All'inizio del 2016 a Roma è nata una casa editrice specializzata in racconti. Si chiama Racconti Edizioni. Ospito di seguito le risposte di Emanuele Giammarco, che ringrazio.
Lo scarafaggio capovolto, l'emblema |
LB: Sul web vanno per la maggiore le liste, i
decaloghi. Vi va di stilare un elenco con i titoli dei dieci racconti che
improntano la vostra idea editoriale e la vostra idea di catalogo e del suo
sviluppo? Quei dieci racconti che secondo voi hanno cambiato il corso degli
eventi di quella che, in ambito internazionale, si definisce "short
story"? (Teniamoci una bonus track n. 11 per il racconto che vorreste
pubblicare e non avete ancora letto.)
R: Ci sembra un compito assai arduo con cui
misurarsi, è un po’ come cercare di assemblare un album con la colonna sonora
della propria vita. Questi sono solo alcuni di quelli che ci piacciono e che di
recente, inesorabilmente, hanno fatto prendere quella piega surreale alle
nostre vite che ci ha trasformato in editori, per quanto improbabili. I
racconti sono in ordine perlopiù casuale. Difficilmente ci facciamo ingolosire
per la pubblicazione da un libro non letto. Quindi occupiamo la bonus track con
un genio.
1. Bartleby lo scrivano di Herman Melville.
2. Un medico di campagna di Franz Kafka.
3. Pastoralia di George Saunders.
4. Gli storpi entreranno per primi di Flannery O’Connor.
5. Qualsiasi
cosa di Michele Mari.
6. Manuale per donne delle pulizie di Lucia Berlin.
7. Something Nice from London di Petina Gappah.
8. Ultimamente invece mi si rizza di Etgar Keret.
9. Il sogno di Cesare di Luigi Malerba.
10. La Torre Rossa di Thomas Ligotti.
Bonus track L’incendio di via Keplero di
Carlo Emilio Gadda.
LB: Lo scrivete chiaramente anche nel vostro
sito: in origine del vostro progetto ci sono anche le molte
"chiacchiere" sul racconto (non vende, non è curato dall'editoria
nostrana, non è ben recepito dai lettori che sembrano preferire romanzi dalle
800 pagine in su ecc.). Vi siete già dati delle risposte su
questo scenario che si è creato negli anni o preferite darvi delle risposte
lavorando e progettando, strada facendo? Di primo acchito quale sarebbe ed è la
vostra obiezione a una frase come "tanto il racconto non funziona in
Italia"?
R: «Può darsi, speriamo di no, in ogni caso chi
se ne frega.» Non abbiamo nessuna certezza che possa funzionare editorialmente,
però abbiamo la certezza che i lettori possano senza dubbio innamorarsi di un
racconto allo stesso modo in cui lo fanno con un romanzo. Bisogna vedere se un
numero sufficiente di lettori lo capisce, decide che le nostre scelte sono
interessanti e decide pure di spendere dei soldi per noi in mezzo a tante
splendide opzioni letterarie. Se così non è, il «chi se ne frega» di cui sopra
potrebbe diventare ridicolo. Però sono comunque sicuro che non ce lo toglierebbe
dalla testa nessuno che i racconti non hanno nulla da invidiare alle altre
forme letterarie. Poi ci sono tantissime raccolte meravigliose in giro, non
solo le nostre. Noi dobbiamo convincere a prescindere dalla nostra battaglia
sul racconto. Siamo contenti anche se cominciano a vendere di più Ballard,
Yates, Čechov, Buzzati, Berlin, Poissant ecc.
LB: Un po' di terminologia: "racconto"
e "novella". Il secondo termine ha un peso rilevante nella nostra
tradizione, da Boccaccio ad autori più vicini come Verga o Pirandello. Vi siete
posti anche questo interrogativo di natura terminologica? Cosa è uscito dalla
riflessione?
R: Ci siamo posti molti problemi su come
definire il racconto, senza mai cavarne molto in realtà. In fondo la
discriminante più immediata è anche la più giusta: si tratta di una «forma»
breve. I francesi lo chiamano ancora nouvelle. Nonostante la gloriosa
tradizione a cui giustamente richiami tu, noi italiani abbiamo spostato l’asse
semantico, come credo gli spagnoli, su «racconto». I latini, in generale,
mantengono però tutte e due le espressioni cercando ogni tanto di individuare
una differenza che in fondo non c’è. Interessante invece notare come gli
inglesi abbiano chiarissima la definizione di short story, e quindi di short
story writer, usando invece l’espressione novellas per i racconti
lunghi, da Piccola Biblioteca Adelphi per capirci. I cambiamenti linguistici
sono un dato di fatto contro cui sarebbe donchisciottesco combattere. Quindi ci
teniamo il termine «racconto» e abbracciamo la «novella» come racconto più
lungo. In fondo il «raccontare», nella sua generalità, sembra alludere al
nocciolo dell’azione di scrivere e narrare, riportando la forma letteraria
breve al senso più originario della letteratura.
LB: Sul fronte traduzioni, come pensate di
bilanciarvi tra eventuali riproposte di traduzioni del passato e nuove
traduzioni?
R: Nel caso in cui un libro sia stato già
tradotto, non perseguiamo un modello prestabilito. Ci limitiamo a rileggere
l’originale per valutare la traduzione. Sin qui non ci è mai capitato di dover
dire: «è necessario cambiare la traduzione». Con Chiara Vatteroni abbiamo
rivisto e migliorato Lezioni di nuoto di Rohinton Mistry, così come è
capitato con Luigi Ballerini con Stamattina stasera troppo presto, in
cui c’era anche una questione linguistica che ci stava a cuore: la traduzione
fedele dei molti modi in cui Baldwin e i suoi personaggi chiamano i neri
americani. I grandi traduttori sono ben lieti di rileggersi e migliorarsi, non
è stato così difficile. Nel caso ci siano delle proposte di ritraduzione, del
resto, siamo ben lieti di ascoltarle e magari di accoglierle. In quel caso è
giusto dare credito a chi si spende per la pubblicazione di un libro. L’idea
comunque è di spendere del tempo per rileggere a fondo il testo, anche nel
remoto caso che non ci sia nulla di migliorabile. Ma c’è sempre qualcosa, è una
questione di semplice cura editoriale.
LB: Quale ambito della filiera editoriale, a
vostro avviso, necessita di maggiore portato di innovazione: la ricerca dei
testi, la produzione, la distribuzione o la promozione?
R: Una domanda complessa a cui dobbiamo per
forza di cose premettere, prima di rispondere, un moto di umiltà: siamo nuovi
del settore e non è il caso di catechizzare troppo la filiera. Addetti molto
più esperti di noi hanno strumenti più adatti per farlo. Fatta questa premessa
credo che il dato più eclatante sia la diminuzione del numero dei lettori e dei
lettori forti. Una vera piaga epocale, perché in controtendenza con la pur
lenta ascesa dal dopoguerra in avanti. Oggi il mercato è gestito dai grandi
gruppi editoriali, da Messaggerie e dalle catene. A loro pertanto è dato il
compito di rispondere di questo dato sinistro. L’impressione è che la gestione
monopolistica nei più decisivi passaggi della filiera alla lunga sia
controproducente. Prendersela con chi detiene i monopoli però non ha molto
senso, fanno il loro gioco com’è ovvio che sia. Bisognerebbe imprimere una
direzione a livello politico, attraverso leggi che valorizzino la bibliodiversità
e il lavoro di chi sostiene la curiosità innanzitutto, a prescindere
dall’interesse immediato. È una questione di prospettiva: un libro così così
oggi può vendere anche di più di un bel libro; un libro bello invece, che oggi
forse vende di meno, domani è sicuro che venderà di più e che farà da sprone
all’acquisto di altri libri.
LB: Per la casa editrice avete scelto un nome
che ha il vantaggio di posizionarvi immediatamente nel panorama ma che forse
non vi consentirà di aumentare agilmente la lunghezza qualora – poniamo tra cinque anni – vi venga
voglia di pubblicare romanzi. Ci avete pensato a quest'eventualità e non
vi disturba affatto?
R: Quando ci arrenderemo a pubblicare romanzi
vorrà dire che il progetto editoriale avrà perso. Speriamo con tutto il cuore
di non pubblicare romanzi. Non perché non ci piacciano, ma perché abbiamo a
cuore il nostro progetto editoriale e la fiducia richiesta ai lettori che
questo stesso progetto comporta. Ci chiamiamo Racconti e continueremo a
pubblicare racconti. Sulle novellas al massimo – una forma che ci piace
assai – siamo apertissimi.
Eudora Welty (1909 - 2001) |
R: Alcune di queste sono già note perché ne
abbiamo parlato in altre sedi. C’è stato un piccolo ritardo ma pubblicheremo
sicuramente Eudora Welty con Una coltre di verde. Una raccolta che era
uscita anni fa per Editori Riuniti ma in una versione alquanto sfigurata. Di
fatto sarà un vero e proprio inedito, con racconti mai visti e letti in Italia,
tra i quali l’importantissimo Why I Live at the P.O. Le traduzioni sono
magnifiche: Vincenzo Mantovani e Isabella Zani, due pesi massimi assoluti con
cui siamo onorati di aver potuto lavorare. Nella prossima primavera sarà anche
il turno di Mia Alvar, tradotta dalla mitica Gioia Guerzoni. Un libro di
un’intensità incredibile, In The Country, che ha fatto innamorare già
molti (biecamente basterebbe vedere i premi che ha vinto la raccolta). Si apre
una stagione al femminile che proseguirà con nomi pazzeschi. Non voglio
anticipare proprio tutto. Stiamo lavorando a ritmi serrati per definire il
prossimo anno, che dovrebbe vedere il nostro primo libro di narrativa italiana,
a cui teniamo particolarmente.
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