Di seguito potete leggere una intervista con Igor De Marchi, Sebastiano Gatto e Giovanni Turra, ideatori e curatori della nuova collana di poesia A27 edita da Amos Edizioni. Ringraziandoli per le risposte, ricordo che le collane di poesia A27 e Nervi saranno oggetto di una presentazione congiunta sabato 14 ottobre alle ore 16:00 nell'ambito del festival Carta Carbone a Treviso (Palazzo di Francia, via Roggia 12).
LB: La collana di poesia A27 nasce all'interno di un catalogo di
un editore che esiste da molto tempo, Amos Edizioni. Potete dire come è
avvenuto l'innesto e quali regole vi siete dati per risiedere all'interno
del catalogo di questo editore?
R: Facendo un’eccezione
alle sue abitudini, per la collana di poesia a27 Amos edizioni ha scelto di
lasciare carta bianca ai tre curatori. Le regole valgono solo per il formato
del libro, mentre il resto viene da un rapporto di fiducia che si è costruito
in oltre 20 anni di frequentazioni.
Un tratto prealpino della A27 |
LB: Il nome, una sigla autostradale che idealmente potrebbe
abbracciare tutta l'Italia, rinvia a una passata esperienza dei curatori,
risalente a diversi anni fa. Con quali intenzioni avete ripescato quella sigla
per marchiare questa nuova collana di poesia?
R: È stata la
scelta più semplice e naturale: prima di tutto è stata la sigla che ci
accomunava, e metteva tutti d’accordo. E poi una sigla non ammicca e non
connota, piuttosto “indica”. Quale luogo migliore di un’autostrada, di una via
di comunicazione (non a caso), per aprirsi e accogliere esperienze, proposte,
passaggi, incursioni e scambi? Ovviamente indica anche un luogo di provenienza,
il nostro, ma che non vuole essere sede esclusiva e privilegiata nella
selezione dei poeti.
LB: Varate la collana proprio in questi giorni e partite con tre
titoli. Quali sono e cosa ci dicono questi tre libri?
R: I primi
libri sono: Variazioni sulla cenere di Fabio Pusterla, Linoleum di Giulia
Rusconi, Ambienti saturi di Fabio Donalisio. Sono libri molto diversi tra loro,
e siamo molto soddisfatti di questa scelta, proprio perché non ci inquadra in
una scuola né in un gusto prevedibile. Complessivamente questi libri ci dicono
che la poesia è viva, e non è vero che è ormai impossibile intercettare vene
poetiche fresche ed autentiche.
Cerchiamo di
privilegiare questo aspetto: la scrittura attorno a uno o più temi solidi, più
che raccogliere semplicemente testi sparsi finché si arriva a un numero adatto
alla stampa.
Variazioni
sulla cenere di Fabio Pusterla, ad esempio, è un libro in due sezioni, entrambe
riferiscono di esperienze concrete, dove il lirismo si impasta con versi
materici e aspri che si interrogano sulla cenere e la luminosità della vita
umana.
Linoleum di
Giulia Rusconi invece è tutto chiuso dentro le stanze di una casa di riposo, dove
i versi asciutti e toccanti aprono al lettore una nuova prospettiva sul legame
ambiguo tra cura e sofferenza, tra pazienti e infermieri.
Ambienti saturi
di Fabio Donalisio, invece è tutto ripiegato su un Io che non c’è. I versi
frammentati e acidi girano straniti negli ambienti per forza minori di
un’abitazione cercando ciò che non c’è più, non può più esserci e forse non c’è
mai stato.
LB: La scrittura poetica è spesso intesa malamente come uno spazio
di libertà assoluta. Forse può esserlo uno spazio di libertà, il punto è che
questa libertà emerge anche grazie a dei "divieti" (sulla lingua,
sull'immaginario ecc.) che scolpiscono l'estetica, la superficie e poi fin giù
il nucleo di una poetica. Oggi si possono individuare
posizioni estreme, parimenti "ridicole", da chi continua a perorare la causa della libertà assoluta di
movimento a chi mette dei paletti anzitempo, ad esempio sostenendo che parole
come "cielo" o "erba" non abbiano più diritto d'asilo nella
poesia oggi. Senza scomodare Azzurro o Il ragazzo della via Gluck di Adriano Celentano, a me
sembrano posizioni alquanto discutibili: la prima mi sembra molto ingenua e
impraticabile, la seconda ricorda un po' i futuristi che volevano uccidere il
"chiaro di luna". Voi quale idea avete e eventualmente
"applicate" quando vi arrivano dei dattiloscritti da valutare?
R: I gusti di
ciascuno influenzano sicuramente la valutazione dei dattiloscritti. Così come
l’idea che abbiamo di poetica. Ce lo siamo detto fin dall’inizio, e ci siamo
preparati per questo. La sfida è quella di tenere a bada i personalismi per non
pregiudicare la lettura di poesia anche molto diversa dalla nostra. La
pubblicazione di un libro passa comunque dall’approvazione di tutti e tre i
curatori della collana. Quello che è importante è cercare di rispettare e
valutare i testi ciascuno nel proprio immaginario e nella propria poetica,
cercare di riconoscere le voci autentiche e
tecnicamente consapevoli. Scartare a priori una proposta perché rientra
in una delle due posizioni che dici tu, ad esempio, può essere un errore.
R: Sì, certamente.
A volte più a volte meno. La “cura” di un libro di poesia può prevedere anche questo
“gioco di squadra”. Lo si fa in narrativa, ad esempio, non vediamo perché in
poesia sia percepito come un tabù. Ma, giusto per chiarezza, non si tratta di
riscrittura (come ipotizzi nella domanda). Si
tratta più che altro di rivedere e ripensare la struttura dei libri
proposti, sempre rispettando le peculiarità e le esigenze degli autori, qualora
intuiamo che ciò potrebbe rassodare e dare maggior sapore al testo. Non
vogliamo ricavarne dei libri “alla A27”, dove traspaiono le nostre personalità.
Ti faremo degli esempi
concreti: dei testi di Donalisio ci interessava l’aspetto corrosivo sia dello
stile, sia a livello contenutistico. Con lui si è dunque concordato di
selezionare quei testi che andassero più in questa direzione. Nel caso di
Rusconi il libro era praticamente fatto, ma, visto il tema, le è stato chiesto
di inserire elementi di alleggerimento – versi, rime, testi – che spezzassero
il ritmo. Con Pusterla, visto che il suo libro è quello che inaugura l’intera
collana, abbiamo scelto di invertire l’ordine delle sezioni al fine di partire
con testi più diretti e di avvicinarsi gradualmente a quelli più cupi della
seconda parte.
Crediamo che un
ragionamento di gruppo, di un gruppo di persone che insieme all’autore ragionano sull’opera, può portare a vedere alcuni aspetti
in maniera diversa, sorprendente e interessante; è un lavoro che facciamo innanzitutto
per il bene del libro, per aiutare l’autore quando ha delle incertezze (un
ordine, ad esempio, un titolo, un taglio).
LB: Il progetto grafico ora. Gli esterni sono visibili nelle copertine qui a lato, ma si sa che il progetto grafico non riguarda solo la veste esterna del libro.
Potete parlare di questo, illustrando le scelte fatte per interni e
esterni?
R: Volevamo
preservare la tradizionale pulizia di Amos Edizioni aggiungendo un ritmo più
energico e dinamico. È stata una scelta coerente con lo stesso nome scelto per
la collana: una sigla, di per sé apparentemente poco poetica. Per l’interno
abbiamo cercato di privilegiare la leggibilità, per questo, se guardi bene, il
formato e i caratteri usati, la carta, l’impaginazione, sono le stesse dei
libri classici di Amos Edizioni, gli aggiustamenti in tal senso sono stati
minimi. Non è stato necessario cambiare, perché era buono ed efficiente così
com’era. Il lavoro si è concentrato maggiormente sull’esterno. Anche perché la
sfida attuale è differenziarsi e spiccare sul banco della libreria. La
suggestione di partenza è nata dal ricordo di vecchie copertine della Feltrinelli,
e poi da certe collane inglesi come quella di poesia di Faber & Faber. Ci
piaceva l’idea di una griglia grafica in cui inserire di volta in volta il nome
dell’autore e i titoli, adeguando la grandezza del carattere e creare in questo
modo un movimento (si percepisce meno nei primi tre libri perché i nomi sono di
lunghezza simile, non potevamo certo selezionare gli autori in base a
quest’esigenza!). La grandezza “massiccia” del titolo e del nome invita la
poesia a non essere timida, a non nascondersi in mezzo agli altri libri.
Una
particolarità dei libri è l’inserimento, accanto alle note biografiche, di foto
“rivisitate” di cartine topografiche legate al territorio di provenienza degli
autori. Queste elaborazioni grafiche, che assomigliano a una sezione del
sistema arterioso di un corpo umano, non servono a isolare una zona, ma a
mostrare come faccia parte di una pianta, di un organismo più grande.
LB: Facebook fa bene o male alla poesia, ai poeti e agli editori
in Italia? Lo so che è una domanda campata un po' per aria e che quel Social è
uno strumento quindi, in sé, potrebbe essere abbastanza "neutrale".
Ma la vostra idea (e bilancio) qual è all'altezza del 2017, alla luce dell'uso
che ne viene fatto, soprattutto in ottica promozionale?
R: Premesso che
nessuno di noi ne fa grande uso (Igor non ha nemmeno un profilo personale), e
ammesso che come strumento di minima promozione Facebook è sicuramente
efficace, la domanda piuttosto si può rovesciare. Se, come noti nella domanda,
è uno strumento e un luogo Social, dato e consacrato per lo scopo e ormai
inevitabile, allora ci verrebbe da rovesciare e chiedere: la poesia fa bene o
male a Facebook? Da questo punto di vista crediamo si possa affermare con
sicurezza che faccia bene; ci sono migliaia di profili e migliaia di post
quotidiani che riguardano la poesia. Facebook ringrazia.
Ciò detto, il tema dei
social è affrontato da decine di sociologi, massmediologi e via dicendo, come a
dire che non si può affrontare nello spazio di poche righe. Se ti accontenti ti
daremo uno spunto: riteniamo che la poesia, per sua stessa natura, per la
presenza di quegli spazi bianchi, abbia a che fare col tempo, abbia bisogno di
tempo e non di obsolescenza programmata. Forse facebook va in direzione
contraria.
LB: Andrea Zanzotto scrisse un interessante contributo intitolato Poesia e televisione. Se foste alle prese con un palinsesto che
concede la presenza di un programma di poesia in TV, come vorreste
strutturarlo? (E quali spot vi immaginate più gettonati durante le interruzioni
pubblicitarie?)
R: L’intervento
di Zanzotto al quale fai riferimento è ancora interessante seppur datato. Anche
lui però, come molti altri, alla fine elude la questione, non prospettando
alcuna valida soluzione di conciliazione tra poesia e televisione. Il problema
non è quello di capire se la poesia in televisione debba/possa diventare
spettacolo o momento pedagogico. La difficoltà è tutta formale: come è
possibile conciliare la necessità del montaggio televisivo (in cui
un’inquadratura non rimane ormai fissa per più di pochi secondi, e le
telecamera è sempre in movimento per la paura del vuoto e del silenzio) con la
forma della poesia, che, pur restando ferma in una lettura “sfugge da tutte le
parti” come dice Zanzotto? I due ritmi sono forse inconciliabili.
Potremmo immaginare uno
schermo nero, anzi la ripresa di una stanza buia, e una o più luci pulsanti anche colorate, se ti piace, a sottolineare il flusso
elettrico e sanguigno della lettura. Non mancherebbero ovviamente gli
spot; vedremmo bene le pubblicità di cosmetici, di
fasce dimagranti, di macchine avanzatissime e lussuose, di siti che comparano
condizioni economiche di banche e assicurazioni per farti incredibilmente
risparmiare, insomma, tutte cose che sono lontane dall’uomo e detestano l’uomo
così com’è, e lo vorrebbero trasformato, così che la poesia, che invece l’uomo
lo ama e detesta così com’è, avrebbe la sua voce.
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