Francisco Goya, Vuelo de brujas (1798) |
Come invito a cercare e leggere queste pagine ripercorro allora alcuni frammenti dell'opera, le sue oscillazioni, che possono sfiorare i mistici (i veri atei), la conoscenza come inizio del disincanto e di una melanconia infinita, il vedere che non è leggere (in questi passaggi l'infilarsi nella nostra più trita quotidianità è acuto), il "fine della lettura" inteso come l'istante in cui si alzano gli occhi dalla pagina, l'aristocratico e la democrazia, l'orgasmo e la masturbazione, il buon gusto come questione di attenzione, lo scrivere inteso come gesto che dà dignità al mondo, lo squallore del mercato editoriale davanti al quale non restano che "edizioni semiclandestine e incontri inattesi", l'ingenuità degli intellettuali e la mancanza di gusto tra gli uomini di cultura, considerazioni sul numero dei lettori e sul "successo", la grazia dell'esistenza che solo chi è stato abbandonato almeno una volta può comprendere o l'autosufficienza di ogni epoca ("Non ci sono epoche migliori di altre. In ogni epoca c'è tutto: genio, finezza, grandezza, volgarità e decadenza."). Gli si crede quando scrive "Un piccolo quadro di Goya, Vuelo de brujas, vale per me più di tutta l'arte contemporanea". Insomma, questa mia campionatura profondamente stupida, perché annienta il ritmo della scrittura e le oscillazioni del pensiero, i suoi bianchi e le sue esitazioni, valga almeno come invito a verificare questa scrittura e saggiarne la suddivisione del tempo, la frequentazione del mistero del pensiero e dell'indistinto. Un invito a leggere che ho sparso in queste righe, qui e ora ("Qui e ora, cioè altrove.")
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