Feltrinelli sotto la direzione editoriale di Giorgio Bassani. Le collane allora
sono un modo di far rivivere la rivista letteraria, con le sue scelte e il suo
percorso culturale. Oggi è chiaro che le riviste stentano molto, ma le collane
possono comunque diventare un punto di riferimento come lo erano le riviste. Lo
spirito da cui nascevano le scelte, all’interno di una redazione di una
rivista, si rifaceva alla memoria di titoli che poi venivano proposti e
diventavano attuali. In una collana si va a cercare il libro che rappresenti
qualcosa, una zona della cultura, illuminando così, a poco a poco, una
sorta di diorama. Noi vorremmo che avvicinando questi libri si potessero
riannodare certi punti fermi della cultura. Una battuta per concludere: fare
cultura con pochi soldi ad alto livello, ecco, questo è l’obbiettivo primo e
ultimo di questa collana “Maestri”.