7x7 è
una rubrica articolata in regolari uscite metrico-stilistiche nell'arco di
sette venerdì e dedicate ad un libro. Come non piangenti è il libro di
poesia di Cristina Alziati, pubblicato da Marcos y Marcos nel 2011 nella
collana Gli Alianti, per il quale è stata scelta l'immagine emblema del
Vergesslicher Engel di Paul Klee. Le analisi sono tratte da un più ampio studio
di Alessandra Conte, dedicato a Cnp nel 2014.
Sono rimasta in un piccolo
vento impigliata, fra un nespolo
un ciliegio un fico. La bellezza
degli alberi è impressionante,
te lo dico ora così.
Tornerò a sciogliermi, più tardi
dentro il tempo archimedico, del mondo
presso la rosa, che non è la rosa
che è diventare una rosa.
Nello
spazio della poesia pensante di Cristina Alziati ci sono pagine e versi anche
per la sola bellezza. Il testo che inaugura la sezione Breviario propone la cartolina di un’estasi percettiva, un attimo
immobile in cui tutto è fermo ed eterno e rivela bellezza impressionante, che l’autrice contempla tra gli alberi. Si tratta
della stessa bellezza “che può e deve”, secondo l’Alziati, “tornare anche nel
movimento delle cose e nel mondo”[1].
Il testo, compatto in nove versi di media misura compresi tra l’ottonario – in
maggioranza – e l’endecasillabo, racchiude molto del panorama e
dell’immaginario letterario di formazione dell’autrice, a cominciare dalla
figura dell’albero. In tre periodi giustapposti asindeticamente, si condensa
inoltre il tempo – nella forma di passato, presente e futuro – tema trasversale
nel libro e cruciale per il messaggio complessivo affidato all’opera, che qui
trova però sospensione. Si tratta del tempo di un momento, esperito come tempo
magico e non storico, dimensione incantata che apre la sezione dedicata allo
stupore dell’Alziati di essere “proprio qui e proprio noi, ma anche collegati
ai secoli, che tutti ci stanno attorno”[2].
Al passato prossimo l’autrice propone se stessa come novus-novello angelo,
forse l’Angelo Smemorato della sezione attigua precedente – che riesce a
scordare “ciò che ha il potere di annientarci” – e che rimane impigliata, con figura di trasformazione
allegorica, non in una tempesta, ma in un
piccolo vento che la trattiene fra i rami. Ciò è l’indizio di una
metamorfosi. Una buona quota del messaggio del libro è affidata alle figure
della natura la quale, con gli esseri umani, condivide il destino di caducità
dettato dallo scorrere cronologico.
Oltre
a ciò è inevitabile, dato il contesto e le grida della storia che in altri
luoghi del libro emergono, chiedersi come trovi ragione un passo similmente
impostato, e quale ne sia il valore, al di là dell’apparente puro e semplice
piacere della meditazione idilliaca.
Nonostante
Brecht, molto amato dall’autrice, in A
coloro che verranno, scriva che in tempi bui sia «quasi un delitto» «discorrere d’alberi» «perché su troppe
stragi comporta il silenzio», egli stesso – in anni di esilio e fuga dal
nazismo – nei versi di quel periodo, densi di senso della catastrofe, non
esaurisce in essa lo spettro di ciò di cui vuol lasciare traccia. Anche
l’Alziati scrive della bellezza, “quella che deve poter essere costruita nei
rapporti e di quella che esiste, anche quando si parla di violenza esercitata
dall’uomo sull’uomo”[3].
Come Brecht, uno degli autori di riferimento, Alziati compie il
delitto-miracolo e accoglie tra i versi la gratuità della bellezza,
specialmente della natura, e introduce nella poesia una sequenza arborea non
interrotta da virgole: un nespolo / un
ciliegio un fico, tre alberi, a sommarsi, che l’hanno trattenuta. Il verbo
del primo periodo è, non casualmente, al passato (prossimo). Se pensassimo
all’Angelus Novus di Benjamin, che la sezione precedente evoca tra le
reminiscenze, ricorderemmo che esso è volto al passato e una tempesta impedisce
il dispiegarsi delle sue ali. Lì, però, è soprattutto l’Angelo Smemorato di
Klee.
In
questo passo si tratta, oltre che di immagine, anche di ritmo. I primi due
versi ottonari – tra i quali riesce a collocarsi una rima imperfetta sulle
parole sdrucciole piccolo : nespolo,
e un’assonanza interna tra i participi passati rimAsTA : impigliATA – attaccano cantilenanti con ritmo dattilico
uguale: tre dattili in successione per ciascun verso. Il cambiamento ritmico del
terzo verso, leggermente più lungo (decasillabo), con lo slittamento d’accenti
e con la conclusione della serie con il punto fermo, frangono la regolarità
dattilica iniziale, rallentano la sequenza, e pongono risalto sulla bellezza, parola isolata a fine verso.
Sono
rimAsTA in un piccOLO
vento
impigliATA, fra un nespOLO
un
ciliegio un fico. La bellezza
Il
secondo periodo, al tempo presente, è il cuore dell’estasi contemplativa,
segnalata da un certo balbettamento allitterativo di sillabe che lega tra loro
i versi 4-5 e le parole che li compongono; come se la pienezza del momento
fosse difficile da comunicare all’interlocutore-lettore con semplici parole
umane. Avviene così che acquisti rilievo
la parola che esprime stupore, impressionante,
la più lunga all’interno della frase e dei due versi, tanto più che è seguita
dal breve respiro della virgola e dal v. 5, che sembra il più corto – caratterizzato
da parole brevi e grammaticali monosillabiche – e che termina tronco con pausa
forte del punto fermo.
[…]
La bellezza
degli
alberi è impressionanTE,
TE
lo diCO ora COsì.
Un
ulteriore segno del legame tra i primi quattro versi proviene dalle inarcature,
che suggeriscono una lievissima soppressione della pausa alla fine dei versi in
piccolo / vento, nell’enumerazione, tra un
nespolo / un ciliegio, e in La bellezza
/ degli alberi.
Il
terzo periodo, il cui inizio al vs 6, e parte del 7, coincidono con un tessuto
fonico di ritorni leggermente più fitto,
ToRneRò a scioglieRmi, più TaRdi
ToRneRò a scioglieRmi, più TaRdi
denTRo
il Tempo aRchimedico
utilizza
la forma del tempo futuro semplice per comunicare che non ora, nel momento di
meraviglia, ma più in là, l’autrice stessa ritornerà a farsi corpo, invece, con
il mondo, del mondo, ridiventerà non
identificabile, entità confusa nel tempo umano, assumendone in sé i destini.
Un’altra metamorfosi, dunque, fortuita e quasi casuale come il rimanere impigliati in qualcosa. Avviene la
fusione del corpo della poetessa con gli elementi della natura e del paesaggio.
E come nel corso della trattazione, il tempo è parola tematica e multiforme,
non semplice accessorio. Due endecasillabi (i versi 7-8) concentrano dense
riflessioni filosofiche e memorie letterarie. La rosa, proposta in poliptoto e
come rima identica, rappresenta il topos per eccellenza di bellezza e amore a
cui si aggiunge il tempo, come divenire indeterminato rispetto alle identità
individuali. Qui le figure della ripetizione fanno rimbalzare il senso tra
allusione, citazione ed eco di Brecht, Goethe, Celan e – per altri versi – Stein,
solo per citarne alcuni. Brecht che, all’evidenza inattesa di una rosa, non sa
come dirne («Come schedarla, la piccola rosa»), così come Goethe per il quale
«sempre impossibile appare la rosa»[4], o
La Rosa di Nessuno di Celan.
L’ultimo
verso, ottonario, si ricollega a quanto già detto, ossia alla “bellezza che si
manifesta anche nel movimento delle cose del mondo, le quali debbono poter
essere trasformate in essa”[5];
con la quale, facendosene carico, si può forse salvare il mondo, come potrebbe
suggerire implicitamente l’autrice nella poesia Viandanti (p. 65):
Vedi,
ti domandavo, che questa vista
a
me pare che tremi, chè fragile
la
tengo fra le mani, e piango; dimmi
volge
a noi forse, bellezza, una preghiera?
Il
finale diventare una rosa riconduce
alle riflessioni generali e di portata più gnomica sul tempo, al divenire
indeterminato rispetto all’identità individuale, che appartiene alla sfera del
mutamento come esigenza che le figure della bellezza siano in connessione con
il dovere della trasformazione e del cambiamento, oltre la dimensione della
visione meravigliosa. Volendo infine annotare ulteriori considerazioni, si
accolga una suggestione. Il breve quadro naturale descritto coinvolge il senso
della vista in un fermo immagine, dove l’udito trova ricezione, eventualmente,
nel fruscio della brezza, quasi un gracchiare di vecchio nastro audiovisivo
nell’immobilità: bellezza antica che è qui da sempre e per sempre, rumore
bianco come risposta affascinante all’epigrafe – posta immediatamente prima della
poesia ad inizio sezione – e che contiene la coralità di tutte le voci evocate
nel libro.
[1] Incontro
Testo, “Incontrotesto – Incontro con Cristina Alziati”, cit., p. 12.
[2] Ibidem.
[3] “Chiodo
fisso”, Rai Radio 3, intervista a Cristina Alziati, marzo 2012
http://www.radio3.rai.it/dl/radio3/programmi/puntata/ContentItem-919321d7-2d99-4db9-9373-abe3d1da5612.html
[4] Ibidem.
[5] MONICA
D’ONOFRIO, “Radio 3 Suite”, intervista a Cristina Alziati.
http://www.radio3.rai.it/dl/radio3/programmi/puntata/ContentItem-1d911a45-44d2-4fe3-a4dc-d36edf3ce755.html
Per visualizzare tutte le sette puntate di
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