ANA LUÍSA AMARAL, da Voci
NOCTURNAL, DESATRAINDO O SOM
Em cima desta mesa, a luz acesa
Dá‑me a medida exacta desta noite:
Fria chuva de Junho, a gata que me
espia
Ali do corredor, e me vigia um sono
Que não vem.
Espera‑me, de olhos que são
Como gumes de espada, e um pêlo
Acetinado e muito doce,
Espera‑me, como amante.
São quentes os meus pés,
Quando chegar a hora e ela vier
Deitar‑se ao fim da cama.
É quente o cobertor,
Que esta noite de Junho, em chuva e
fria,
Na noite convocou.
Vou apagar a luz. Sair da mesa.
Ela aguarda. E eu vou –
NOTTURNO, SOTTRAENDO IL SUONO
Sopra questo tavolo, la luce accesa
Dammi la misura esatta di questa
notte:
Fredda pioggia di giugno, la gatta
che mi spia
Ali del corridoio, e mi veglia un
sonno
Che non viene.
Mi aspetta, con gli occhi che sono
Come fili di spada, e un pelo
Satinato e molto dolce,
Aspetta, come un amante.
Sono caldi i miei piedi,
Quando arriva il momento e lei viene
A sdraiarsi in fondo al letto.
È calda la coperta,
Che questa notte di giugno, piovosa
e fredda,
Nella notte ha convocato.
Vado a spegnere la luce, lasciare il
tavolo.
Lei guarda. E io vado –
NEM DIÁLOGO, OU QUASE
Um tempo pouco apetecido – ou muito
apetecido,
igual a esta nuvem, a este rio que
vai e vem, mas não
fica nunca. «Escreve», disse.
Imagino‑te, minha mão,
numa sala cheia de sol,
as cortinas transparentes ao lado,
uma mesa ampla.
Dizes‑me: «escreve».
Desejar uma onda,
uma avalanche de paixão entre os
dedos,
o tempo: este papel pequeno.
Escuto, mas há coisas com gume de
espada
e não consigo obedecer como gostava.
Estão impressas na memória,
as palavras,
mas era aqui que um verso do avesso,
sons transparentes,
haver bolhas de sons
Como uma sala a sol,
os grãos de luz
na mesa muito ampla
não formam um padrão que se organize.
«Escreve»,
continua a minha mão.
Mas o céu repete‑se tão claro,
o rio é como roda que não pára,
bicicleta com aros de metal
fundente.
E o frio sente‑se aqui.
«Não sei», respondo‑lhe.
«Comprei agora este caderno, a sua
capa é verde,
não conheço esta mesa, nem o seu
mármore,
não há família entre mesa, caderno,
esta nova caneta,
onde se esconde a mesa que conheço?,
o verde carregado?,
«não sei», insisto.
«Só te conheço a ti, ó minha mão.
E até hoje me pareces longínqua.
Onde está essa onda?
Onde a avalanche de que eu
precisava?»
Toca‑te devagar a outra mão.
Conhecem‑se
a calor.
Mas, eu?
Entre verde e caderno, tudo novo,
o azul quase gume,
as espadas de gume circular,
o tempo em vidro,
é tão fácil perder‑te.
«Talvez virando aí à tua esquerda»,
digo‑te,
«descendo‑me do ombro.
Talvez aí eu te consiga ver ao
longe,
acenar‑te sem sons.»
«É por aqui», repito.
Mas tu não vês a luz
que passou a vermelho e de repente.
E moves‑te entre carros, sons de carros,
de vozes.
E só agora, e afinal, reparo
que a minha mão nunca saiu daqui,
ficou entre cadeiras, sossegada.
Não está dispersa,
não era sua a voz,
por isso essa avalanche lhe pareceu
serena.
Chamei‑vos «minha mão»,
mas sois os monstros largos que me
assaltam.
Já não é sol o sol,
é deste tempo o tempo.
E todavia, pesadelos meus,
podemos tomar chá, se desejardes,
vós que não me sois mão,
mas lhes sabeis da forma, a imitais,
vos transformais em dedos,
unhas, sangue.
Vinde,
ressuscitados em carne e gente,
e sentai‑vos aqui.
Olhai: as minhas duas mãos,
as duas:
preparam‑vos o espaço.
Não sei como chamar‑vos, por que nome.
Parcas, moiras, melopeias de brilho.
Não sei como chamar‑vos.
Mas finalmente escrevo.
NESSUN DIALOGO, O QUASI
Un tempo poco desiderato – o molto
desiderato,
uguale a questa nube, a questo fiume
che va e viene, ma non resta mai. «Scrivi», disse.
Ti immagino, mia mano,
in una sala piena di sole,
le tende trasparenti di lato,
un tavolo ampio.
Mi dici: «scrivi».
Desiderare un’onda,
una valanga di passione tra le dita,
il tempo: questo foglio piccolo.
Ascolto, ma ci sono cose come fili
di spada
e non riesco a obbedire come volevo.
Sono impresse nella memoria,
le parole,
qui era più di un verso al
contrario,
suoni trasparenti,
avere bolle di suoni
Come una sala al sole,
i grani della luce
sul tavolo così ampio
non formano un modello che si
organizzi.
«Scrivi»,
continua la mia mano.
Ma il cielo si ripete tanto chiaro,
il fiume è una ruota che non si
ferma,
bicicletta con ghiere di metallo
fuso.
E il freddo si sente qui.
«Non lo so», le rispondo.
«Ho comprato ora questo quaderno, la
copertina è verde,
non conosco questo tavolo, né il suo
marmo,
non c’è famiglia tra tavolo,
quaderno, questa nuova penna,
dove si nasconde il tavolo che
conosco?,
il verde carico?,
«Non lo so», insisto.
«Conosco solo te, o mia mano.
E fino a oggi mi parevi lontana.
Dov’è quell’onda?
Dove la valanga di cui avevo
bisogno?»
Toccati lentamente l’altra mano.
Si conoscono
dal calore.
Ma, io?
Tra verde e quaderno, tutto nuovo,
o azzurro quasi filo,
le spade dal filo circolare,
il tempo in vetro,
è così facile perderti.
«Forse girando lì alla tua
sinistra», ti dico,
«mi discendo dalla spalla.
Forse lì riuscirò a vederti da
lontano,
farti segni senza suoni.»
«È di qua», ripeto.
Ma tu non vedi la luce
che passò al rosso e all’improvviso.
E ti muovi tra auto, suoni di auto,
di voci.
E solo ora, e alla fine, mi accorgo
che la mia mano non è mai uscita da
qui,
è rimasta tra le sedie, tranquilla.
Non è dispersa,
non era sua la voce,
perciò quella valanga le parve
serena.
Vi ho chiamata «mia mano»,
ma siete i mostri grandi che mi
assalgono.
Non è più solo il sole,
e di questo tempo il tempo.
Eppure, incubi miei,
possiamo prendere il tè, se lo
volete,
voi che non mi siete mano,
ma le sapete dalla forma, la
imitate,
vi trasformate in dita,
unghie, sangue.
Venite,
resuscitate in carne e gente,
e sedetevi qui.
Guardate: le mie due mani,
le due:
vi preparano lo spazio.
Non so come chiamarvi, con che nome.
Parche, moire, melopee di splendore.
Non so come chiamarvi.
Ma finalmente scrivo.
Ana Luísa Amaral è nata a Lisbona nel 1956. Si è laureata in
Germanistica alla Facoltà di Lettere dell’Università di Porto, dove attualmente
insegna Letteratura Inglese al Dipartimento di Studi Ango-americani. È dottore
di ricerca in Letteratura Nord-Americana con una tesi su Emily Dickinson. Ha
pubblicato saggi accademici (in Portogallo e all’estero) nell’area di
Letteratura inglese, letteratura anglo-americana, letteratura portoghese e
letterature comparate. Tra il 1991 e il 1993 è stata ricercatrice presso il
Dipartimento di Inglese dell’Università di Brown (E.U.A.). È ricercatrice
associata al Centro Studi Sociologici dell’Università di Coimbra. Ha pubblicato
diverse raccolte di poesia e un libro di racconti per l’infanzia. Ha
partecipato a letture poetiche in vari paesi, tra cui Stati Uniti, Colombia,
Argentina, Francia, Germania, Irlanda e Olanda. Tra le sue opere poetiche
ricordiamo: Minha Senhora de Quê (1990, 1999), A Arte de ser Tigre (2003), Imagias (2001), Entre dois rios e outras noites (2007), A génese do amor (2005), Às vezes o paraíso (1998), Vozes (2011), Escuro (2014).
GUY GOFFETTE, da Un
mantello di fortuna
I
Enfant, je savais comme
partir est doux
pour n’avoir jamais
quitté la barque
des collines, fendu
d’autre horizon
que la pluie quand elle
ferme le matin,
et qu’il me fallait à
tout prix trouver
la bonne lumière pour
poser les mers
à leur place sur la
carte et ne pas
déborder. J’avais dix
ans et
plus de voyages dans mes
poches
que les grands
navigateurs, et si
je consentais à échanger
la Sierra
Leone contre la
Yakoutie, c’est que
vraiment la dentelle de
neige
autour du timbre était
la plus forte.
I
dolce per non aver mai lasciato la barca
delle colline, mai solcato altro orizzonte
che la pioggia quando chiude il mattino,
e che a ogni costo dovevo trovare
la giusta luce per porre i mari
al loro posto sulla carta e non
debordare. Avevo dieci anni e
più viaggi nelle tasche
dei grandi navigatori, e se
acconsentivo a scambiare la Sierra
Leone con la Jacuzia è perché
davvero la dentellatura di neve
attorno al francobollo era il più forte.
Pour Yves Bergeret
Si j’ai vraiment vécu cette vie ou bien
seulement rêvassé dans la lumière
qui baigne ce bureau sous la mer des toits,
si c’est ma lampe seule qui brouillait
les signes en chemin, ou la fatigue encore
d’attendre que la pluie cesse
sa vaine dactytographie sur la vitre,
qui peut le dire et qui me refuser
d’avoir un jour marché sur la mer,
renversé le bleu qui lave les oiseaux
et dilapide l’or du tremble avec le mort
en cachette des voisins ? Qui
sinon cet étranger en moi comme un enfant
courant après son ombre, mais tendues
mais l’âme plus courbée que celle du prodigue
soignant ses porcs dans la maison d’exil.
Per Yves Bergeret
Se ho davvero vissuto questa vita oppure
soltanto fantasticato nella luce
che inonda quest’ufficio sotto il mare dei
tetti,
se è solo la mia lampada a offuscare
i segni in cammino, o la fatica ancora
di attendere che la pioggia smetta
la sua vana dattilografia sul vetro,
chi può dirlo e chi non riconoscermi
d’aver un giorno camminato sul mare,
rovesciato l’azzurro che lava gli uccelli
e dissipato l’oro del tremolo con la morte
in sordina dei vicini? Chi
se non questo straniero in me come un bambino
che insegue la sua ombra, con le mani tese
ma l’anima più curva di quella del prodigo
che si occupa dei porci nella casa
dell’esilio.
Si j’ai reçu promesse un jour d’un autre ciel
que celui qui vous coupe les bras, je
l’ignore.
Comme vous je souffre la tempête et le froid
et la fatigue insomnieuse ; le désert me
traverse,
l’absence des visages, tous ces poings de
pierre
et le martèlement des vivants dans le
labyrinthe.
Oui, comme vous j’ai peur d’atteindre au bout
du couloir, comme un nageur touche le fond,
de connaître que tout ici fut vain, chute,
faux miracle, qui ne portait l’homme au-dessus
de lui-même, là où la ceinture des ombres
se détache du cœur et tombe
avec la nuit parmi les accessoires.
*
Se un giorno ebbi promessa d’altro cielo
da quello che vi taglia le braccia, lo
ignoro.
Come voi patisco la tempesta e il freddo
e la fatica insonne; mi traversa il deserto,
l’assenza di volti, tutti questi pugni in
pietra
e il martellio dei vivi dentro il labirinto.
Sì, come voi temo di raggiungere la fine
del corridoio come il fondo un nuotatore,
di scoprire che tutto qui fu vano, caduta,
falso prodigio, che non portava l’uomo oltre
se stesso, là dove la cintola d’ombre
dal cuore si stacca e discende
con la notte nell’irrilevante.
Guy
Goffette è nato il 28 aprile
1947 a Jamoigne, Lorena belga, in una famiglia di operai. Ha studiato alla
scuola normale libera di Arlon, dove è stato allievo di Vital Lahaye, poeta e
spirito libero che lo ha profondamente influenzato. Nel 1970, a Harnoncourt,
nella punta meridionale del Belgio, ha iniziato una carriera d’insegnante
durata 28 anni. Nel 1971 ha pubblicato le sue prime poesie, raccolte sotto il
titolo Quotidien Rouge. Nel 1980, in collaborazione con altri
poeti, ha fondato la rivista letteraria «Triangle», di cui è stato per sette
anni il principale artefice. Nel 1983 ha creato le edizioni de L’Apprentypographe,
cui si sono associati autori come Umberto Saba e Michel Butor. Nel 1988 gli
sono stati assegnati il Premio della Communauté Française e il Premio Mallarmé
per la raccolta poetica Éloge
une cuisine de province.
Nel maggio 2001 gli è stato assegnato il Grand Prix de la poésie della Académie
Française per l’insieme delle sue opere. Grand prix de Poésie de l’Académie
française (2001), il Prix Félix-Denayer de l’Académie royale de Belgique
(2001), il Prix Goncourt de la Poésie (2010).
Tra le sue opere poetiche ricordiamo: La vie promise (1991); Le pêcheur d’eau, (1995); Verlaine
d’ardoise et de pluie (1996); Elle, par bonheur, et toujours nue (1998); Partance et autres lieux suivi de Nema Problema (2000); Oiseaux, 2001; Un manteau de fortune (2001); Un été autour du cou, 2001; La vie promise précédée
de Éloge pour une cuisine de province (2000); Solo d’ombres, précédé de
Nomadie (2003), L’adieux aux lisières (2007), tutte pubblicate da Gallimard.
JORGE REIS-SA, da
Istituto di antropologia
Senta-te aí
A cadeira está vazia, um corpo ausente não aquece
a madeira que lhe dá forma. E não ouço o recado
que me quiseste dar, nem a tua voz forte que grita
meninos na hora de acordar. Ouço o teu abraço, no
corredor, em Gaia, e os olhos molhados pela inusitada
despedida. O sol foge. Mas o crepúsculo desenha
a sombra que tenho colada aos pés. Ou o espelho,
coberto com a tua face. Pai: a minha sombra és tu.
Siediti lì
La sedia è vuota, un corpo assente non scalda
il legno che le dà forma. E non sento il messaggio
che mi hai chiesto di dare, né la tua voce forte che grida
ragazzi all’ora del risveglio. Sento il tuo abbraccio, nel
corridoio, a Gaia, e gli occhi inumiditi dall’insolito
congedo. Il sole fugge. Ma il crepuscolo disegna
l’ombra che ho incollata ai piedi. O lo specchio,
coperto dal tuo volto. Padre: sei tu la mia ombra.
Embalar o Mar
Para a Mafalda Veiga
E se eu me sentasse na areia, em contemplação?
Como me aconselhou o médico há pouco mais de dez
anos, era eu um corpo juvenil e insensato vendo a vida
de um pai dissolver-se nas paredes assépticas de um
hospital. Ele chamou-me ao lado, à minha insistente
pergunta o que podemos nós fazer, senhor doutor,
o que podemos nós fazer, ele respondeu vá sentar-se
junto ao mar, vá ver o sol cair no horizonte, inspirar
o som das ondas a plenos pulmões. Não houve, depois
deste conselho, dia que passasse em que eu, sentado
na areia em contemplação, não me lembrasse desse
médico apaziguador. Não nesse dia agoirento de
Dezembro, em que a minha ânsia filial lhe esconjurou
as palavras: depois, quando a morte chegou inevitável
e tudo o que podíamos fazer era viver. Vou embalar
o mar nos gestos e nas palavras do meu pai, sentado
na memória da nossa viagem à Nazaré e imaginar ser
possível voar se saltasse inexcedível do penhasco que
guarda a cidade do vento norte.
Cullare il mare
Per Mafalda Veiga
E se mi sedessi sulla sabbia, in contemplazione?
Come mi consigliò il medico poco più di dieci anni
fa, ero un corpo giovane e stolto che vedeva la vita
di un padre dissolversi tra le pareti asettiche di un
ospedale. Mi chiamò al suo fianco, la mia insistente
domanda cosa possiamo fare, signor dottore,
cosa possiamo fare, lui rispose va a sedere vicino
al mare, a vedere il sole calare all’orizzonte, a inspirare
il suono delle onde a pieni polmoni. Non ci fu, a seguito
di quel consiglio, un giorno trascorso senza che io, seduto
sulla spiaggia in contemplazione, non ricordassi questo
medico pacificatore. Non in quel giorno maledetto di
dicembre, in cui la mia angoscia filiale gli scongiurò
le parole: dopo, quando inevitabile giunse la morte
e non potevamo far altro che vivere. Vado a cullare
il mare nei gesti e nelle parole di mio padre, seduto
nella memoria del nostro viaggio a Nazareth e immaginare
sia possibile volare con un salto insuperabile dalla rupe che
protegge la città dal vento del nord.
David Bowie
[Heroes]
Não é do pai que falo – do amigo. Das conversas
que ficaram por cumprir porque a morte se interpôs
e as não permitiu. Do Lancia Delta que eu achava nos
idos anos noventa o carro mais lindo do mundo e que
ele, sapiente, retorquiu numa viagem luminosa
é demasiado semelhante a uma carrinha. O meu pai
não gostava de carrinhas. Mas não é dele que falo –
do amigo. Aquele que à entrada da salinha me via
vibrar com o David Bowie a cantar I, I wish you could
swim, like dolphins, like dolphins can swim vestido
de verde-alface. O David Bowie é o único homem
no mundo a quem um fato verde-alface fica bem.
O meu pai o único que consegue Ficar para sempre
à entrada da salinha.
David Bowie
[Heroes]
Non è del padre che parlo – dell’amico. Delle conversazioni
che restarono da compiersi perché la morte s’interpose
e non le permise. Della Lancia Delta che ritenevo negli
anni Novanta l’auto più bella del mondo e che
lui, saggio, ribatté in un viaggio luminoso
è troppo simile a una station wagon. A mio padre
non piacevano le station wagon. Ma non è di lui che parlo –
dell’amico. Quello che all’ingresso della stanzetta mi vedeva
vibrare con David Bowie cantando I, I wish you could
swim, like dolphins, like dolphins can swim vestito
in verde lattuga. David Bowie è l’unico uomo
al mondo cui un abito verde lattuga stia bene.
Mio padre l’unico che riesca a restare per sempre
all’ingresso della stanzetta.
Jorge Reis-Sá è nato a Vila Nova de Famalicão, una piccola città nel Nord del
Portogallo, nel 1977. Ha studiato Astronomia e Biologia. È poeta, scrittore,
critico e consulente editoriale. Ha fondato la Quasi Edições, che ha diretto
dal 1999 al 2009 ed è stato direttore editoriale di Babel dal 2010 al 2013. Ha
curato numerose antologie, tra cui ricordiamo Poemas portugueses, la più completa antologia di poesia pubblicata in Portogallo. La
sua opera poetica è racchiusa nel volume Instituto de Antropologia (2013). Ha inoltre pubblicato i romanzi Todos os dias e O Dom, e i libri di racconti, Por ser preciso e Terra. È assiduo
collaboratore di vari giornali e riviste portoghesi, come “Público”, “LER” e
“Sábado”, tra gli altri. I suoi due romanzi sono stati pubblicati in Brasile
dalla Record e suoi testi e libri sono stati tradotti in italiano, spagnolo,
inglese e lituano. Ha appena terminato il suo terzo romanzo. Vive a Lisbona con
la moglie e il figlio.
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