Alberto Giacometti (Foto: H. Cartier-Bresson) |
Con l'occasione ricordiamo anche un paio di appuntamenti di presentazione del libro di Lorella Scacco: all'Accademia di Brera presso la Sala Napoleonica il giorno 24 gennaio 2018 alle ore 11. Più vicina invece sarà una tavola rotonda, ispirata dal libro e con l'intervento di storici dell'arte e filosofi, intitolata "Giacometti: nuove prospettive" presso il Museo H.C. Andersen di Roma il giorno 30 novembre 2017 alle ore 17.
LB: Nei primi capitoli il suo libro presenta una precisa scansione della vita e dell'opera di Alberto Giacometti. La potrebbe ripercorrere sinteticamente qui, evidenziando quali sono state le motivazioni che l'hanno portata a scansionare in questo modo l'opera dell'artista?
R: Ho voluto ripercorrere la vita di Alberto Giacometti perché fin dalla sua giovinezza si è iniziato a scontrare con i problemi della visione, o meglio, a imbattersi nella unilateralità della teoria prospettica introdotta da Leon Battista Alberti che si basava sulla geometria euclidea del III a.C. e che aveva dominato fino a tutto l’Ottocento le discipline artistiche insegnate nelle Accademie. L’esperienza surrealista poi per lui rappresenta un momento di liberazione dagli insegnamenti accademici e un passaggio verso una nuova ricerca della verità. La mia scelta di raccontare la vita dell’artista ha voluto anche avere un valore di documentazione per quel lettore che non conosce così a fondo la sua biografia e le sue fasi artistiche. Spesso Giacometti è infatti conosciuto soltanto per le sue sculture più tarde.
Alberto Giacometti |
R: Definire l’opera di Giacometti un inno alla sopravvivenza umana è riduttivo perché considerata solo in un’ottica esistenzialistica e legata al clima del dopoguerra. In realtà, l’opera di Giacometti offre diverse possibilità di lettura, da quella meramente ritrattistica a quella di stampo fenomenologico. La sua insistenza a voler esprimere la “totalità della vita”, la sua caparbietà a scolpire un volto in situazione, a distanza, nella sua esistenza per gli altri, è chiaramente legato alla fenomenologia. Se Merleau-Ponty si sforzò di reperire una dimensione originaria, precedente la distinzione soggetto-oggetto, Giacometti cercò di tornare ad una visione allo stato nascente, dove l’uomo è con-fuso con il mondo e dove il corpo torna ad essere partecipe del processo creativo essendosi liberato da tutti i preconcetti. Quindi, ripensando alla formula usata nel quotidiano inglese, si potrebbe parlare di uno spettacolare inno alla “rinascita” della percezione umana piuttosto che alla sua sopravvivenza.
Maurice Merleau-Ponty |
R: Questa idea è nata dal fatto che i due intellettuali si sono conosciuti a Parigi dopo il 1945, come dichiarato da T. Dufrene, ma a questa conoscenza se ne è sempre accennato e mai approfondito. Ho voluto così immaginare il rapporto tra queste due persone e indicarne le affinità attraverso l’accostamento delle loro dichiarazioni. Mi sono poi chiesta come mai non esistesse un disegno che mostrasse il ritratto del filosofo da parte dell’artista, visto che si conoscevano e frequentavano la stessa cerchia di amici, tanto da individuarne uno circa due anni fa osservando l’archivio della Fondazione Giacometti di Parigi. La somiglianza è molto accentuata e l’anno del 1946 in cui è stato eseguito porterebbe ad individuare anche un anno preciso del loro incontro nello studio di Giacometti.
Alberto Giacometti, Il gatto (1951) |
R: Ho inserito questo epistolario a testimonianza di come lo studioso Reinhold Hohl, uno dei massimi esperti di Giacometti e tra i primi sostenitori del rapporto tra l’artista e la fenomenologia, mi abbia spinto a proseguire la ricerca indicandomi che ero sulla strada giusta dopo aver letto i miei primi articoli pubblicati.
LB: Quali rimangono a suo avviso i libri di riferimento per avvicinarsi all'opera giacomettiana?
R: Posso consigliare i testi e le monografie su Giacometti di alcuni studiosi: Yves Bonnefoy, Reinhold Hohl, Jean Soldini e David Sylvester.
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