Il complesso di un imperatore triestino
di Chiara Catapano
Sul
Piccolo di Trieste, il 26 aprile 2006
comparve un articolo, esteso innamorato, che voleva veicolare al mondo una
notizia importante. La veicolò, credo, solo ai triestini e a quei pochi che
ancora si ricordavano in Italia di Carolus L. Cergoly: le edizioni de Il Ramo d’Oro ripubblicavano i versi di Ponterosso.
Per
chi non è mai stato a Trieste va spiegato che Ponterosso, assieme alla
piazzetta omonima, è stato luogo di mercato sorto in quella parte di città – il
Borgo Teresiano – che Maria Teresa volle rendere moderno punto d’incontro tra
le culture dell’Impero. E l’Imperatrice sapeva sempre cosa fare, in senso di
modernità e di scambi commerciali.
A
metà del ‘700 dunque, con mirabile opera ingegneristica, le saline furono interrate
e nacque quel tuffo del mare dentro la città che è il Canal Grande - non a caso
realizzato da un veneziano. E Pontebianco, Ponteverde e Ponterosso a far la
spola quasi tra due frontiere.
Ma
Cergoly forse forse sono in pochi a conoscerlo e ancor meno quelli che l’han
letto perché parla dentro tutte le lingue (quel “misiòt”, quella mescolanza)
che tanto ricca ha reso la mia città fino ai primi del Novecento, senza gualcirne
neppure una: e Cergoly indossa quest’abito però con tanta personalità che ne
vien fuori qualcosa di alieno. Un’altra lingua, ancora una come se non
bastassero tutte le altre, perché ci si impazziva insomma a Trieste; ci voleva
un riassunto sintattico, un concentrato semantico…
E
ancora, a volte, per le strade di Trieste, quando dai portoni cittadini esconoentrano accenti greci, sopraccigli
cirillici transitanti sotto la Portizza che sbuca poi nel ghetto, ti senti
sopra una nave di carne ed ossa e di accenti aspirate fricative. Hai bisogno di
chiamarla con un solo nome, e non lo trovi. Cergoly il nome unico per tutte le cose con tutti i nomi per una sol cosa
l’aveva trovato. Ha inventato una lingua inimitabile, ha condensato i
vocabolari. Li ha riversati riverberandoli qui, nella mia città, questa nave
fantasma oggi tutta echi.
È
pura mitologia, decadente quanto volete ma mitologia, la mia città: se un
Cergoly giovane giornalista potrà raccontare di quel tal magro profeta,
infagottato negli abiti, che sentenziò così, per strada, la sua divinazione: “Te diventerà diretor del Times”: era –
quel Tiresia celtico - James Joyce, e l’immagine di questo incontro l’ho
proprio amata, perché son cose che possono succedere, credetemi, solo nella
mitologia mitteleuropea di questa vecchia città sul mare, stupida e cattiva
(per dirla con Carolus).
Era,
Carolus L. Cergoly di quei triestini capaci di render tutto leggero – non la
leggerezza del male, senza pensieri, bensì quella gaia contrapposta
all’inevitabile moto involutivo del capoluogo “troppo” di confine. “Sono solo fesserie”, era l’intercalare
suo, mentre leggeva in pubblico i suoi versi.
Ma
a queste scaglie di luce, a queste “fesserie” (a me che ho nuotato
controcorrente una vita per stare a galla dentro la città che m’ha partorita e
svezzata) noi triestini dobbiamo proprio tanto: a volte mi pare che la città si
sia salvata perché Cergoly l’ha chiamata definitivamente per nome.
E
se pure la sua lingua ai più risulterà ostica, val la pena lo sforzo, val più
della babelica torre: c’è la poesia, qui, che canta la diversità di ognuno
dentro il calderone infinito dell’universale che chiamiamo vita.
Da
Ponterosso (Poesie mitteleuropee in
lessico triestino)
Introitus
Radice
ungaro slava
Punta
de spada
La
ga sepolta
Fonda
In
humus austriaco
Albero
ben cressù
Curado
a la tedesca
Dritto
ramà
Tra
l’aria fresca
De
bosco e de marina
Foie
che canta
Al
vento
Strambotti
a l’italiana
Malinconie
tormento
Rotto
De
quando in quando
Da
un rider senza scopo
Questo
son mi
Del
novecento e otto
*
Trieste
Un
ponte pitturà de rosso
Il
Ponterosso
Come
due gambe storte
Traverso
del canal
Dessiné
d’après nature
Cassas
e Lavallé
Vietato
il riprodurre
Un
sbatociar
De
barche e de battane
“Ema”
“Sgombro” “Rodolfo”
E
fora del Canal
In
mezzo al golfo
Un
vapor in ancora per sempre
“Stadium”
el suo nome
Con
tanti oblò
Doppiadi
sora el mar
Tutto
e tutti
Passa
el Ponterosso
Revoltella[1] in carrozza con gli
Asburgo
Turbanti
levantini
Odori
de halvà e pesce fritto
E
greci e turchi
E
dalmati e croati
E
svevi de la Bieska
Ebrei
de Weimar
A
zavattar per metter banchi
E
passa una slovena
De
Kumnik
No
la trova el suo amor
Fabbro
de fin
Ferro
battù de Kropa
Perso
el se ga nel vardar onde
Carri
e cavai
De
Pinzgau
Coi
zoccoli a tamburo
E
lupolo per Dreher
E
jazzo per sorbetti
Che
cala de Postojna
Pianelle
furlanute
Cadorini
e Ciarnei
Regnicoli
e Ungheresi
Ponterosso
Del
mondo gran corona
E
mi son tutto fiamma
De
vento son vestì
Dormo
Coi
nuvoli fumando
E
ciacolo con l’Angelo
Come
inciodà de sora dei camini
Con
l’elmo dei gendarmi
Color
giallo d’argilla
Barba
spartida
Come
l’Imperator
E
vedo ancora
Angeli
e lune
Come
nei quadri
Di
monsieur Chagall
Un
ponte pitturà de ross
Il
Ponterosso
Su
l’Adriatico estremo
Sotto
el crinal del Carso
Con
l’ultima Sirena
Che
me smaga
La
bella Lau
E
digo
Strenzi
el tutto
E
slarga el Ponterosso
Ombelico
del mondo
O
mia Trieste
Stupida
e cattiva
Lingua ostica... Questa lingua, questa raffinatissima eppure semplice lingua, stile, modo di vedere la vita, ci salva la vita! Grazie di questa lettura, che a me ha evocato i miei cento viaggi a Trieste in passato, mi ha ricordato cos-è l'autenticità. Grazie ancora
RispondiEliminaGrazie a lei di questo suo passaggio
EliminaE' importante ricordare il messaggio di Cergoly, le sue lingue e la sua poetica così vitale e viva per conservare ciò che Trieste ha autenticamente rappresentato. E poter continuare a farlo, se lo vuole.
RispondiEliminaMolte grazie del suo commento. Cortesemente chiedo la prossima volta di firmare eventuali commenti. Grazie ancora e un saluto, Alberto
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