Librobreve intervista #75
Bartolo Cattafi morì a Milano il 13 marzo 1979. Con l'intervista a Ada De Alessandri Cattafi, moglie del poeta, e a Diego Bertelli, studioso dell'opera cattafiana, vogliamo fare un punto sulle risorse disponibili attorno alla sua opera e capire cosa possiamo aspettare nei prossimi tempi (nella foto: Cattafi ritratto da Walter Mori per "Epoca").
LB: bartolocattafi.it è un interessante esempio di sito dedicato alla vita e all'opera di uno
scrittore. Potete illustrare questo progetto web? Come nasce, come si
arricchisce per arrivare al punto attuale e quali sono i prossimi sviluppi e
integrazioni previste?
DB: Il sito è nato da una necessità ben precisa: quella di rendere fruibile la poesia di Cattafi al maggior
numero di lettori possibile. Il fatto che l’opera del poeta sia andata a poco a
poco scomparendo dalle librerie ha spinto Ada Cattafi a prendere questa
decisione. Era il 2011. Aspettavamo la ristampa da parte della Mondadori dell’Oscar
curato da Giovanni Raboni e Vincenzo Leotta, in cui era contenuta una selezione
delle poesie di Cattafi raccolte e suddivise in ordine cronologico. Quella
mancata uscita è stato un segnale d’allarme e ha reso il progetto impellente.
Ada si è subito rivolta al Web Designer Enrico Brugnatelli e il progetto è partito.
Abbiamo guardato ai siti già esistenti,
specie a quello di Giovanni Raboni; volevamo fare qualcosa di simile, ma poi la
nostra idea si è sviluppata autonomamente e il sito è divenuto un più ampio
contenitore, e anche un luogo di fruizione di materiale ancora non disponibile.
Abbiamo pensato che limitarci alla poesia avrebbe limitato le potenzialità del sito, in cui potevamo caricare materiale grafico e
multimediale, aggiornare gli studiosi e non solo accontentare i lettori, ridare
lo “stato dell’arte” di tutto l’Archivio del poeta, che in quel momento era sto
solo parzialmente risistemato. Nel 2013 il sito è stato presentato
ufficialmente a Firenze presso il Caffè Letterario Le Murate con Raoul Bruni,
Vittorio Biagini e Paolo Maccari. Quel giorno c’erano anche Ada ed Elisabetta
Cattafi e abbiamo contato su un’altra presenza molto importate, quella di
Mladen Machiedo, studioso e traduttore, oltre che amico, del poeta. Da allora
si è parlato molto del sito, che è divenuto un vero e proprio riferimento per
chi si accinge a studiare la poesia di Cattafi e vuole essere aggiornato sull’opera,
sugli interventi critici, sugli articoli e sulle uscite monografiche (ultima,
quella di Silvia Freiles, «La parola illimitata» di
Bartolo Cattafi, Aracne, 2016), e anche sulle traduzioni della sua
poesia. Dopo molto lavoro, siamo arrivati oggi a integrare un’altra sezione per
noi fondamentale, che è quella delle Traduzioni, ma di questo parlerò nello
specifico più avanti. In generale, la volontà adesso è quella di poter arrivare ad avere a disposizione tutte le poesie,
perché libere da qualsiasi forma
contrattuale che ne vincoli i diritti. Abbiamo già tutti i testi in formato elettronico, un lavoro di copiatura che nel caso
di Cattafi è stato enorme. Il progetto, che è stato e sarà ancora molto impegnativo, va in un certo senso di pari passo con la
speranza riportare Cattafi in libreria in formato cartaceo. Più che mai
necessaria è un’edizione completa della sua opera. Ma lascio che sia Ada a
spiegare meglio la questione del “Tutto Cattafi”.
LB: La sezione dedicata alle traduzioni della poesia
di Cattafi in altre lingue (con PDF scaricabili gratuitamente, così come
generosi estratti dalle opere in italiano) mi sembra non abbia uguali, così anche
come l'accurato lavoro di ricostruzione biografica. Potete soffermarvi su
questi due aspetti, parlando della ricezione all'estero di Cattafi da un lato e
del lavoro di ricostruzione biografica dall'altro?
DB: Si tratta di quello che ho chiamato in altra sede il “terzo
tempo” della poesia di Cattafi. La traduzione rappresenta oggi il miglior modo
per comprendere quanto la poesia di un determinato autore riesca a parlarci
ancora, e nel caso di Cattafi la prova c’è. Un lavoro molto importante di
diffusione è stato fatto da Philippe Di Meo in Francia, dove si conta un’attenzione
particolare per alcune figure considerate o divenute marginali in casa nostra.
Un caso che possiamo certamente affiancare a Cattafi è quello di Papini. Ma
basti considerare anche un fatto come questo: l’inaugurazione, nel 2016, da
parte dell'Istituto di cultura italiana di Parigi, del «Viale dei canti». Il progetto, di dimensioni 3m x 50m, è stato realizzato
con la tecnica del graffito e dello spolvero dall'artista Giuseppe
Caccavale e dal suo team di collaboratori. Sul muro dell'Hôtel Galliffet sono
apparsi i versi di Giacomo Leopardi, Alfonso Gatto, Leonardo Sinisgalli,
Lorenzo Calogero e Bartolo Cattafi. Per quel che riguarda la poesia di Cattafi
nello specifico, tra 2010 e 2014 Di Meo ha fatto uscire rispettivamente le
raccolte L’allodola ottobrina e Marzo e le sue idi, precedentemente anticipate in
rivista. Grazie all’eccellenza di queste versioni, Cattafi oggi in Francia è un
poeta letto, diffuso e discusso anche dagli intellettuali italiani che lavorano
lì, come nel caso di Andrea Inglese. Ma la questione non si limita alla
presenza “francese” di Cattafi. Nel 2015, sul blog letterario Samgha, Jesús Díaz
Armas e Valerio Nardoni hanno presentato cinque splendide traduzioni in
spagnolo di Cattafi, mentre l’anno scorso su Isla negra altre traduzioni spagnole
di Cattafi sono uscite a cura di Gabriel Impaglione. In tedesco, dopo che nel
2000 Franziska Meier aveva tradotto Cattafi sulla rivista Akzente, sono
disponibili on line le traduzioni di Raoul Schrott. Alle volte siamo noi stessi
a rimanere sorpresi perché alcuni
di questi traduttori, come Impaglione, ci contattano attraverso il sito e ci
propongono le loro versioni appena uscite senza che noi ne sapessimo nulla. Al
di là dei meriti, tutto questo dà riprova di un fermento importante. Negli Stati Uniti,
Cattafi è stato recentemente compreso in un’antologia della poesia italiana
contemporanea, intitolata The
FSG Book of Twentieth-Century Italian Poetry: An Anthology, curata da un traduttore di fama internazionale come Goeffry Brock. Il
volume, uscito nel 2012 per Farrar, Straus & Giroux, l’importante editore
di New York, è un altro importante tassello che comprova l’attenzione nei
confronti della poesia di Cattafi nel mondo. Va anche detto che Cattafi ha
sempre avuto un posto speciale nella cultura americana e anglosassone, a
partire dalle celebri traduzioni di Ruth Feldman e Brian Swann degli anni
Settanta, a quelle di George Kay, fino alle più recenti versioni di Rina
Ferrarelli (Winter Fragments, 2006). Ma sempre prendendo il 2000 come ideale punto di partenza per
considerare la presenza cattafiana in traduzione, non possiamo non citare le
traduzioni inglesi di Brian Cole (Anthracite,
2000). Last but not least, come si dice, la
diffusione della poesia Cattafiana grazie all’opera di Mladen Machiedo, che
negli anni Settanta e Ottanta ha tradotto Cattafi in croato, diffondendolo nell’allora
territorio jugoslavo. Sempre Machiedo, nel 2012, ha pubblicato un’altra antologia in croato della poesia di Cattafi
intitolata Sutra, riportando così l’attenzione sull’attualità della sua lingua. Possiamo dire che le continue traduzioni che vengono
proposte, parziali o complete che siano, comprovano la questione più cogente
della lingua poetica cattafiana. Come è stato più volte notato ma forse non
ancora del tutto approfondito in ambito critico, la poesia di Cattafi ha avuto
un vantaggio sulla storia: quello di non essere una lingua particolarmente
storicizzata o legata a un momento. Se noi oggi leggiamo con fatica buona parte
della poesia degli anni Sessanta e Settanta, specie in virtù dei legami tra
lingua e ideologia di quel periodo, possiamo senza dubbio affermare che nel
caso di Cattafi l’aver escluso (ma solo in modo apparente) la storia ha in
qualche modo “salvato” i suoi testi.
Un lavoro a olio di Cattafi |
ADA: Poco dopo il nostro matrimonio in Scozia, avvenuto nel mese di giugno
del 1967, lasciammo Milano per passare l’estate in Sicilia ospiti degli zii
Enrico e Viola Barresi nella loro villa in Contrada Mollerino a Castroreale
Terme (oggi Terme Vigliatore). Il soggiorno siciliano si protrasse a lungo
perché decidemmo di restaurare una
vecchia casa colonica vicina a quella degli zii nella quale mio marito, da
bambino, era solito trascorrere con la madre le vacanze scolastiche. Terminati
i lavori all’inizio del ’69, ci trasferimmo nella dimora ristrutturata. In quel
periodo Bartolo, che dal ’63 non aveva più scritto una poesia, dette sfogo alla
sua creatività dipingendo olii su tela,
acquerelli e disegni a china.
Nella sua recente monografia (La «parola
illimitata» di Bartolo Cattafi, Aracne, 2016)
Silvia Freiles sostiene che «se non possiamo sapere con esattezza il motivo
della sospensione del verseggiare, conosciamo però quello dell’inizio del
dipingere che non si configura come un ripiego, ma come un’ennesima emergenza,
una necessità interiore.” La studiosa
individua “in questo ritrovato coraggio di esprimere le forme e i colori, solo
immaginati attraverso i versi, la ragione del salto verso la pittura».
In effetti Bartolo aveva dichiarato in un’intervista rilasciata a Enzo
Fabiani: «Da bambino facevo gli acquerelli; poi
intervenne la coscienza, il pudore e restai bloccato. Per anni covai la
libidine delle forme, dei colori e dei miei sogni, ma sterilmente. Poi nell’autunno
del ’67, per disperazione strizzai i tubetti ad olio, irrorai di acqua ragia l’impasto
e a testa bassa mi misi a lavorare di spatola» (In
Sicilia a caccia di sirene, «Gente», 22 luglio 1972).
Stefano Prandi, in una nota al suo saggio sull’opera di Cattafi, riporta
quanto il poeta scrive a Piero Chiara nel ‘67: «Novità: dipingo. Ma non ne so nulla, dipingo
e basta (…) faccio tutto con le spatole: spalmo il foie gras,la crema pasticciera e i
colori; mi raschio il fango delle scarpe. Oramai sono decine i quadri e lavoro
al buio, fisiologicamente. Se poi devo dirti una mia impressione, l’astratto
che faccio mi sa sempre di figurativo» (Da un intervallo
del buio. L’esperienza poetica di Bartolo
Cattafi, Manni, 2007, pag. 129).
Esauritosi l’estro pittorico, Bartolo fece incorniciare gli olii e,
caricatili sull’auto, li portammo a Milano per un mini vernissage con
cena presso il ristorante “Il girarrosto” di Corso Venezia. Gli invitati erano
Vittorio e Maria Luisa Sereni, Marco e Paola Forti, Giovanni e Bianca Raboni,
Luciano e Mimia Erba, Vanni Scheiwiller e Gillo Dorfles. Prima di congedarli,
offrì a ciascuno un quadro in omaggio.
Le opere grafiche in mio possesso sono state riprodotte e pubblicate in Cattafi artista, a cura di Nino Sottile Zumbo, Edizioni
Fiumara d’Arte, 2006.
LB: Bartolo Cattafi può contare in quello che, con
un'espressione forse non entusiasmante, potremmo definire uno "zoccolo
duro" di lettori. Vi domando però di pensare a chi non ha ancora letto la
sua poesia. Quali sono a vostro avviso i grandi temi su cui declinare la sua
produzione e quali i motivi di interesse proprio in riferimento a questi temi?
DB: Cattafi, come sempre succede nel caso della vera
poesia, gira attorno a un unico grande tema che è quello della vita e lo
declina di volta in volta secondo i termini di una vera a propria fissazione.
Si tratta di una poesia che va tanto in alto quanto in basso, che tocca
letteralmente «l’osso» e «l’anima». In una intervista televisiva per l’uscita di Marzo
e le sue idi (disponibile sul sito a questo indirizzo), Vittorio Sereni descriveva una tale fissazione nei modi di una «proliferazione infinita che non ha temi diversi dall’una
all’altra poesia ma oggetti diversi e soprattutto punti di vista diversi da cui
guardarli». Credo che la sensibilità di
Sereni colga il punto della questione e risolva il problema dell’identità del lettore presente o futuro. Mi è capitato nel corso di
questi anni, sia in ragione del sito che curo con Ada Cattafi sia per il fatto
che continuo a studiare e a intervenire sulla poesia di Cattafi, di vedere una
sola, identica reazione entusiastica. Chiunque entri in contatto con quella
poesia ne rimane quasi incantato, imbambolato, per la sua “forza di direzione”,
ossia la capacità di andare, dardeggiante,
sempre al punto. La qualità visionaria
e allucinatoria della poesia di Cattafi, di cui sempre parlava Sereni (« poesia visionaria nella quale rientra un certo gusto
neogreco»), ti rapisce e proietta sulla superficie sottile delle cose, quella
che sta tra terra e aria. C’è qualcosa di universale e anche di archetipico in
Cattafi. Per cui, a mio parere, il solo consiglio che si può dare al nuovo
lettore è quello di lasciarsi trasportare dalla forza insita in quei versi, e
di “non” andarci piano.
LB:
Come molti altri scrittori, Cattafi si cimentò col giornalismo e le prose di
viaggio o reportage. Chi tra voi vuole illuminare questo aspetto? (Ricordo che
uno dei pochi libri in commercio di Cattafi attualmente è Le isole
lontane.)
ADA: Tra le carte del Fondo Cattafi sono presenti alcuni scritti in prosa
sfuggiti alla severa censura dell’autore (cfr. Diego Bertelli, Qualcosa di altrettanto preciso: l’esperienza del diario nella
poesia di Bartolo Cattafi, in Viaggio al
termine della scrittura [di prossima uscita per Le lettere,
Firenze]). Si tratta di brevi racconti dattiloscritti senza datazione,
selezionati e pubblicati da Paolo Maccari in appendice alla sua monografia (Spalle al muro. La poesia di Bartolo Cattafi. Con un’appendice
di testi inediti, Società Editrice
Fiorentina, 2003), che risalirebbero dall’immediato dopoguerra fino al
soggiorno di Cattafi a Parigi nel 1954 con Luciano Erba e Deri Cappellin,
dedicatari di Una stanza in Rue de Seine, la
poesia che chiude la plaquette Partenza da Greenwich edita
nel 1955.
Nel volumetto Le isole lontane. Scritti di Bartolo
Cattafi, GBM, Messina 2008, Nino Sottile Zumbo ha raccolto le prose
di viaggio Sbarcare a Londra, Ordinata campagna inglese
e Viaggio in Inghilterra,apparse sul quotidiano «L’Ora» di
Palermo negli anni 1952-’53, Le isole lontane
(Salina, Filicudi, Alicudi, Lipari, Ustica, Favignana,
Marettimo, Pantelleria, Lampedusa, Linosa), rivista «Pirelli» n°.3, 1955 e La montagna
leggera, reportage sull’estrazione della pietra pomice a Lipari,
rivista «Pirelli» n°. 6, 1956, A Castroreale, uscita sul n°. 60, 1960 della
rivista «Quattroruote», Santa
Lucia e Rometta, che
risulterebbero non datate né edite,
Lo Stretto di Messina e le Eolie, apparso
come introduzione all’omonimo libro fotografico dell’Automobile Club d’Italia
nel 1961.
Paolo Maccari, introducendo Le isole lontane,
sottolinea «la stretta relazione tra la scrittura giornalistica di Cattafi e la
sua poesia, fin quasi alla sovrapposizione», la tendenza a «un’indagine di
specie sociologica, con grande interesse per le attività e gli strumenti umani (…), con quel linguaggio da “design industriale”
individuato da Luigi Baldacci a proposito de L’osso, l’anima»
e conclude che «Cattafi non diventerà mai
l’inviato che, a un certo punto avrebbe voluto diventare, e questi scritti lo
dimostrano, avrebbe potuto essere. Il progetto vitalistico non per questo viene
abbandonato: Cattafi sarà infatti
un grande viaggiatore, in senso proprio e figurato».
Cattafi in un disegno di Luca Crippa |
ADA: Ho atteso inutilmente che la
Mondadori pubblicasse tutte le poesie di mio marito in un super Oscar; ne avevo
parlato con l’allora direttore della collana, Antonio Riccardi. Sembrava cosa
fatta. Invece l’editore storico di Cattafi ha lasciato scadere i diritti.
Questo fatto mi è molto dispiaciuto. Ora sto aspettando la risposta di un altro
editore e mi auguro che il progetto vada finalmente in porto, perché sempre più spesso registro lo stupore e il rammarico dei
suoi estimatori per l’irreperibilità dei
testi cattafiani.
Mi sono interrogata sui motivi di queste resistenze, ma è sempre molto
difficile riuscire a dare una risposta che giustifichi determinati giudizi
storici su un autore. A me pare che la sua poesia, da lui definita cruento atto esistenziale, si configuri come un
accorato ma implacabile esame di coscienza, personale ed epocale, che
meriterebbe di essere ancora proposto nel contesto culturale contemporaneo.
Vorrei concludere citando un’intervista di Diego Sergio Anzà sulla «funzione della poesia oggi, in un’epoca così materializzata,
tecnicizzata e meccanizzata». Cattafi risponde: «Non abdicare alle forze dello
spirito, possedere un’ovvia carica di denuncia, di protesta, essere infine un
fattore umanizzante contro quelle forze che tentano di imprigionarci e di
avvilirci sempre più» (La mia sicilianità è biologico-culturale,
«Gazzetta del Sud», 30 gennaio 1973).
LB: Per concludere, vorrei tornare ai testi e
chiederei a ciascuno di voi di scegliere una poesia di congedo. Grazie.
Ada: A sostegno della mia ipotesi sui motivi dell’insufficiente
ricezione dell’opera cattafiana scelgo come poesia di congedo un componimento
di Marzo e le sue idi:
Luce
Come
avanza la luce
a
onde
a
segmenti
a
spezzoni
fluttuazioni
a
shrapnel
a
trance rotolanti
a
gorghi alla van gogh
a
trucioli che si srotolano
a
sberle in faccia
a
ditate negli occhi
colpi
bassi
tutto
colpito
ci
vuole stomaco
fegato per la luce.
Diego: La poesia che ho scelto si intitola Niente. Si tratta di uno di quei testi che riescono
a scaricare la tensione esistenziale che ogni poesia dovrebbe accumulare come
una carica elettrostatica. Il testo è inedito e risale al periodo de L’osso, l’anima. Paolo Maccari lo scelse tra una
serie di poesie escluse dalla raccolta del 1964 e lo mise in appendice alla sua
bella monografia Spalle al muro. La poesia di Bartolo
Cattafi, Firenze, SEF, 2003.
Niente
È questo che porti arrotolato
con cura, piegato
in quattro, alla rinfusa
sgualcito spiegazzato
ficcato ovunque
negli angoli più oscuri.
Niente da dichiarare
niente
devi dire niente.
Il doganiere non ti capirebbe.
La memoria è sempre un contrabbando.
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