Ma che cos'è questo "sospetto" da cui il titolo del celebre contributo di Nathalie Sarraute e la fortuna della sua formula? Sono ormai ben note le parole con cui Sarraute circoscrisse il suo ragionamento. Le ricordiamo nella sua lingua: "Un soupçon pèse sur les personnages de roman. Le lecteur et l'auteur en sont arrivés à éprouver une méfiance mutuelle. Depuis Proust, Joyce et Freud le lecteur en sait trop long sur la vie psychologique. Il a tendance à croire qu'elle ne peut plus être révélée, comme au temps de Balzac, par les personnages que lui propose l'imagination de l'auteur. Il leur préfère le "fait vrai". Le romancier, en revanche, est persuadé qu'un penchant naturel pousse le lecteur à trouver, dans un roman, des "types", des caractères, au lieu de s'intéresser surtout à cette matière psychologique anonyme sur laquelle se concentrent aujourd'hui les recherches de l'auteur. Aussi celui-ci s'acharne-t-il à supprimer les points de repère, à "dépersonnaliser" ses héros." Il genio del sospetto, risalente a Stendhal, passa per Jacques Tournier e le sue considerazioni su un pubblico che teme che l'autore cerchi di "fargliela" e la conclamata nuova centralità del "fatterello vero" (le "fait vrai") a dispetto di un'opera di immaginazione messa al bando. Il saggio si conclude con queste parole:
Il sospetto, che sta distruggendo il personaggio e tutto l’armamentario desueto che ne assicurava la potenza, è una di quelle reazioni patologiche con cui un organismo si difende e trova un nuovo equilibrio. Obbliga il romanziere ad assolvere quello che è, come dice Philip Toynbee ricordando la lezione di Flaubert, «il suo compito più profondo: scoprire il nuovo», e gli impedisce di commettere «il crimine più grave: ripetere le scoperte dei suoi predecessori». (pag. 82)I quattro saggi contenuti nel volume, con le loro disamine sui personaggi, su autori precisi (spicca l'amore per Henry Green), sul succitato "fatterello vero", sul patto autore-personaggi, sulle mode del tempo (ad esempio il romanzo americano, ma tutto il libro è un buon termometro anche dei "sentimenti" interni al mondo della letteratura e alla fama di quei tempi), fanno da base d'appoggio a un discorso che palleggia continuamente tra i due semicampi di autore e lettore e che oggi, più che rassomigliare a un approdo, pare porsi dinnanzi a noi e a alle nostre riflessioni sul romanzo con le sembianze del punto di partenza per le riflessioni che possiamo ancora fare. Ad esempio pone senza quasi volerlo più di qualche domanda alla confessione, intesa come genere letterario, e si potrebbe proprio ripartire dalle riflessioni di María Zambrano a riguardo. Ma è solo uno dei possibili tragitti che si possono intraprendere in un'era del sospetto ancor più radicalizzata e cinica.
Spesso la letteratura francese ci ha abituati ai luoghi comuni e alla loro analisi. Da una loro contestazione e da molteplici riflessioni sulle logiche che governano i personaggi dei romanzi si può dire che era partita anche Nathalie Sarraute, approdata ai terreni vaghi della "sottoconversazione" (cui è dedicato qui uno dei saggi più interessanti, "Conversazione e sotto-conversazione"), fatta di movimentazioni disarticolate e non sicure, interrotte. La pluralità della vita, l'intensità di vita (per dirla con Gide) e il flusso vitale sono rimasti costantemente al centro di qualsiasi speculazione teorica e creativa. Oggi che la parola "romanzo" è una etichetta accostata al titolo di un libro in libreria ci dimentichiamo della mole di riflessioni che si è scaraventata su questo sconosciuto per qualche decennio. Tuttavia, ogni volta che si affronta una riflessione teorica sul romanzo si ha l'impressione di affrontare qualcosa che ci riguarda da vicino. Non so se dimenticarsi di tutte queste riflessioni sia necessariamente sbagliato: è un'opzione, fra altre possibili. Probabilmente basterebbe iniziare a scegliere alcuni dei contributi più originali e significativi sul tema e questo di Nathalie Sarraute mi pare uno.
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