mercoledì 11 ottobre 2017

Due libri di poesia polacca: "Il lettore di impronte digitali" di Ewa Lipska e "Libro dei poveri" di Jarosław Mikołajewski

Non è una mossa corretta raggruppare e parlare contemporaneamente di due libri solo perché costituiscono esempi recenti di traduzioni di poesia polacca in italiano. La scorrettezza è però annunciata a monte e il lettore mezzo avvisato. Diciamo che per comodità si raggruppano qui traduzioni recenti di due poeti ritenuti tra i più rappresentativi di quel paese. Ha senso allora parlare di poesia polacca? Non vi è il rischio di perpetuare quello che avviene già pericolosamente altrove, cioè insistere su certi immaginari di marche-nazioni? Con la poesia, in linea generale, si può fare un'eccezione e tale eccezione, a ben vedere, si è sempre fatta. Le antologie sono compilate spesso secondo criteri di lingua (o dialetti) e il legame indissolubile tra poesia e una data lingua ci consente di compiere simili operazioni con maggiore consapevolezza: comanda la lingua, la lingua è già un criterio. Certo, tentare dei percorsi di lettura seguendo vie nazionali è complesso e difficile e lo dimostra anche un recente studio di Paolo Giovannetti, ristretto addirittura ai soli anni Duemila della poesia italiana, sul quale si tornerà prossimamente. Certe linee di forza lì individuate valgono quasi sicuramente anche per altre poesie di altre lingue, ma va sempre considerata l'aporia insolubile di qualsiasi mappatura che segua determinati criteri linguistici e estetici (e il libro di Giovannetti pare più interessante laddove insegue la specificità della poesia di dove mutua da altri contesti certi costrutti per applicarli alla poesia). Parimenti, va detto, un tentativo di analisi e ricerca di un percorso di lettura va fatto e soprattutto resta centrale, nonostante tutto quel che si dice, l'operare attorno al costrutto di "libro".

Tornando ai libri di oggi allora, per il paese che ha dato i natali a una delle scrittrici di poesia più lette degli ultimi anni, ha senso interrogarsi su un effetto-Szymborska? Di certo, se di effetto si tratta, è un traino benefico, una scia lunga, di cui può forse beneficiare il "percepito" della poesia polacca a livello internazionale. E non è certo una "scuola". Più interessante sarebbe provare a capire se questo percepito è granitico, diffuso, se presenta tratti consolidati che ritornano similmente in più libri dei poeti polacchi contemporanei. Una delle caratteristiche del primo libro, Il lettore di impronte di digitali di Ewa Lipska (Donzelli, pp. 96, euro 15, traduzione di Marina Ciccarini), è la frontalità con cui si pone in mezzo a taluni temi ritenuti caldi nel nostro presente: la virtualità, il mondo "schermato", la progressiva rovina di ciò che è deputato a essere prensile (i nostri arti, persino il nostro sguardo e la risorsa scarsa per antonomasia, cioè l'attenzione). Questo è curiosamente in cortocircuito con il titolo che ci riporta a un fattore identitario come le (una volta) uniche, irripetibili impronte digitali, linee curve destinate a fare il loro ingresso sempre più prepotente nella virtualità, non fosse altro per motivi di sicurezza e controllo (per inciso: quanto è singolare che la notizia sulla non unicità delle impronte digitali esca proprio ora? E quanto cambia con la crescita esponenziale dei dati passibili di analisi e la possibilità di analizzarli davvero?). 

Prendiamo un testo di Ewa Lipska a mo' di carotaggio e cerchiamo di comprendere almeno alcuni dei motivi di interesse. Ecco la poesia che presta il titolo al volume:

Poggiamo un dito
sul lettore di impronte digitali
e iniziamo ad amarci.

I nostri file virtuali di corpi
in album
blog
in taccuini di conoscenti.
Nuovi eventi.
Nuovi mi piace.

Piacciamo alla Coca-Cola
a Ronaldo e al Papa.

Siamo già 
nei contatti 
e nelle notifiche.

Il nostro letto
nel diario.
Toccami
e tieni premuto.

Ci baciamo 
con miliardi di bocche.

L'autrice, che è nata a Cracovia nel 1945, si confronta con un contesto che curiosamente quasi rifuggono le generazioni di nativi digitali che scrivono versi. Sembra quasi affermi "qualcuno dovrà pur farlo, prima o poi". Conta sempre lo svolgimento, più che il tema, e nello svolgimento la poesia si mostra annodata sul noi. A volte sarebbe interessante seguire il percorso della poesia, più che per mappature, per pure considerazioni attorno ai pronomi personali e di lì tentare qualche indagine, anche statistica. La poesia di Lipska balzella tra i pronomi e le situazioni ed è spesso poesia di circostanza, nel senso orteghiano del termine (questo va specificato perché nell'uso comune "circostanza" ha assunto quasi esclusivamente le connotazioni più logore). In "Innamoramento", poesia che pare scritta su un drone, prendiamo parte ad una scena tratteggiata con pochissime linee persistenti e nella quale si incista la riflessione ancor più essenziale della terza strofa, con l'efficacissima similitudine del cane:

Questi due
sotto la tenera narcosi del cielo.

In viaggio attraverso leggende

omelie e aneddoti.
Finalmente addormentati
nel manto nero dell'hotel 
sul quale si dilungano
i media scandalistici.

Risvegliarli dall'amore

è ciò che desidera un lampo fragoroso.
E la vita gelosa in lutto
si aggira intorno alla reception come un cane.

Ma questi due
sotto la tenera narcosi del cielo.
Felici per sempre.
Della morte sputano

soltanto il nòcciolo.


Un altro libro recente e molto bello, esemplare della poesia polacca che si può leggere oggi in traduzione, è Libro dei poveri di Jarosław Mikołajewski (LietoColle/Pordenonelegge, pp. 148, euro 13, traduzione di Silvano De Fanti, postfazione di Marcello Piacentini). In questo caso l'autore conosce molto bene la lingua in cui è tradotto, dal momento che è noto anche per la sua straordinaria attività di traduttore dall'italiano. Chi legge Collodi, Dante, Leopardi, Michelangelo, Montale, Petrarca, Luzi, Pasolini, Pavese, Penna o Ungaretti in polacco è molto probabile che si sia imbattuto in una sua versione e una nuova traduzione della Divina Commedia è attesa a breve. Il falsopiano su cui si muove Mikołajewski è analogo a quello che abbiamo riscontrato in Lipska e che troviamo sicuramente anche in tanti componimenti di Szymborska: riflessività, asperità perlopiù concettuali, insomma una poesia di pensiero sveglio, alacre e imprevedibile che però si muove per gradi, verso conclusioni sorprendenti che ora assumono la forza stupefacente e vibrante dell'aforisma, ora prendono la strada di una strampalata ma sempre riuscita coreografia poetica: la lingua e le immagini danzano a comporre poesie di pensiero. Nella sua nota finale intitolata "La poesia di Mikołajewski: la forma antica di una preghiera nuova", Marcello Piacentini, partendo dal "falso problema" dell'origine, osserva che
Gli inizi talora sono un fiasco, e neanche è detto che l'uomo non sia un mal riuscito esperimento, degli inizi appunto. Il soggetto lirico della poesia di Mikołajewski guarda piuttosto alla terrenità della creazione, di qualsiasi creazione "il cigno che è creatore / non meno di colui / a cui pensiamo come a un inizio" (lapsus). L'opportunità più grande sta proprio in un banale lapsus che attiva una penetrante, chiara metafora: la gelata immobilizza ogni cosa vivente, la mareggiata è la forza, scatenata certo, ma d'una natura vitale che dà la vita, così come la toglie.
Soprattutto in avvio il libro di Mikołajewski accompagna in riflessioni che affondano nella trama dei nostri dubbi o certezze, nelle nostre persuasioni, nel modo in cui ci piace tracciare la nostra epopea o persino la nostra "autoagiografia", stracciandolo improvvisamente come un foglio. Si prenda ad esempio questa poesia "nn":

non tanto all'improvviso 
quanto inaspettatamente 
seppe che di lì a poco
sarebbe scomparso dalla faccia 
della terra

ci furono le procedure
la discrezione
e il tono in cui
i catechisti insegnano 
a dire no ai testimoni di jehova

gentile e deciso

prima provò rimpianto

tanti scritti incompiuti
tanti non iniziati
interminabili

dopo un breve momento
pensò che il non finito 
è tutto

lui stesso e il mondo 
intero
fino a che la scomparsa
non concluderà l'opera
e dopo

e dopo ci sarà
un mondo altro
anch'esso con qualcosa
o qualcun altro 
d'incompiuto

con un'altra e altrui
scomparsa

trovò la sua consolazione
e non provò nessun piacere
pensando che scompaiono
anche gli altri

no

era una sensazione 
di tipo solidale

Oltre a un efficace esemplare dell'andamento componitivo di Mikołajewski (per il resto, dobbiamo ricordare che siamo pur sempre nell'ambito di una traduzione, condotta comunque da uno dei nostri massimi esperti), questo testo tocca dei punti essenziali e comuni a qualsiasi parabola esistenziale: l'incompletezza, l'incompiutezza, il desiderio, il non-finito. Ed è singolare che un testo così arrivi dal traduttore polacco di Michelangelo, di cui troppo spesso e ingiustamente dimentichiamo i versi a favore degli altri lati del genio (a proposito di genii, va menzionato il finale di "lettere a un'amica" dove il poeta chiude "in ogni momento di genii ne nasce / un milione / e non muore nessuno / perché la morte non esiste"). Il testo di "nn" costituisce un mirabile esempio di rottura d'equilibrio e di un conseguente sviluppo di situazioni, fino all'illuminazione centrale, fino a quando si arriva a pensare che "il non finito / è tutto". Ecco, considerando sempre, per forza di cose, quello che è la traduzione di queste poesie, sia nel caso di Lipska che di Mikołajewski va detto di una certa facilità di avvicinare il lettore, di condurlo in scene e riflessioni, in scansioni strofiche che hanno pesi specifici diversificati. Sono poesie che condensano secoli di riflessione filosofica sull'identità, la tecnica, la teologia (nella inequivocabile e brevissima "errore teologico" si legge "non dio è amore / ma amore / è dio amen"). Questo accade anche in Szymborska, è chiaro. C'è allora qualcosa che ci portiamo a casa, forse, quando iniziamo a leggere "poesia polacca": la sensazione che proprio l'esperienza di lettura della poesia non possa incagliarsi in un Triangolo delle Bermude che abbia come vertici la sola quotidianità, la muscolarità esibita o la pura aderenza a una tensione superficiale. E la peculiarità conversativa di certa poesia polacca che abbiamo potuto leggere in traduzione si risolve a volte in "una non conversazione" strampalata, stralunata e così inafferrabile come questa:

la mia maturazione verso dio
si rivelò un suo
avvicinarsi a me

ci incontrammo al crocevia
alla fermata sulla superstrada

che a quanto pare è al mezzo del cammino

lo riconobbi nella sua nevrosi
da stress creativo

nel caffè non volle 
entrare

mi spiegò che era 
un personaggio pubblico
che non avrebbe lasciato il triangolo al guardaroba
e che sulla barba
gli sarebbero rimaste le briciole della torta di mele
che sull'istante acquistano
significati metafisici

proposi il parco łazienki
scendemmo lungo via agrykola
tacemmo per l'intera passeggiata 
in maniera indelicata
per il primo e unico
appuntamento in cui
in ritardo di un'eternità
scoprivamo le differenze dello stato 
di sensibilità

del rapporto verso gli scoiattoli
e le carpe

ma ormai non si può scappare
si può soltanto rompere

non si può negare che in origine
fossimo interessati
l'uno all'altro


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