venerdì 30 giugno 2017

Lo Specchio Mondadori rilancia con discutibili richiami "vintage" alla propria storia

Covertures #15



Come già saprà chi presta qualche attenzione alle nuove uscite di poesia (uno zoccolo "tenero" di lettori?), la collana di poesia "Lo Specchio" di Mondadori è stata recentemente oggetto, dopo un periodo silenzioso, di un rilancio che ha previsto una nuova gabbia grafica, nuova carta, nuova impaginazione dei testi (nuova rispetto alle ultime impaginazioni della collana). I tre titoli che accompagnano questo rilancio sono
 I canti di Mihyar il damasceno di Adonis, Tutte le poesie (1969-2015) di Milo De Angelis e Ipotesi di felicità di Alberto Pellegatta (titolo che mi ha improvvisamente ricordato il Prove di libertà di Stefano Dal Bianco). Questo breve intervento non discute i contenuti dei tre libri, appartenenti ad autori rilevanti per motivi diversi, bensì il modo in cui questo tentativo di rilancio della collana si pone attraverso scelte che investono i paratesti editoriali e l'impaginazione della collana stessa. Se la grafica delle nuove copertine, per quel che mi riguarda e per quel che vale, ha superato positivamente il test della "prima vista" (sopra avete un teaser, un classico wall delle copertine delle prime uscite), quello che mi ha convinto assai meno è l'operazione tutta chiusa tra nostalgia della heritage (aziendale) e richiami vintage che ha accompagnato l'interno, dai paratesti all'impaginazione tipica della serie più fortunata de Lo Specchio (per capirsi: quell'impaginazione secondo cui una poesia di soli dieci versi poteva presentarne quattro nella pagina di destra e finire con gli altri sei versi nella successiva pagina pari di sinistra, con il titolo staccatissimo dal primo verso). Si tratta di un mood, come direbbe qualche arredatore abbronzato o qualche pubblicitario, senza dubbio ricercato. E il testo che accompagna l'apertura dei volumi e l'operazione-rilancio è tutto incentrato sulle passate glorie della collana di poesia mondadoriana e ricorda persino un frammento testuale che su questa collana compariva all'altezza degli anni Quaranta. Ecco un pezzo del nuovo testo di accompagnamento che si trova all'apertura dei volumi:
Negli anni ’40, sull’aletta de “Lo Specchio”, l’Editore scriveva: «Di qui si irradia il canto della nostra lirica, qui giungono le voci nuove della giovane poesia e si affiancano ai grandi nomi già noti in tutto il mondo continuando la gloriosa tradizione italiana attraverso i secoli e i tempi». 
Tutto questo accade come se, in piena epoca di adorazione del vintagealmeno per i frigoriferi, le auto e altri oggetti di design e consumo, anche la poesia potesse passare di lì per provare a tornare X (X sta per un aggettivo a piacere, ma lascio immaginare quali). 

Orsù, bene, Alfonso Berardinelli forse dovrà rivedere i suoi interventi sulle collane di poesia che chiudono. Berardinelli a parte, no, non mi pare così bene. Questo è quanto, per quel che riguarda la prima impressione. Ma io sono di parte, come del resto chiunque legga questo breve scritto e chiunque prenda in mano i libri di questa rinnovata collana poetica. Ripeto, qui si discute solo del modo di porsi attraverso strategie paratestuali e di impaginazione e non dei libri pubblicati; inoltre si vuole mettere in dubbio l'opportunità di rievocare quella storia editoriale e aziendale. Alla fine, l'impressione che ho avuto sfogliando un esemplare della nuova collana in libreria è uno sconsolato acronimo che usava spesso mio fratello allargando le braccia: NCSP (Non Ci Siamo Proprio). E anche questo è detto, per quel che vale. Non penso sia lontano il momento in cui il libro di poesia sarà solamente uno dei tanti oggetti di design. Ma allora, forse, tornerà a vendere?

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