L'editrice Sigismundus propone il nuovo lavoro poetico di Fabio Orecchini intitolato Per Os (pp. 72, euro 14, con una nota di Tommaso Ottonieri). Si tratta di un progetto che, come i precedenti, racchiude nell'oggetto del libro una delle parti di un tragitto creativo che coinvolge anche altro, sulla scia di un percorso che l'autore compie da più anni attraversando poesia, poesia visiva, installazioni, performance, video. Qualche tempo fa, qui, avevamo parlato di Dismissione, il suo penultimo libro uscito per l'editore Luca Sossella. La situazione del recente Per Os va contemplata simultaneamente al sito installativo "TerraeMotus" che potete trovare a questo link, un'opera che è già stata presentata in diverse varianti site specific per alcuni importanti festival italiani. Per gentile concessione dell'autore riporto la sua nota posta in coda al volume e un video realizzato da Jacopo Mario Gandolfi.
Dal testo
all’installazione, il “TerraeMotus”
di Fabio Orecchini
Immaginare l’atto poetico come il risultato di una partitura
spaziale, un paesaggio di segni, il luogo come fosse un testo, una relazione di
forze, la voce come corpo, un corpo attraversato che attraversa, la parola una
ferita infetta, che rimargina e riapre_dal bianco e continuamente_ tracciare
infinite cicatrici.
Per Os, per bocca e per la bocca, somministrate siano le
parole, le poche che restano.
Quest’opera intende proseguire il lavoro di scavo
linguistico iniziato con Dismissione (Luca Sossella, 2014) nella direzione,
questa volta ascensionale_ qui si scava per uscire_ di una ricerca ipertestuale,
sonora ed installativa che muova dall’impossibilità filosofica del dire, del dire
il vero: intrappolate nella crepe di un muro una sequenza di bocche per voci
mancanti, urla vecchie di giorni.
Come per Dismissione, in cui venivano analizzate
linguisticamente e politicamente, con uno studio di oltre due anni, le
dinamiche di incorporazione, di mutezza incarnata, dovute alle malattie
asbesto-relate nel contesto di crisi dell’operaismo e dell’industria, anche
questo nuovo lavoro si fonda su un lungo studio, protrattosi per oltre un anno,
dello scenario post-sismico de L’Aquila, allegoria della crisi antropologica e
politica del contemporaneo. Analisi che si è avvalsa di personali ricerche sul
campo, della lettura di numerosi documenti ed articoli di giornale, ma
soprattutto dell’ascolto di una interlocutrice particolare, Isabella Tomassi,
poeta, studiosa e terremotata.
Proprio da queste narrazioni è emersa la necessità_Ananke_di
riconnettere queste nevrosi, queste ossessioni fenomenologiche, penso alla
funzione “rammemorante” di Bateson, attraverso un processo di ricontaminazione,
riscrittura e ripensamento continuo_le parole sono la miseria della memoria
(G.Mesa)_che proceda per fallimenti e riproposizioni, piccoli sommovimenti per
la ricomposizione, la ritessitura, perlomeno, di un segmento di storia e di immaginario.
Ma in che modo, attraverso quali forme, oltre quella
testuale, matrice-motrice di ogni mio lavoro, far emergere, per estrazione e
scavo, oltre-visioni, materiali “di scarto” del perturbante? Solo un’arte
d’incarcerazione, per dirla con Beckett, povera e simbolica, avrebbe potuto
approcciare una simile operazione. Così nasce l’installazione TerraeMotus,
opera intermediale e performativa in fieri, che continuamente si riaggrega in
forme differenti, nutrendosi delle relazioni intercorse sia con i differenti
spazi in cui si è insediata_dalle case di terra di Borgo Ficana al Museo d’arte
contemporanea Ex G.I.L di Campobasso, dalle stalle abbandonate di Aliano in
Basilicata alle stanze sospese del Rialto Sant’Ambrogio di Roma_ sia con tutte le
persone che l’hanno attraversata ed esperita. Uno spazio installatativo
immaginato come luogo di rimemorazione che sedimenta_si dimentica_ oltrepasso
ripetuto di oscillazioni e scarti semantici, faglie di suono, alla continua
ricerca di uno sguardo tattile e riverberato: un universo ctonio popolato da
corpi disabitati, muti come radiografie di bocche, fossili del dire,
cartografie inesatte di un abbandono annunciato_mentre una macchina sciamanica
trascrive incessantemente la traccia del remoto, della terra il moto_non c’è
che questo andarsene da dire: allegoria dell’odierno luogo “comune”, il nostro
tempo, che non da scampo, e come un forcipe attrae_sottrae vita, verità e vita.
Da queste esperienze nasce il sito installativo, http://www.terraemotus.site,
dove spero di esser riuscito a ricostruire, per quanto possibile, tutte le
“stanze” dell’installazione, per una fruizione individuale (preferibile in
cuffia) dal proprio pc o tablet, stando comodamente seduti alla propria
scrivania, ma pur sempre in bilico, in valico, tra due mondi.
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