LB: Parto dal nome scelto per la collana. "Le meteore" è un nome che rinvia alla breve parabola vissuta dagli autori che pubblicherete o intende avere altri rinvii e significati "programmatici"?
DB: In qualche modo la vita di un poeta è paragonabile a quella di una meteora. Ma ciò che c'interessa non è tanto la durata della sua parabola quanto l'intensità. Come meteore, le parole della poesia entrando all’interno dell’atmosfera umana s’incendiano per un tempo breve, destinato a dilatarsi fino all’impossibile nel desiderio di ogni uomo. La poesia si spinge e ci spinge oltre quei muri della paura che continuiamo a innalzare nella ricerca dell’altro dove è possibile ancora l’incontro, la verità di una stretta di mano. Il nome della collana nasce da questo sentire comune: raccogliere meteore, raccogliere voci, esistenze, intensità, assenze.
Dario Villa |
AR: I poeti italiani che abbiamo in programma di pubblicare sono figure sparite dall'orizzonte dell'esistenza e delle pubblicazioni. Dario Villa, più che mai meteora nell'orizzonte italiano: morto a meno di cinquant'anni, ha iscritto la sua poesia fuori dal presente, nella visione, e non ha mai smesso di parlarci. Altrettanto breve e solitaria è la parabola di Rodolfo Quadrelli che si potrebbe leggere all'opposto come un corpo a corpo con il suo tempo; ma proprio dalla sua posizione di "antimodernista scontroso" Quadrelli trae un linguaggio-ponte tra la tradizione e il futuro. Michele Ranchetti per finire, il terzo poeta italiano che abbiamo per ora in programma di pubblicare è, per Domenico come per me un amico e un maestro: un traduttore che sicuramente avrebbe creduto in un progetto come il nostro. Saremmo davvero onorati di poter dare nuova vita alla sua poesia pietrosa.
Helga M. Novak |
AR: Soprattutto. La collana nasce come spazio per la poesia in traduzione che da anni ci capita di proporre in Italia senza trovare accoglienza, anche quando si tratta di classici come Christine Lavant o Helga Novak straordinaria autrice tedesca dell'est che pubblicheremo a settembre nella traduzione di Paola Quadrelli. Lo spazio delle meteore nel caso della traduzione prevede però non solo dei "classici" come le due poetesse citate, ma anche poeti viventi canonizzati nel loro paese e da noi sconosciuti com'è il caso di Claude Royet-Journaut e di Jaques Roubaud. L'inizio della collana è improntato alle "nostre" lingue straniere: il francese per Domenico, il tedesco per me, ma l'idea è quella che ogni pubblicazione sia poi il frutto di un incontro con altre figure-ponte, che ci permettano di scoprire nuovi universi poetici. Ad esempio il poeta Davide Ferrari ci ha proposto il lituano Donaldas Kajokas, anche lui in uscita a settembre.
LB: Come funziona il rapporto con Effigie, la casa editrice che ospita la collana da voi curata? Discutete ampiamente tutto o vi è stata data una grande autonomia di scelta e movimento?
AR: La veste editoriale è stata discussa con Giovanni Giovannetti, con il quale sia Domenico che io abbiamo già lavorato: si è deciso insieme ad esempio, per la copertina, di utilizzare ogni volta un quadro o il dettaglio di un quadro che abbia attinenza con i versi pubblicati. Ma per i contenuti ci è stata data carta bianca, le scelte avvengono in grande autonomia.
Michele Ranchetti |
DB: Tra di noi c'è una profonda stima. Noi ci siamo conosciuti tramite Michele Ranchetti al quale entrambi eravamo legati. Ci siamo riconosciuti attraverso la propria voce, attraverso l'assidua frequentazione di poeti a noi vicini. Ho l'impressione che il nostro incontro si rinnovi ogni qualvolta ci diamo del tu. Ad ogni modo quando Anna mi ha proposto questa collaborazione, non ci ho pensato due volte. Finalmente ciò che avevamo condiviso poteva trovare dimora. E poi gli incontri con altri traduttori, scoprire nuovi autori grazie alle loro proposte. Sognare una biblioteca di voci uniche e sorelle.
LB: Possiamo dare infine un saggio di un paio di poesie dai primi due libri proposti? Grazie e buon lavoro.
Da Poesie di Christine Lavant
(scelte da Thomas Bernhard, traduzione di Anna Ruchat)
(scelte da Thomas Bernhard, traduzione di Anna Ruchat)
Verschriener Tod, für mich bist du so schön!
Schon morgens denk ich dich als Hütte aus,
in die ich einziehn werde schon am Abend,
und daß ein Stern darüber scheinen wird.
Nicht einmal vor dem Umzug hab ich Angst!
Man wird zwar viel vorher verbrennen müssen,
den Leib gewiß mit allen seinen Süchten
und von der Seele das, was sie sich hier
zusammentrug an Mut und Freudigkeit.
Nur meine Liebe, Tod, die bring ich mit!
Für die mußt du, wenn du mein Obdach bist,
den besten Winkel meiner Hütte richten
und, wenn es sein kann, baue auch ein Fenster,
damit der Stern, der gute, den ich meine,
ihr dort zu Diensten geht mit allem Trost,
den ich ihr hier niemals hab’ geben können.
Morte diffamata, per me sei così bella!
Già di mattino ti penso come la mia capanna,
dove la sera mi trasferirò,
e penso che sopra la capanna brillerà una stella.
Nemmeno del trasloco ho paura!
Certo, prima bisognerà bruciare molto
innanzitutto il corpo con tutte le sue brame
e dell’anima ciò che qui si è accumulato
in fatto di coraggio e di allegria.
Solo il mio amore, morte, lo porterò con me!
Per lui, se davvero sei il mio rifugio,
dovrai preparare l’angolo migliore della mia capanna,
e se possibile mettici anche una finestra,
perché la stella, la buona stella di cui parlo,
lo possa colmare di tutta la consolazione,
che qui non gli ho mai potuto dare.
Nur des Schlafes wilder Nebenzweig,
ein Bastard, von Drogen großgezogen,
nimmt sich manchmal meiner Seele an.
Zwei Mißbrauchte dienen dann einander,
trösten das, was noch zu trösten ist,
und verbergen gütig, was sie wissen.
Halbe Träume stellen sie ins Leben,
wächserne und ohne Angesicht,
ohne Anspruch auf Geduld und Pflege,
schmelzend schon beim ersten Hahnenruf.
Aber dennoch sind es kleine Söhne,
notgetaufte, alle dem geweiht,
der dies Paar einander preisgegeben
wie zwei Sklaven oder Straßenköter,
während sich der gute Edelschlaf
nur zu hochgebornen Seelen legt.
Solo un ramo secondario del sonno,
selvaggio e bastardo, allevato dalle droghe,
si prende cura a volte della mia anima.
Due esseri abusati, a servizio l’uno dell’altro,
consolano quel che ancora va consolato
e benevoli nascondono ciò che sanno.
Mettono al mondo sogni dimidiati,
cerei e senza volto,
ignoranti di pazienza e cura,
sciolti già al primo canto del gallo.
E tuttavia sono figli piccoli
battezzati di corsa, tutti consacrati
a colui che li ha sacrificati entrambi
come due schiavi o cani randagi,
mentre il buon nobile sonno
si corica soltanto con anime illustri.
*
Da Le nature indivisibili di Claude Royet-Journoud
(traduzione di Domenico Brancale)
(traduzione di Domenico Brancale)
«Le sue parole non hanno né vocali né elocuzioni…»
non ho potuto troncare
siamo troppo vicini
il corpo di una linea
lo schiudersi degli occhi
lei segue con il suo dito
distrae il suolo
un verbo
quello del cerchio e dell’aria
«fallimenti e altri incidenti»
bisogna uscire
«Sì, quelli!» Permette alla voce di penetrare con forza. Non so cosa lei trattenga. Memoria, indecisione. Quando lei si apre, lui compie il colore. Un alfabeto in disgrazia. Parlare è vedere il tuo corpo. E non c’è più terra intorno alla mano e alla sua storia.
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