Io sono vivo e tu non mi senti di Daniel Arsand (da poco uscito per Codice Edizioni) è il suo ultimo lavoro di traduzione. Ringrazio Sara Prencipe per l'intervista che segue.
LB: Iniziamo con l’inizio: come sono stati i tuoi inizi, i primi contatti e il primo lavoro?
R: Dopo la
specializzazione post-laurea alla Scuola dell’Agenzia TuttoEuropa di Torino ho
contattato la casa editrice francese di un romanzo che avevo studiato
all’università, e quando mi hanno risposto che in Italia era ancora inedito ho
cominciato a mandare prove di traduzione e schede di lettura a case editrici con
un catalogo compatibile con quel libro. Dopo quasi un anno, durante il quale ho
lavorato in uno studio editoriale, mi ha risposto una piccola casa editrice,
che ha accettato la mia proposta e mi ha affidato la traduzione.
LB: Hai mai rifiutato una proposta di traduzione? Se sì perché? E se no,
quali potrebbero essere i motivi principali che ti spingono a un rifiuto?
R: Sì, mi è capitato raramente, ma è successo. Ho rifiutato perché le
tariffe che mi proponevano erano molto basse e il tempo a disposizione
ridicolo.
LB: Ci sono dei traduttori, conosciuti di persona o anche no, ai quali
guardi con particolare ammirazione e gratitudine?
R: Sicuramente penso con affetto e ammirazione a Maurizia Balmelli, che è
stata la mia insegnante alla scuola di specializzazione di Torino. A lei devo
la mia prima prova di traduzione e un po’ di consigli preziosi.
LB: In un seminario, Franca Cavagnoli suggeriva ai giovani traduttori di
considerare i classici che stanno per uscire dai diritti in vista delle future
edizioni elettroniche di opere sempreverdi. Cosa pensi? Si tratta di un
consiglio interessante considerando tutte le traduzioni "che
invecchiano", dall’altro lato è difficile al giorno d’oggi tradurre molto senza
un obbiettivo e un accordo editoriale. Ti è capitato di tradurre opere
abbastanza lunghe senza un contratto o senza uno scopo a breve-medio termine?
R: No, non mi è mai capitato di tradurre un testo lungo senza uno scopo
editoriale o un contratto, e in questo momento non lo farei per ragioni
pratiche, legate proprio alla necessità di fare un lavoro che sia riconosciuto
come tale e che mi permetta di mantenermi.
Del resto è verissimo che le traduzioni invecchiano ed è una necessità concreta poter rileggere i classici e i grandi libri anche a distanza di molti anni in una lingua che non percepiamo come “aliena”. Però la ritraduzione è un lavoro, ed è un lavoro complicato e impegnativo, tra l’altro.
Del resto è verissimo che le traduzioni invecchiano ed è una necessità concreta poter rileggere i classici e i grandi libri anche a distanza di molti anni in una lingua che non percepiamo come “aliena”. Però la ritraduzione è un lavoro, ed è un lavoro complicato e impegnativo, tra l’altro.
Jean Cocteau |
LB: Al di là dei pensieri rivolti alla domanda precedente, c’è un libro che
desideri fortemente tradurre "a prescindere"?
R: Dall’inglese mi piacerebbe tantissimo tradurre Stephen King perché lo
adoro da quando ero ragazza e alcuni suoi libri mi hanno letteralmente
accompagnata per anni. Dal francese vorrei da sempre tradurre Jean Cocteau, di
cui ho letto quasi tutto ai tempi dell’università e che amo moltissimo, tra le
altre cose, per la scrittura pulita ed elegante.
LB: Hai tradotto anche per il teatro. Ci sono delle specificità proprie
della traduzione per il teatro, almeno per quanto concerne la tua esperienza?
R: Quando ho tradotto per il teatro ho sempre letto ad alta voce la mia
traduzione, anche molte volte. Sentire la parola che prendeva forma nella sua
concretezza mi è servito per capire se quello che scrivevo era adatto o no a
essere recitato. Per quanto riguarda i libri di saggistica e narrativa
l’approccio invece è diverso: cerco di farmi un’idea il più possibile precisa
del testo e della voce dell’autore (che in realtà poi scopro solo a mano a mano
che procedo con la traduzione) e mi affido moltissimo alle riletture che faccio
prima di consegnare, quando davvero so com’è fatto il testo e che ritmo ha la
lingua.
LB: Nelle cotraduzioni come ti trovi? Cosa si può fare per farle andare
bene sin da subito, secondo te?
R: Ho sempre avuto la fortuna di tradurre con persone che conosco e a cui
voglio anche molto bene, quindi dal punto di vista umano è stato facile. Questo
non significa che sia sempre scontato trovare subito la stessa direzione o
concordare su tutto. Ma al di là del fatto di conoscersi o meno, credo che per
tradurre bene con qualcun altro sia necessaria l’arte del compromesso e del
dialogo. Accettare che l’eventuale rilettura dell’altro limi le nostre asperità
ed essere consapevoli che possiamo fare altrettanto. Il confronto è la base di
tutto, anche solo perché bisogna avere un’idea assolutamente precisa di come
rendere certi nomi o espressioni e di conseguenza rispettare l’uniformità e la
coerenza della lingua.
LB: E logicamente, in barba a un principio di contemporaneità e
simultaneità con l’attualità editoriale chiudiamo con la fine, ovvero con l’ultima
tua traduzione pubblicata, che se non erro rimane Io sono vivo e tu non
mi senti di Daniel Arsand (Codice Edizioni). Ci saluti dandoci una
microrecensione di questo libro?
R: Quello di Arsand è un libro a cui sono legata perché è delicato e
terribile, pieno di grazia per la scrittura veloce e sofferta. È la storia,
commovente e lacerante, di un ragazzo che torna a casa, a Lipsia, dopo
l’esperienza tragica del campo di concentramento di Buchenwald, dove è stato
rinchiuso perché omosessuale. Lungo quasi tutto il romanzo aleggia un senso di
perdita assoluta, la sensazione schiacciante di un’esistenza senza redenzione
che solo alla fine della storia, e solo in parte, viene riscattata.
(Rinvio al sito di Sara Prencipe qui).
(Rinvio al sito di Sara Prencipe qui).
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