"Musica assoluta. Prova d’orchestra con Carlos Kleiber" di Bruno Le Maire. I fantasmi devono suonare e risuonare
Erich e Carlos Kleiber
Kleiber è un cognome che risuona largamente all'interno della storia della musica del Ventesimo secolo e in particolar modo all'interno di quel capitolo centrale che ci parla dei direttori d'orchestra, di queste creature che con la loro bacchetta, con le mani e a volte, forse troppo e senza ragioni, persino con i capelli sono chiamati a condurre e a forgiare il suono di un insieme di musicisti che eseguono una partitura. I capelli in realtà dovrebbero servire a ben poco e di certo non fanno il caso dei due direttori di cui parleremo oggi, Erich e Carlos Kleiber (in particolar modo non fanno il caso del primo). Il rapporto tra i due fu tormentato, come spesso lo sono i rapporti tra padre e figlio, a maggior ragione quando il figlio segue la strada simile al padre, ma fu permeato da una considerazione e contemplazione perenne. Purtroppo questo rapporto fu spesso coperto e soffocato dal chiacchiericcio mediatico, che non lascia in pace la musica e il suo sistema, ancor più perfidamente quando affonda il parlar vano tra le vicende di una stessa famiglia. Di Erich Kleiber (Vienna, 1890 - Zurigo, 1956), attivo all'epoca dei giganti Bruno Walter, Arturo Toscanini, Wilhelm Furtwängler e Otto Klemperer, si ricorda la fuga da Berlino nel 1935, quand'era direttore dell'Opera di Stato degli Unten den Linden. Erich non era ebreo, era pure nato a Vienna ma preferì partire anziché soccombere alle minacce delle SS che gli intimavano di togliere dalla programmazione Lulu di Alban Berg. Musica degenerata, la motivazione. Fatti noti. Erich Kleiber, come si ricorda spesso, era stato nel 1925 il primo direttore di Wozzeck, altra opera fondamentale di Berg. Dall'altra parte dell'oceano allora portò i figli, Karl Ludwig (che divenne Carlos) e Veronica, morta quest'anno all'inizio di aprile a Milano. La parabola terrena dei Kleiber è innanzitutto una lunga storia che abbraccia i continenti europeo e sudamericano tra gli anni Trenta e Quaranta (certo, Carlos sarà amato moltissimo anche in Oriente, in Giappone ad esempio). E la vicenda di Carlos Kleiber (Berlino, 1930 – Konjšica 2004), che più ci interessa oggi, inizia a stagliarsi sul fondo della storia della musica proprio all'altezza della scomparsa del padre, trovato morto in un albergo di Zurigo nel 1956, il giorno in cui cadevano i duecento anni dalla nascita di Mozart. Dagli anni Cinquanta, gli unici in cui accetterà un incarico pressoché stabile prima di diventare un grande inquieto e caro nomade della direzione d'orchestra, la presenza di Carlos Kleiber inizia a imporsi all'attenzione del panorama mondiale della direzione d'orchestra e un recente sondaggio della rivista "Classic Voice", condotto tra cento direttori d'orchestra, l'ha decretato il più grande direttore di sempre. Eppure la Garzantina della musica non gli dedica lo spazio che dedica ad altri, siano questi Karajan, Muti o Abbado. Chi tenta di avvicinarsi alla sua figura, al di là dei pettegolezzi e dei conti in tasca che qualcuno prova ancora a fargli, scoprirà una specie di fantasma che prova a sgusciare davanti al suo osservatore, si troverà a fronteggiare la vicenda di un uomo travolto da un abnorme cupio dissolvi. Gli ultimi periodi, la morte e la "gestione" della scomparsa nel paesino sloveno di Konjšica ne sono una conferma (si venne a sapere con un certo ritardo che era morto, a pochi mesi dalla moglie, la ballerina slovena Stanislava "Stanka" Brezovar).
Musica assoluta. Prova d’orchestra con Carlos Kleiber di Bruno Le Maire è un breve libro pubblicato di recente dall'editore De Ferrari (pp. 101, euro 12,90, traduzione di Roberto Lana, prefazione di Bruno Monsaingeon) che si concentra allora proprio sulla figura enigmatica di Carlos, direttore schivo e dal repertorio assai ristretto. Il libro è la traduzione di Musique absolue. Une répétition avec Carlos Kleiber uscito in Francia per l'altisonante Gallimard. L'autore non è un musicologo, bensì l'appassionato ministro dell'economia del governo Philippe sotto la presidenza di Emmanuel Macron. Val la pena soffermarsi sulla parola del sottotitolo: sono divenute proverbiali le "prove" di Carlos Kleiber: tormentate, imprevedibili, sorprendenti. Durante le prove Carlos Kleiber cercava una vera comunicazione con i membri dell'orchestra, un dialogo che andasse al nucleo e movente più intimo delle istruzioni che dava. Gli aneddoti sono spesso abusati, in tutti gli ambiti, quasi nascondessero sempre la trama dei misteri e l'essenza ultima delle cose, ma quelli che questo libro ci racconta, assieme ad altri noti di Carlos Kleiber, sono davvero permeati dell'essenza e della profonda incertezza attorno alla musica che attanagliava il suo lavoro. Tutto ciò si manifestava in massimo grado proprio durante le prove. La musica è incertezza, si legge appunto nel libro, che narrativamente è costruito come un'intervista senza le domande che l'autore-giornalista ricava da un violinista divenuto amico intimo di Kleiber. La dialettica tra intervistatore e intervistato è vivace, il libro è sostanzialmente un flusso di ricordi e idee di questo violinista che spesso maltratta il povero giornalista e le sue certezze.
Carlos Kleiber
Concentro ora alcune domande banali ma che può capitare di porci e che in questo libro appaiono, più o meno calcate: che cosa fa veramente un direttore d'orchestra? Che cosa fa la grandezza e la differenza di un direttore d'orchestra? Come si insinua un direttore nei meccanismi delle orchestre più collaudate (e burocratizzate) che potrebbero quasi suonare col paraocchi, senza direzione? Come si rende una partitura? Sono domande che perseguitano la vicenda musicale contemporanea e la vicenda dei Kleiber è ricca di spunti a riguardo. Nel libro c'è naturalmente spazio per l'ossessione di Carlos Kleiber per le partiture originali e il recupero di registrazioni di opere dirette da chi l'aveva preceduto, compreso naturalmente il padre e, all'opposto, il quasi disinteresse per le proprie registrazioni, spesso vissute come un peso insopportabile. Magnifico è il ricorso alle similitudini con cui Carlos Kleiber istruiva i musicisti, spesso tramite dei bigliettini all'orchestra che divennero proverbiali. Ma forse c'era da aspettarselo da un musicista che compulsava l'intera opera di Emily Dickinson e, come se non bastasse, credeva di essere la reincarnazione del suo cane. In una pagina particolarmente brillante il violinista amico di Kleiber si lascia andare per l'ennesima volta e testimonia:
Avrebbe potuto prendersi gioco di noi. Ci ha sempre rispettati. Eppure, Dio solo sa quanto poteva essere micidiale il suo senso dell'umorismo! Se lo tenga bene a mente: aveva un senso dell'umorismo pazzesco. E per favore non scriva che era un direttore pignolo, era tutto il contrario, esigente, quasi maniaco della perfezione, ma non pignolo. I direttori pignoli, io li conosco, appartengono ad un'altra razza, sono incapaci di dare istruzioni chiare ai musicisti e non sono mai soddisfatti. Durante il concerto assumono un'aria marziale. Alla minima imprecisione, aggrottano le sopracciglia e lanciano uno sguardo torvo sul povero colpevole, che trema di paura e suona ancora peggio. Nelle partiture, sviscerano i dettagli senza sviluppare alcuna visione d'insieme, tutto al microscopio, niente di panoramico. Su un'autostrada tedesca, strapperebbero una ad una le piante infestanti tra le crepe, perdendosi la vista sulle Alpi o le tavole grigie del mare del Nord. Insomma, degli imbecilli.
Franz Schubert
Nell'Ottava sinfonia di Schubert, L'incompiuta, Kleiber chiede all'orchestra un inizio che rischia di rimanere silenzio, tanto è impercettibile il suono e il suo prendere forma che esce dalla partitura. Se ne parla anche nel libro di Le Maire e il dato fece impensierire anche gli ingegneri del suono della Deutsche Grammophon. E se ascoltate la sinfonia di Schubert diretta da Kleiber succede proprio questo, il vostro orecchio si tende e fluttua nell'aria a cercare qualcosa che fa una fatica disumana a iniziare. Alla fine qui si situa il risultato più duraturo di questo libro vivace: dimostrare come, al di là dei meccanismi di notorietà, autorevolezza e carisma che gravitano attorno alle figure dei direttori d'orchestra, vi siano dei prerequisiti indispensabili per compiere lo sforzo, forse disumano e titanico, di trasformare una partitura in un'esecuzione di un'orchestra. Passa tutto attraverso il duro lavoro, il provare e riprovare, l'incertezza e un "dubbio spaventoso", la restrizione di un repertorio all'essenziale e attraverso un corpo che vede la musica nell'aria e in quella rimane, disegnando i propri segni nel vuoto e lasciando sgattaiolare i fantasmi (molto belle le pagine in cui si ricordano le domande che Kleiber faceva agli orchestrali proprio riguardo i fantasmi, fantasmi che dovevano suonare e risuonare, uscire dagli strumenti). E infine resta quel pungolo sul genio, la domanda su che cosa sia genialità, una domanda trasversale che riguarda la vicenda umana, l'arte e l'ingegno. Di pochi direttori si è parlato di genio e uno di questi fu Carlos Kleiber. Ecco, attorno a queste domande si situa questa strana intervista e testimonianza che Bruno Le Maire ha scritto.
Il primo movimento, Allegro moderato, della Sinfonia n. 8 in si minore D 759, comunemente nota col titolo Incompiuta. La registrazione dei Wiener Philharmoniker diretti da Carlos Kleiber è del 1978.
Il video del documentario del 2010 Traces to Nowhere diretto da Eric Schulz con testimonianze di Placido Domingo, Brigitte Fassbaender, Michael Gielen, Manfred Honeck, Veronika Kleiber, Otto Schenk e altri.
Nessun commento:
Posta un commento