martedì 10 ottobre 2017

La nuova collana di poesia A27 di Amos Edizioni. Un'intervista coi curatori Igor De Marchi, Sebastiano Gatto e Giovanni Turra

Di seguito potete leggere una intervista con Igor De Marchi, Sebastiano Gatto e Giovanni Turra, ideatori e curatori della nuova collana di poesia A27 edita da Amos Edizioni. Ringraziandoli per le risposte, ricordo che le collane di poesia A27 e Nervi saranno oggetto di una presentazione congiunta sabato 14 ottobre alle ore 16:00 nell'ambito del festival Carta Carbone a Treviso (Palazzo di Francia, via Roggia 12).

LB: La collana di poesia A27 nasce all'interno di un catalogo di un editore che esiste da molto tempo, Amos Edizioni. Potete dire come è avvenuto l'innesto e quali regole vi siete dati per risiedere all'interno del catalogo di questo editore?
R: Facendo un’eccezione alle sue abitudini, per la collana di poesia a27 Amos edizioni ha scelto di lasciare carta bianca ai tre curatori. Le regole valgono solo per il formato del libro, mentre il resto viene da un rapporto di fiducia che si è costruito in oltre 20 anni di frequentazioni.

Un tratto prealpino della A27
LB: Il nome, una sigla autostradale che idealmente potrebbe abbracciare tutta l'Italia, rinvia a una passata esperienza dei curatori, risalente a diversi anni fa. Con quali intenzioni avete ripescato quella sigla per marchiare questa nuova collana di poesia?
R: È stata la scelta più semplice e naturale: prima di tutto è stata la sigla che ci accomunava, e metteva tutti d’accordo. E poi una sigla non ammicca e non connota, piuttosto “indica”. Quale luogo migliore di un’autostrada, di una via di comunicazione (non a caso), per aprirsi e accogliere esperienze, proposte, passaggi, incursioni e scambi? Ovviamente indica anche un luogo di provenienza, il nostro, ma che non vuole essere sede esclusiva e privilegiata nella selezione dei poeti.

LB: Varate la collana proprio in questi giorni e partite con tre titoli. Quali sono e cosa ci dicono questi tre libri?
R: I primi libri sono: Variazioni sulla cenere di Fabio Pusterla, Linoleum di Giulia Rusconi, Ambienti saturi di Fabio Donalisio. Sono libri molto diversi tra loro, e siamo molto soddisfatti di questa scelta, proprio perché non ci inquadra in una scuola né in un gusto prevedibile. Complessivamente questi libri ci dicono che la poesia è viva, e non è vero che è ormai impossibile intercettare vene poetiche fresche ed autentiche.
Cerchiamo di privilegiare questo aspetto: la scrittura attorno a uno o più temi solidi, più che raccogliere semplicemente testi sparsi finché si arriva a un numero adatto alla stampa.
Variazioni sulla cenere di Fabio Pusterla, ad esempio, è un libro in due sezioni, entrambe riferiscono di esperienze concrete, dove il lirismo si impasta con versi materici e aspri che si interrogano sulla cenere e la luminosità della vita umana.
Linoleum di Giulia Rusconi invece è tutto chiuso dentro le stanze di una casa di riposo, dove i versi asciutti e toccanti aprono al lettore una nuova prospettiva sul legame ambiguo tra cura e sofferenza, tra pazienti e infermieri.
Ambienti saturi di Fabio Donalisio, invece è tutto ripiegato su un Io che non c’è. I versi frammentati e acidi girano straniti negli ambienti per forza minori di un’abitazione cercando ciò che non c’è più, non può più esserci e forse non c’è mai stato.

LB: La scrittura poetica è spesso intesa malamente come uno spazio di libertà assoluta. Forse può esserlo uno spazio di libertà, il punto è che questa libertà emerge anche grazie a dei "divieti" (sulla lingua, sull'immaginario ecc.) che scolpiscono l'estetica, la superficie e poi fin giù il nucleo di una poetica. Oggi si possono individuare posizioni estreme, parimenti "ridicole", da chi continua a perorare la causa della libertà assoluta di movimento a chi mette dei paletti anzitempo, ad esempio sostenendo che parole come "cielo" o "erba" non abbiano più diritto d'asilo nella poesia oggi. Senza scomodare Azzurro o Il ragazzo della via Gluck di Adriano Celentano, a me sembrano posizioni alquanto discutibili: la prima mi sembra molto ingenua e impraticabile, la seconda ricorda un po' i futuristi che volevano uccidere il "chiaro di luna". Voi quale idea avete e eventualmente "applicate" quando vi arrivano dei dattiloscritti da valutare?
R: I gusti di ciascuno influenzano sicuramente la valutazione dei dattiloscritti. Così come l’idea che abbiamo di poetica. Ce lo siamo detto fin dall’inizio, e ci siamo preparati per questo. La sfida è quella di tenere a bada i personalismi per non pregiudicare la lettura di poesia anche molto diversa dalla nostra. La pubblicazione di un libro passa comunque dall’approvazione di tutti e tre i curatori della collana. Quello che è importante è cercare di rispettare e valutare i testi ciascuno nel proprio immaginario e nella propria poetica, cercare di riconoscere le voci autentiche e  tecnicamente consapevoli. Scartare a priori una proposta perché rientra in una delle due posizioni che dici tu, ad esempio, può essere un errore.

LB: Un aspetto che è emerso nelle conversazioni e che mi è parso molto interessante è che lavorate a stretto contatto con gli autori, rimaneggiando anche pesantemente i dattiloscritti che intendete trasformare in libri (tagliando, integrando o riscrivendo). Una domanda cattiva: in futuro varrà per tutti il trattamento, inclusi i nomi più affermati che potrebbero trovare posto nella vostra collana?
R: Sì, certamente. A volte più a volte meno. La “cura” di un libro di poesia può prevedere anche questo “gioco di squadra”. Lo si fa in narrativa, ad esempio, non vediamo perché in poesia sia percepito come un tabù. Ma, giusto per chiarezza, non si tratta di riscrittura (come ipotizzi nella domanda). Si  tratta più che altro di rivedere e ripensare la struttura dei libri proposti, sempre rispettando le peculiarità e le esigenze degli autori, qualora intuiamo che ciò potrebbe rassodare e dare maggior sapore al testo. Non vogliamo ricavarne dei libri “alla A27”, dove traspaiono le nostre personalità.
Ti faremo degli esempi concreti: dei testi di Donalisio ci interessava l’aspetto corrosivo sia dello stile, sia a livello contenutistico. Con lui si è dunque concordato di selezionare quei testi che andassero più in questa direzione. Nel caso di Rusconi il libro era praticamente fatto, ma, visto il tema, le è stato chiesto di inserire elementi di alleggerimento – versi, rime, testi – che spezzassero il ritmo. Con Pusterla, visto che il suo libro è quello che inaugura l’intera collana, abbiamo scelto di invertire l’ordine delle sezioni al fine di partire con testi più diretti e di avvicinarsi gradualmente a quelli più cupi della seconda parte.
Crediamo che un ragionamento di gruppo, di un gruppo di persone che insieme all’autore ragionano sull’opera, può portare a vedere alcuni aspetti in maniera diversa, sorprendente e interessante; è un lavoro che facciamo innanzitutto per il bene del libro, per aiutare l’autore quando ha delle incertezze (un ordine, ad esempio, un titolo, un taglio).

LB: Il progetto grafico ora. Gli esterni sono visibili nelle copertine qui a lato, ma si sa che il progetto grafico non riguarda solo la veste esterna del libro. Potete parlare di questo, illustrando le scelte fatte per interni e esterni?
R: Volevamo preservare la tradizionale pulizia di Amos Edizioni aggiungendo un ritmo più energico e dinamico. È stata una scelta coerente con lo stesso nome scelto per la collana: una sigla, di per sé apparentemente poco poetica. Per l’interno abbiamo cercato di privilegiare la leggibilità, per questo, se guardi bene, il formato e i caratteri usati, la carta, l’impaginazione, sono le stesse dei libri classici di Amos Edizioni, gli aggiustamenti in tal senso sono stati minimi. Non è stato necessario cambiare, perché era buono ed efficiente così com’era. Il lavoro si è concentrato maggiormente sull’esterno. Anche perché la sfida attuale è differenziarsi e spiccare sul banco della libreria. La suggestione di partenza è nata dal ricordo di vecchie copertine della Feltrinelli, e poi da certe collane inglesi come quella di poesia di Faber & Faber. Ci piaceva l’idea di una griglia grafica in cui inserire di volta in volta il nome dell’autore e i titoli, adeguando la grandezza del carattere e creare in questo modo un movimento (si percepisce meno nei primi tre libri perché i nomi sono di lunghezza simile, non potevamo certo selezionare gli autori in base a quest’esigenza!). La grandezza “massiccia” del titolo e del nome invita la poesia a non essere timida, a non nascondersi in mezzo agli altri libri.
Una particolarità dei libri è l’inserimento, accanto alle note biografiche, di foto “rivisitate” di cartine topografiche legate al territorio di provenienza degli autori. Queste elaborazioni grafiche, che assomigliano a una sezione del sistema arterioso di un corpo umano, non servono a isolare una zona, ma a mostrare come faccia parte di una pianta, di un organismo più grande.

LB: Facebook fa bene o male alla poesia, ai poeti e agli editori in Italia? Lo so che è una domanda campata un po' per aria e che quel Social è uno strumento quindi, in sé, potrebbe essere abbastanza "neutrale". Ma la vostra idea (e bilancio) qual è all'altezza del 2017, alla luce dell'uso che ne viene fatto, soprattutto in ottica promozionale?
R: Premesso che nessuno di noi ne fa grande uso (Igor non ha nemmeno un profilo personale), e ammesso che come strumento di minima promozione Facebook è sicuramente efficace, la domanda piuttosto si può rovesciare. Se, come noti nella domanda, è uno strumento e un luogo Social, dato e consacrato per lo scopo e ormai inevitabile, allora ci verrebbe da rovesciare e chiedere: la poesia fa bene o male a Facebook? Da questo punto di vista crediamo si possa affermare con sicurezza che faccia bene; ci sono migliaia di profili e migliaia di post quotidiani che riguardano la poesia. Facebook ringrazia.
Ciò detto, il tema dei social è affrontato da decine di sociologi, massmediologi e via dicendo, come a dire che non si può affrontare nello spazio di poche righe. Se ti accontenti ti daremo uno spunto: riteniamo che la poesia, per sua stessa natura, per la presenza di quegli spazi bianchi, abbia a che fare col tempo, abbia bisogno di tempo e non di obsolescenza programmata. Forse facebook va in direzione contraria.

LB: Andrea Zanzotto scrisse un interessante contributo intitolato Poesia e televisione. Se foste alle prese con un palinsesto che concede la presenza di un programma di poesia in TV, come vorreste strutturarlo? (E quali spot vi immaginate più gettonati durante le interruzioni pubblicitarie?)
R: L’intervento di Zanzotto al quale fai riferimento è ancora interessante seppur datato. Anche lui però, come molti altri, alla fine elude la questione, non prospettando alcuna valida soluzione di conciliazione tra poesia e televisione. Il problema non è quello di capire se la poesia in televisione debba/possa diventare spettacolo o momento pedagogico. La difficoltà è tutta formale: come è possibile conciliare la necessità del montaggio televisivo (in cui un’inquadratura non rimane ormai fissa per più di pochi secondi, e le telecamera è sempre in movimento per la paura del vuoto e del silenzio) con la forma della poesia, che, pur restando ferma in una lettura “sfugge da tutte le parti” come dice Zanzotto? I due ritmi sono forse inconciliabili.
Potremmo immaginare uno schermo nero, anzi la ripresa di una stanza buia, e una o più luci pulsanti anche colorate, se ti piace, a sottolineare il flusso elettrico e sanguigno della lettura. Non mancherebbero ovviamente gli spot; vedremmo bene le pubblicità di cosmetici, di fasce dimagranti, di macchine avanzatissime e lussuose, di siti che comparano condizioni economiche di banche e assicurazioni per farti incredibilmente risparmiare, insomma, tutte cose che sono lontane dall’uomo e detestano l’uomo così com’è, e lo vorrebbero trasformato, così che la poesia, che invece l’uomo lo ama e detesta così com’è, avrebbe la sua voce.

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