Ad un certo punto del testo, lì dove si commenta la sequenza dell'episodio della testata di Zidane a Materazzi ai mondiali di calcio (si ricorda la testata, perché si è vista, ma qualcosa deve essere uscito dalla bocca del difensore italiano di cui possiamo vedere solo il labiale), Rankine scrive che forse "la forma di segregazione più insidiosa e meno compresa è quella della parola". Lo sport è ovviamente protagonista di un libro del genere, e a tal riguardo si segnala il riuscito capitolo dedicato alla tennista Serena Williams, campionessa e "regina" nera in uno sport bianco, e alle sue vicende coi giudici di gara. La citazione ricordata poco sopra costituisce un passaggio inevitabile, perché è da qui che passa la peculiarità che questo libro, collocabile in una scia che trova nello scrittore James Baldwin un caposaldo, schiettamente espone al proprio pubblico. Nell'intersezione della parola, nel suo "saggio lirico" Claudia Rankine ha saputo costruire un libro che proprio al disagio della parola, al suo potere segregante e pervasivo fa continuamente ritorno, mostrando la martellante e infiltrante presenza del razzismo. Ma questo effetto percussivo, che è della realtà e nella realtà, non è mimeticamente riprodotto nella trama felicemente grezza del testo, nella quale precipitano invece episodi, stralci di situazioni e linguaggio. Certo, il razzismo è dappertutto, non solo nelle parole e nel linguaggio, e molto spesso si dà anche incistato nel sistema delle leggi o quantomeno in quello dell'amministrazione della giustizia e dell'ordine. Ma in un passaggio altrettanto importante Claudia Rankine conferma:
Di recente, ti trovi in una stanza dove qualcuno domanda alla filosofa Judith Butler cosa rende il linguaggio fonte di dolore. Vedi che tutti tendono l'orecchio. Il fatto stesso di esistere ci espone all'indirizzo dell'altro, risponde. Noi soffriamo la condizione di esseri cui gli altri si possono rivolgere. La nostra esposizione emotiva, aggiunge la Butler, coincide con il nostro essere a disposizione della parola dell'altro. È il linguaggio a governare questo processo.Il punto da far emergere, volgendo alla conclusione, credo possa essere anche questo: come scrivere un libro che non sia un normale rispecchiamento di precetti e idee condivisibili sulla carta ma che quasi mai trovano un rispecchiamento nella società? Come farlo con la poesia o con l'accento "lirico"? Detto diversamente, come usare il mezzo della poesia, della prosa poetica o del saggio lirico che dir si voglia, per tentare di svegliare l'attenzione sui giganteschi sonni attraverso i quali si perpetuano le discriminazioni e le segregazioni, non soltanto della società americana? Per la cronaca, si ricorda poi che è in corso una strage inesorabile, neanche tanto lenta, ai danni di cittadini afroamericani. Le cifre di questa strage, se prese in mano, dovrebbero far rabbrividire e preoccupare più o almeno tanto quanto altre minacce che quotidianamente occupano le prime pagine dei giornali.
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