lunedì 7 agosto 2017

da "Verbale" di Michele Ranchetti

Una poesia da #68


Con questo post si chiude la miniserie di tre articoletti dedicati ai libri di poesia di Michele Ranchetti. I precedenti due, su La mente musicale (Garzanti) e su Poesie ultime e prime (Quodlibet, postumo), si possono ripescare facilmente cliccando qui. All'appello mancava soltanto il libro forse più noto di Ranchetti, vale a dire Verbale, pubblicato da Garzanti nel 2001 (pp. 146, euro 14,98) e vincitore del Premio Viareggio-Repaci. Il volume è composto di poesie scritte dopo quelle contenute ne La mente musicale. Anche in questo caso Ranchetti ci ricorda nella nota conclusiva che l'ordinazione cronologica delle poesie non pretende di offrire un itinerario. Scrive il poeta che le poesie "sono, come le altre, abbreviazioni di un percorso conoscitivo, fissato in punti di illuminazione e di ombra, dove anche le ombre, i punti morti di luce, si connettono l'un l'altro a formare momenti (frammenti) di chiarezza non trasmettibile, né convertibile in una forma diversa (filosofica, religiosa, estetica)." 

(In via eccezionale, per la chiusura di questa miniserie, ho scelto tre brevi testi e non due o uno soltanto.)





Fra me e te c’è qualcuno che guarda
che ascolta e grida, teme e gioisce.
Non sono io né te, ma di me è parte
ed a me corrisponde, come a te. È fra noi due
colui che colma l’assenza o la nega.

*

Non puoi misurare di nuovo
il più e il meno di affetto
di chi ti è contro, il suo essere
assente a te per diritto alla vita:
non è un giudizio, è una diversa
misura, e non puoi credere
di essere nel giusto: non lo è mai 
chi è solo.

Ho paura dei figli, del loro
giudizio senza tempo e ragioni, 
dell’ostile che in essi
regge la vita e le dà corso
nel vivere all’oscuro
degli affetti innocenti.

*

«È ancora morto?» chiede del cane
morto da mesi. Solo
un bambino può credere la morte
parte del tempo di fronte
al destino infinito mentre a noi
tra l’una e l’altra sorte
s’accende il divenire della morte.

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