Laura Liberale, La
disponibilità della nostra carne,
Oèdipus, 2017.
La
disponibilità della nostra carne è
un libro oracolare dai testi enigmatici che sembrano interrogare il lettore e
porre nuove domande a ogni lettura. Ci si muove infatti tra parole che sono
diventate “assolute come ossa” e voci dialogiche interne al testo che ampliano
il tessuto verbale e altre esterne che lo seguono. In quest’ultimo caso si
tratta di citazioni – pressoché tutte, fatta un’eccezione, attinte dalla
vastissima letteratura dell’India – che illuminano i testi o vi gettano
oscurità, ma in entrambi i casi danno loro maggiore respiro. Ci si può anche
giustamente chiedere se le citazioni (o una loro reminiscenza) siano all'origine del testo, oppure se il testo, dopo essersi generato, abbia trovato una sua
risposta nella letteratura e nella mitologia indiana. Altra caratteristica
della raccolta e il tempo sospeso che fa da sfondo a un’umanità sciolta da
qualsiasi elemento storico. Non per niente nella seconda di copertina troviamo,
accompagnata da una nota esplicativa dell’autrice, una citazione di Jung dal Libro rosso, dal quale deriva anche il titolo
della raccolta: i testi infatti sono continuamente attraversati da archetipi
dell’inconscio collettivo come a ribadire il procedimento che si attua, ovvero
il passaggio da una dimensione individuale a una universale. Cosi il soggetto, già in parte deliricizzato e oggettivizzato che si esprime attraverso una
seconda persona singolare in apertura di raccolta (“Ti sei capovolta in
crescita inferiore | sotterranea”), giunge nel finale a una dimensione corale e
impersonale (“E appresa la risacca dell’umano | indolore il suo battere di
maglio. || Si fanno chiari i volti delle madri”). Nel mezzo un percorso che
permette sia all’individuo (inteso come rappresentante della specie) che alla
parola di avvicinarsi - attraverso un processo alchemico che raschia le scorie,
sgrossa e libera dalle impurità - a una verità che permette di integrare le
differenti concezioni del femminile, e da li attingere a una visione
totalizzante che lascia trasparire la sua luce (“Dimmi di questo oltre. | Se,
smerigliato il se che fummo | abraso l’ego, raschiate via le scorie | di tamas,
di nigredo | riluce la pepita | ritorna a sfavillare.”).
Giusi Montali
Nelle acque di dentro vi immergo
nel tumulto dell’acqua corporea
nel guado che toglie il respiro
e lo ricongiunge al Respiro.
Nelle pozze del ventre vi annego
nel tremendo, nel nero dell’acqua.
A uno solo, in quest’acqua, il respiro.
Uno dopo l’altro, lei getta i
figli nell’acqua.
Mahābhārata, I, 98, 13
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