Riviste #9
Non so se si possa dire pacificamente che oggi non corre buon sangue tra letteratura e filosofia, quantomeno tra certa letteratura e certa filosofia. Lo so, bisognerebbe raffinare il livello di analisi di questa impressione, ma mi fermo qui. L'impressione è che questi "mondi" non sappiano più fecondarsi o provocarsi, ma nemmeno sterilizzarsi definitivamente a vicenda e rimangano in ostaggio di una convivenza a volte forzata e musona. Non so se è questo un sintomo o un problema, ma varrebbe la pena provare a fare attorno a queste supposizioni qualche ragionamento in più, magari in sostituzione di tanti rovelli sociologici su cosa va o non va, cosa funziona più o meno e sui tanti "dover essere" della letteratura, prima ancora della filosofia. Si tratta comunque soltanto di un'impressione di uno che osserva e a volte, avventatamente, trascrive l'impressione. E come tale l'impressione va presa. Tuttavia, se non sono l'unico ad averla, cade doppiamente bene questo numero 37 della rivista "Riga" di Marcos y Marcos dedicato a Maurice Blanchot (pp. 320, euro 28, a cura di Giuseppe Zuccarino), figura chiave per riprendere in mano il discorso e il rapporto tra i due campi e pratiche del sapere su menzionate e non solo con riferimento alla zona francese. Dico che questa pubblicazione "cade doppiamente bene" perché l'architettura del volume è aperta e polifonica, come sempre in "Riga", e aiuta ad avvicinare l'opera di Blanchot da più versanti e altezze. Certo, come si ricorda anche nell'"Editoriale" di questo ricco volume che ha davvero una funzione stimolante, prendendo il nostro paese a esempio, si può serenamente riconoscere che su Blanchot è calato uno strano sipario. E parliamo di un sipario che riguarda principalmente la sua attività di critico, perché quella di scrittore è sostanzialmente sconosciuta qui. Il sipario è stato in parte risollevato due anni fa, quando Einaudi, che di Blanchot non ha più riproposto l'opera più celebre, Lo spazio letterario, ha mandato in libreria La conversazione infinita. Scritti sull'«insensato gioco di scrivere».
Da un punto di vista editoriale è quindi difficile e magari è pure presto per capire se qualcosa sta cambiando in Italia, uno dei pochi paesi che di Blanchot non ha tradotto il primo romanzo del 1941, Thomas l'obscur (nelle principali lingue europee si trova e su questo romanzo si legga la lettera di Emmanuel Levinas riportata nel volume di cui si dà notizia, anche come esempio di conversazione letteraria). Più che azzardarci in previsioni e a capire se l'aria attorno a Blanchot sta cambiando possiamo piuttosto, per cominciare, dare qualche informazione sulla struttura di questo volume, che si apre con i testi di René Char, Edmond Jabès, Marco Ercolani, Enzo Campi e Benoît Vincent. La seconda parte della monografia s'avvia proprio con la proposta della traduzione del primo capitolo del già citato Thomas l'oscuro e del primo capitolo de L'altissimo (Le Très-Haut, 1948). Tra altri scritti, completano questo corpo stimolante di prime parziali versioni gli scritti sul surrealismo, su Melville e un cospicuo numero di lettere.
Nella parte centrale del volume si concentrano le amicizie di Blanchot (amicizia è una parola fondamentale del lessico dello scrittore e questo volume è un invito a scoprire perché) e qui possiamo leggere contributi assai brevi o assai più articolati del già citato Levinas, di Pierre Klossowski, George Bataille (che ricorda, per affinità di interessi, il "magistrale studio" di Blanchot su Sade, cioè Lautréamont e Sade uscito in Italia per Dedalo e poi per SE), Jean Starobinski, Roger Laporte, Jacques Derrida, Jean-Luc Nancy, Bernard Stiegler, Christophe Bident e un lungo saggio di Georges Didi-Huberman intitolato Da somiglianza a somiglianza che scandaglia la lunga rincorsa di Blanchot attorno ai poli di "immagine" e "somiglianza", uno scritto che non mancherà di interessare gli estimatori dei libri di Didi-Huberman. La parte di interventi scritti ex novo per la pubblicazione ideata a Marco Belpoliti e Elio Grazioli contiene saggi di Alberto Castoldi, Marco Della Greca, Manlio Iofrida, Bruno Moroncini, Riccardo Panattoni, Igor Pelfreffi, Paolo Vignola e dello stesso curatore Giuseppe Zaccarino. Qui, più che in altre aree della rivista, si affronta la questione politica in Blanchot. Chiude tutto la galleria con le opere di João Louro e Pietro Fortuna, dove curiosamente si gioca e si ritorna sulla scarsezza di foto di Blanchot (un problema che non riguarderà gli scrittori a venire, a quanto pare).
Se nei corridoi del pensiero càpita ancora che si parli di pensatori, correnti e filosofie per "sommi capi" (da leggersi in tutte le valenze dell'espressione) e per aree geografiche, il lascito di Blanchot pare recalcitrante a farsi imbrigliare in quell'area francese che, con alterne vicende, occupa tuttora delle posizioni alte nella hit parade del pensiero. Perché il suo metodo, la sua solitudine e persino l'estensione di amicizia si pongono in una posizione dialogante con più metodi e più incertezze, in una congettura di accoglimento della separazione e della distanza infinita con l'altro, fino a portarci a ripensare l'isolamento del pensiero e della parola. Persino sulla "forma-libro", che ancora tiene banco oggi ed è alla base di tutti i discorsi e i riferimenti letterari che si fanno, troverete in questo volume di "Riga" vivaci rimandi.
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