Ricorre quest'anno il centenario della morte di Giovanni Boine, nato nel 1887 a Finale Marina e morto di tisi nel 1917 a Porto Maurizio. Come ricordano i curatori della pubblicazione di cui diamo notizia oggi, Boine costituisce una figura anomala nel panorama del movimento della "Voce". Di lui rimane un’importante produzione artistica rappresentata, fra gli altri, dagli scritti teorici e polemici (La ferita non chiusa, 1911; Discorsi militari, 1914) e soprattutto dalle note critiche sulla letteratura contemporanea (Plausi e botte e Frantumi pubblicati postumi nel 1918). Fresca di stampa è questa riedizione dei Discorsi militari ospitata nella collana "Passati presenti" e pubblicata dalla Fondazione Museo Storico del Trentino per la cura di Andrea Aveto e con scritti di Chiara Catapano e Claudio Di Scalzo (pp. 264, euro 15, scheda del volume a questo indirizzo). Per gentile concessione dei curatori è di seguito riportata l'introduzione al volume di Andrea Aveto.
INTRODUZIONE
di
Andrea Aveto
Sembra incredibile, ma quel marziale catechismo buono
per la pedagogia del soldato s’era rivelato il «migliore successo» commerciale
della Libreria della Voce. Parola dell’editore, Giuseppe Prezzolini, che ancora
a sessant’anni di distanza non era in grado di darsi una «spiegazione
razionale» dell’imprevedibile exploit
di «un autore quasi sconosciuto, Giovanni Boine, che giaceva a letto con la
febbre degli ammalati di petto e non aveva di che pagare il conto del
farmacista e non aveva prestato servizio militare, ma insegnava come si debba
difender la patria e il perché della disciplina»[1]. Se ne sarebbero vendute (stessa fonte) «trentamila
copie»: un’enormità. Altrove lo stesso Prezzolini aveva parlato più
genericamente (più plausibilmente?) di «migliaia» di esemplari, stampati grazie
alle «organizzazioni
patriottiche di quel tempo» che diffusero il volumetto «nelle caserme e nei
campi dove si preparavano i soldati della guerra del 1915-1918»[2]. A conti fatti, però, la sostanza non mutava: il suo
rapidissimo smercio era stato quantomeno inusuale per una casa editrice la cui
collana di punta, i «Quaderni della Voce», viaggiava di regola su tirature
intorno alle millecinquecento unità, che il mercato impiegava anni ad
assorbire.
Era uscito il 20 ottobre 1914. «La Voce» lo aveva annunciato sette
giorni prima in una réclame che si
preoccupava di sottolinearne la «grande attualità». Tanto attuale, si è tentati
di dire, che per evitare di farlo ‘invecchiare’ anzitempo la data che recava
impressa sulla copertina color giallo paglierino, sul frontespizio e nel copyright era quella, secca, dell’anno
seguente: 1915. Che il titolo, perfettamente in sintonia col clima bellico,
avesse qualche chances di trovare i
suoi lettori, Prezzolini lo aveva messo in conto, va da sé; ma era lontano
dall’immaginare di essersi trovato per le mani un potenziale bestseller: «a me personalmente non
piace», aveva confidato il 25 settembre a Giovanni Papini, al quale si
accingeva a passare le consegne in vista di un periodo di assenza da Firenze,
«però potrebbe incontrare»[3]. Aveva incontrato, eccome:
la prima edizione si esauriva in primavera, spingendo la Libreria della Voce a
licenziarne immediatamente una seconda, con buona pace dell’autore e della sua
sacrosanta pretesa di rivedere le bozze: intorno al 20 maggio andavano in
macchina altre cinquemila copie, che si differenziavano dalle duemila iniziali
per il prezzo più popolare (cinquanta centesimi contro una lira), per
l’indicazione della tiratura posta in bella evidenza («10.° Migliaio»), per le
note di proprietà letteraria e per la pubblicità editoriale che occupava
l’ultima pagina di testo (originariamente bianca) e la quarta di copertina. In
quelle ore l’Italia stava scivolando inesorabilmente verso il conflitto; due
settimane dopo l’inizio delle ostilità un’altra réclame, apparsa sulla nuova, effimera serie politica della «Voce»
rivelava dietro una facciata di bonario patriottismo le ragioni imprenditoriali
di tanta urgenza: «Questa edizione permetterà di regalarne a soldati e a
ufficiali. Non lasciate partire per la guerra gli amici vostri senza spedirle
loro una copia della nuova edizione».
Se in autunno Prezzolini aveva
investito tiepidissime attese nella stampa del libro, Boine l’aveva accolta con
sostanziale indifferenza: «Non aggiungerò nulla anche perché questa roba non mi
interessa più», scriveva con freddezza all’editore, che sollecitava
rassicurazioni sul rispetto delle scadenze strettissime che si era imposto per
l’uscita[4]. È vero che a suo tempo
l’aveva caldeggiata lui, la stampa, mettendo in mezzo il conte Alessandro
Casati per trovare al manoscritto una sede editoriale degna; ma ormai mesi
prima, in un contesto di polemiche politiche e giornalistiche che le
revolverate esplose da Gavrilo Princip a Sarajevo avevano prontamente relegato
in soffitta. L’input originario alla
pubblicazione, proposta senza fortuna allo Studio Editoriale Lombardo e ai
Fratelli Treves, risaliva alla tumultuosa vigilia della Settimana Rossa, ai
giorni nei quali si preparavano in tutta Italia comizi e assemblee in
concomitanza con le parate e le riviste militari organizzate per le celebrazioni
della Festa dello Statuto. A essere messa in discussione, allora, era
l’istituzione stessa dell’esercito: si protestava contro i fondi destinati alla
Difesa, tornati da qualche tempo all’ordine del giorno dei lavori parlamentari
a meno di un anno e mezzo dalla fine della dispendiosa campagna tripolina; si
contestava il rigore dei regolamenti, spesso odiosi e vessatori; si reclamava
la liberazione di due delle più note «vittime del militarismo», Augusto Masetti
e Antonio Moroni, il primo internato in un manicomio criminale per aver sparato
all’indirizzo di un ufficiale che arringava il suo drappello in attesa
dell’imbarco per la Libia, il secondo inviato in compagnia di disciplina per
non aver fatto mistero del suo radicalismo politico in presenza di un superiore.
Anarchici, socialisti, repubblicani (come Gian Pietro Lucini, che moriva a
luglio lasciando in bozze il suo Antimilitarismo,
un potenziale instant book anche se
‘cucito’ con pagine apparse di volta in volta nel corso del decennio
precedente...[5]) davano forma a un rumoroso
dissenso in cui si oggettivava la frantumazione del corpo sociale della nazione.
La lotta di classe, che dopo gli scontri e i morti contati ad Ancona il 7
giugno sarebbe sembrata sul punto di innescare la miccia rivoluzionaria,
attentava all’unità stessa del paese in nome dell’individualismo e del
materialismo cavalcati dalle forze politiche dell’Estrema.
Facile capire perché l’opera
che Casati provava a ‘piazzare’ rivelasse qualche titolo per suonare davvero
«d’attualità»[6]: declinato nelle forme
dirette e affabili dell’oratoria tradizionalmente offerta ai soldati nelle
caserme, quella mistica dell’obbedienza condita degli umori reazionari di un
estimatore di Joseph de Maistre e Joseph Arthur de Gobineau esortava i
cittadini-soldati a far sacrificio della propria coscienza individuale in nome
di un’abnegazione strenua alla causa della patria e del suo re: a riconoscere
nella volontaria obbedienza alle leggi e alle regole l’unica affermazione di
libertà personale capace di preservare l’ordine. Sullo sfondo stavano,
naturalmente, il ruolo e la funzione che, sin dalle battute iniziali, il libro
assegnava all’esercito nella vita della nazione. Un tema classico, questo,
mutuato com’era dall’Alfred de Vigny di Servitude et
grandeur militaires (Paris,
Bonnaire-Magen, 1835), la lettura più gratificante, tra regolamenti
disciplinari, norme per l’impiego tattico delle unità di guerra, saggi
divulgativi e non, che per scrupolo di informazione tecnica lo scrittore s’era
procurato di fare; ma, al contempo, un tema tornato improvvisamente ‘caldo’ nel
dibattito politico e giornalistico di quei mesi: lo aveva fatto proprio la
stampa, concedendo
ampio rilievo alla discussione intorno alla preparazione delle forze armate[7]; lo avrebbe ripreso poco dopo la Libreria della Voce presentando la collana
«Biblioteca militare» che proprio col volume di Boine si inaugurava[8]; lo avrebbero rilanciato
più tardi gli alti comandi e i periodici specializzati, gli uni nel rallegrarsi
con autore e casa editrice per quanto intrapreso[9], gli altri nel segnalare
l’uscita dell’opera contribuendo in misura decisiva a farla conoscere...
Non sarà il caso di
soffermarsi su quello che i nove discorsi, stesi «con entusiastica
partecipazione» tra il marzo e l’aprile 1914, rappresentarono per Boine dopo lo
scoppio della guerra europea, sul disagio sempre più acuto che, privatamente,
lo induceva a prenderne le distanze (ma le tre paginette di premessa non
suonavano già come una parziale presa di distanza?), non impedendogli però di
spendersi pubblicamente per diffonderli, nella consapevolezza del loro
intrinseco valore e, perché no?, in funzione del proprio personale tornaconto.
Lo ha fatto – e tanto basti – Mario Isnenghi alla svolta decisiva degli anni
Settanta, quando la pubblicazione dei carteggi ha consentito di ripensarne il
senso e la collocazione nella cosiddetta ‘letteratura dell’intervento’[10]. Varrà la pena di
soffermarsi, semmai, sulla loro genesi: una questione un poco trascurata,
almeno sino ad ora, ma letteralmente decisiva per mettere a fuoco le ragioni
che spinsero lo scrittore a cimentarsi con un tema all’apparenza tanto estraneo
all’orizzonte dei suoi interessi, per giunta in un registro – è stato notato –
di secca e disciplinata chiarezza, distante anni luce dalla prosa
espressionistica, tutta scatti e invenzioni, propria delle pagine più sue[11].
La prefazione (che sull’autografo reca la data
«Portomaurizio, 30 aprile ’14»: la stessa, per inciso, che sigilla, a stampa,
la breve premessa al «quaderno» Il
peccato ed altre cose, licenziato nel maggio successivo) assegnava all’opera l’ufficio di nobile e ideale succedaneo degli
obblighi di leva, ai quali la malattia aveva impedito all’autore di adempiere.
Era la stessa motivazione ‘alta’ affidata dieci giorni prima a Casati: «Io non
ho potuto fare il soldato sebbene sinceramente anche nascondendo lo stato della
mia salute lo abbia tentato. Considero questo lavoro come quel tanto di tassa
che è giusto pagare alla nazione che ci ha fatti» (C III, 834). Quando ne aveva fatto cenno per la prima volta
scrivendo ancora a Casati e a Emilio Cecchi l’11 e il 28 marzo 1914, tuttavia,
Boine aveva parlato espressamente di un lavoro su commissione: «ho accettato di scrivere una
serie di discorsi ai soldati sull’onore
sulla disciplina etc.» (C III, 820-821); «mi sono ingolfato in
certi discorsi militari che mi son
stati commissionati e che debbo finire ora»[12]. Per conto di chi li stava
scrivendo? I carteggi non lo dicono. Non per incarico di un editore, però, se è
vero che appena giunto in fondo si era trovato a interrogare l’amico milanese
in merito alla loro possibile destinazione: «Il mio libro sulla vita militare è finito ed ha anche
servito allo scopo privato a cui doveva servire. Ora sono autorizzato a
pubblicarlo. Vi fisso i concetti che ti ho espressi. Con calore e logica. A che
editore potrei offrirlo?». (C III,
833). Era il 16 aprile e, a leggerle con attenzione, le parole usate da Boine
nella circostanza rivelano che la stampa era un approdo solo secondario – e in
partenza a dire il vero del tutto virtuale – della faticosa, ma non del tutto
ingrata corvée che si era procurato.
Altra era la finalità che il manoscritto doveva assolvere, e che effettivamente
assolse prima di ritornare – in ogni senso – nella piena disponibilità di chi
lo aveva redatto, come si desume da un’altra lettera di poco successiva a
Casati («Riavrò prima della fine del mese il manoscritto dei miei “Discorsi militari”. [...] Appena li
riavrò te li mando», C III, 834): si
rimane sul terreno delle ipotesi non disponendo al momento di altri riscontri,
ma non pare del tutto inverosimile che potesse servire come compendio, traccia
o ipotesto utile a chi aveva dato l’incarico di stenderlo (un ufficiale?) in vista di un ciclo di conferenze o di un corso in
una scuola militare. Un po’ come era capitato alle lezioni che il
ventiquattrenne Luigi Russo aveva tenuto (e stampato la prima volta) per gli allievi
del secondo corso della Scuola militare di Caserta e riproposto poco dopo in
un’edizione non strettamente ‘scolastica’ con il titolo Vita e morale militare (Milano, Treves, 1917): un altro campione
della pedagogia della guerra che a quello di Boine, non a caso, è stato di
recente accostato[13].
Anche di questo aspetto
occorrerà tenere conto accingendosi a rileggere il libro a cento anni dalla sua
pubblicazione.
[1] Giuseppe Prezzolini, «La Voce» 1908-1913. Cronaca, antologia e
fortuna di una rivista, con la collaborazione di Emilio Gentile e di Vanni
Scheiwiller, Milano, Rusconi, 1974, p. 228.
[2] Giuseppe Prezzolini, Il tempo della «Voce», Milano-Firenze,
Longanesi-Vallecchi 1960, p. 129.
[3] Giovanni Papini-Giuseppe
Prezzolini, Carteggio, II, 1908-1915. Dalla nascita della «Voce» alla
fine di «Lacerba», a cura di Sandro Gentili e Gloria Manghetti,
Roma-Lugano, Edizioni di Storia e Letteratura-Biblioteca Cantonale
Lugano-Archivio Prezzolini, 2008, p. 490.
[4] La lettera, priva di data ma
compresa tra il 3 e il 6 ottobre 1914, è edita in Giovanni Boine, Carteggio, I, Giovanni Boine-Giuseppe
Prezzolini (1908-1915), a cura di Margherita Marchione e S. Eugene Scalia,
prefazione di Giuseppe Prezzolini, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura,
1971, p. 124.
[5] Il libro rimase inedito sino al
2006, quando ha visto la luce negli «Oscar Mondadori» a cura di Simone Nicotra
e con una postfazione di Luigi Ballerini.
[6] «Certo questi Discorsi
bisognerebbe stamparli presto: sono d’attualità
fra l’altro»: così nella lettera a Casati del 7 giugno 1914 (Giovanni Boine, Carteggio, III, Giovanni Boine-Amici
del «Rinnovamento», a cura di Margherita Marchione e S. Eugene Scalia,
prefazione di Giancarlo Vigorelli, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1977
[d’ora innanzi C III], t. II, p.
843).
[7] Si vedano, solo a titolo di
esempio, gli articoli Le condizioni
attuali dell’esercito e Le condizioni
della cavalleria (occhiello: Problemi
dell’esercito), usciti in prima pagina sul «Corriere della Sera» del 27
marzo e del 5 maggio 1914.
[8] «Con questa raccolta, iniziata
con il presente volume, che da altri sarà seguito, ci proponiamo di
collaborare, per quanto sia in noi, ad una più intima unione fra la Nazione e
l’Esercito»: così si legge nella breve presentazione della collana stampata
sulla quarta di copertina dei Discorsi
militari.
[9] Una dozzina di lettere di
ringraziamento, indirizzate a Boine o a lui recapitate per il tramite della
Libreria della Voce, sono oggi conservate presso la Biblioteca Civica «Leonardo
Lagorio» di Imperia; brevi stralci vennero riprodotti a scopo pubblicitario in
un’inserzione apparsa sull’Almanacco
della Voce 1915 (Firenze, Libreria della Voce, 1915, p. 46) e sulla quarta
di copertina della seconda edizione dei Discorsi
militari.
[10] Mario Isnenghi, Superstizione volontaria: tra Discorsi pubblici
e Carteggi privati, in Giovanni Boine. Atti del convegno
nazionale di studi (Imperia, 25-27 novembre 1977), a cura di Franco Contorbia,
Imperia-Genova, Comune di Imperia-il melangolo, 1981, pp. 159-177. La letteratura dell’intervento è il
titolo del capitolo I del saggio Il mito
della grande guerra da Marinetti a Malaparte che Isnenghi ha pubblicato nel
1970 da Laterza e ristampato a partire dal 1989 presso il Mulino con il titolo Il mito della grande guerra e una nuova Postfazione.
[11] Massimiliana Mignone, Il
linguaggio dei Discorsi militari,
in Giovanni Boine, cit., pp. 331-339.
[12] Giovanni Boine, Carteggio, II, Giovanni Boine-Emilio
Cecchi (1911-1917), a cura di Margherita Marchione e S. Eugene Scalia,
prefazione di Carlo Martini, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1972, p.
93.
[13] È stata Monica Mola ad avvicinare
per prima i Discorsi militari a Vita e morale militare nel saggio Boine: i Discorsi in parentesi («Filologia e critica», XIX, 3, settembre-dicembre
1994, pp. 427-446, in particolare pp. 429-430). Le due opere sono state ora
riedite integralmente, l’una di seguito all’altra, nella sezione II (Pedagogia della guerra) de Il racconto italiano della Grande Guerra.
Narrazioni, corrispondenze, prose morali (1914-1921), a cura di Emma Giammattei
e Gianluca Genovese, Milano-Napoli, Ricciardi, 2015.
**
I curatori del volume
Andrea Aveto insegna Letteratura italiana contemporanea presso l’Università degli Studi di Genova. Si è occupato dell’autore del Peccato nel saggio Un capitolo della biografia di Giovanni Boine (Novi Ligure, Città del silenzio, 2012) e ne ha successivamente curato il Carteggio (1915-1917) intrattenuto con Adelaide Coari (Novi Ligure, Città del silenzio,2014).
Chiara Catapano dirige la rivista on-line "L’Olandese volante" (www.olandesevolante.com) assieme a Claudio Di Scalzo. Poetessa, suoi articoli sono apparsi su riviste di settore in Italia e all’estero. Si occupa da alcuni anni dello scrittore portorino con particolare attenzione verso il ricco epistolario. A Giovanni Boine è dedicata la sua raccolta poetica (La graziosa vita, Thauma, 2013).
Claudio Di Scalzo si laurea all’Università di Pisa con una tesi sull’Interventismo e il Neutralismo nel 1914-1915 in Toscana. Diventa esponente della poesia visiva. Pubblica nel 1997 il romanzo epistolare Vecchiano, un paese. Lettere a Antonio Tabucchi per i tipi della Feltrinelli. Cura mostre con catalogo per Henri Michaux, Jacques Villeglé, Giorgio De Chirico, Medardo Rosso, Arturo Martini. Collabora con la Galleria Peccolo di Livorno. Cura gli scritti letterari e politici del poeta interventista Giovanni Bertacchi. Dal duemila in Rete ha ideato siti e blog. Dirige, con Chiara Catapano, la rivista online "L’Olandese Volante Transmoderno" (www.olandesevolante.com).
I curatori del volume
Andrea Aveto insegna Letteratura italiana contemporanea presso l’Università degli Studi di Genova. Si è occupato dell’autore del Peccato nel saggio Un capitolo della biografia di Giovanni Boine (Novi Ligure, Città del silenzio, 2012) e ne ha successivamente curato il Carteggio (1915-1917) intrattenuto con Adelaide Coari (Novi Ligure, Città del silenzio,2014).
Chiara Catapano dirige la rivista on-line "L’Olandese volante" (www.olandesevolante.com) assieme a Claudio Di Scalzo. Poetessa, suoi articoli sono apparsi su riviste di settore in Italia e all’estero. Si occupa da alcuni anni dello scrittore portorino con particolare attenzione verso il ricco epistolario. A Giovanni Boine è dedicata la sua raccolta poetica (La graziosa vita, Thauma, 2013).
Claudio Di Scalzo si laurea all’Università di Pisa con una tesi sull’Interventismo e il Neutralismo nel 1914-1915 in Toscana. Diventa esponente della poesia visiva. Pubblica nel 1997 il romanzo epistolare Vecchiano, un paese. Lettere a Antonio Tabucchi per i tipi della Feltrinelli. Cura mostre con catalogo per Henri Michaux, Jacques Villeglé, Giorgio De Chirico, Medardo Rosso, Arturo Martini. Collabora con la Galleria Peccolo di Livorno. Cura gli scritti letterari e politici del poeta interventista Giovanni Bertacchi. Dal duemila in Rete ha ideato siti e blog. Dirige, con Chiara Catapano, la rivista online "L’Olandese Volante Transmoderno" (www.olandesevolante.com).
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